Qual è, e quale, invece, dovrebbe essere il ruolo dei c.d. “Tecnici” nella conduzione di un Paese?
In particolare, parliamo dell’Italia, che più ci interessa, e anche perché il nostro Paese è quello che più di ogni altro ha fatto ricorso a pratiche e terminologie alternative rispetto a quello che dovrebbe essere nient’altro che il Governo, senza aggettivi e qualificazioni.
Wikipedia ne cita diverse: GOVERNO Istituzionale… del Presidente… ponte… di scopo… degli affari correnti… oltre ai famosi “Governi balneari” che aiutavano, in passato, a non prendere decisioni, in un contesto, peraltro, in cui l’economia tirava, e quindi non c’erano molti problemi; con l’avvertenza che ci sono delle sfumature, non sono strettamente sinonimi.
Devoto-Oli definisce il Governo tecnico, “un Governo di transizione, per il disbrigo delle questioni correnti, in attesa di un chiarimento della situazione politica”.
Non è detto, ovviamente, che i tecnici debbano necessariamente essere “iuris et de iure” la quintessenza della bravura. Questo nessuno può garantirlo. Lasciamo stare l’attuale Governo (sulla stoffa di ciascuno dei componenti, intendo; a parte le divergenze di vedute sul da farsi), siamo ancora nella cronaca, ed invece, io sono convinto che, per poter esprimere un giudizio “di qualità” meditato e sereno, bisogna almeno collocarsi nel corridoio di passaggio tra la cronaca e la storia; ma, ad esempio, ebbi modo, a suo tempo, di conoscere, grazie a singolari circostanze, un ministro tecnico di un passato governo. Non è che non fosse “bravo”, in realtà, però interpretava il suo ruolo come quello di un impiegato 8/14 e faceva solo quello che gli dicevano di fare, però lo faceva bene.
Lasciamo perdere; va da sé, quindi, che si parla qui di Governo “tecnico” in linea di principio, senza addentrarsi nel merito.
Se è vera la definizione data, è vero che un Governo tecnico è, per definizione, un indicatore di guai, catastrofi, crisi, una scialuppa di salvataggio in mezzo alla buriana, qualcosa che non può essere “definitivo”. Non può essere questo il “destino della Patria”; anzi, come è per una scialuppa di salvataggio, deve stare il meno possibile in balia dei marosi, bisogna cercare al più presto il porto sicuro, o il passaggio su una idonea imbarcazione.
E’ vero anche che non può esserci “sviluppo” diretto da un Governo tecnico, per ovvi motivi; “questioni correnti” è espressione ben diversa da “assunzione di responsabilità piena, anche con riferimento ai provvedimenti di straordinaria amministrazione”. Manca l’appoggio popolare, manca il progetto, l’architettura del futuro che si vuole realizzare.
Inoltre, al di là di quello che diceva il nostro Presidente Monti, probabilmente prima di rendersi conto dell’effettività, della concretezza dello stato delle cose, occorrono i Poteri Forti per sorreggere un Governo che, per sua natura, non ha l’appoggio popolare, occorrono i remi o le vele o i motori di fortuna per evitare che una scialuppa di salvataggio resti in balia delle onde.
Motivo fondamentale questo per riconoscere ed auspicare che il Governo tecnico sia e non possa che essere assolutamente transitorio, e il più limitato possibile nel tempo. Esso si sostanzia, in effetti, in una sospensione della Democrazia. Che cosa c’è allora da auspicare? Che questa situazione, ritenuta necessaria per vari motivi, in un breve periodo storico, venga superata e non si trasformi nel De Profundis della Democrazia, con tutti i notevoli danni, ben noti, che ciò comporta.
Occorre ricordare che molti uomini di cultura e studiosi della vita sociale hanno elaborato il concetto di “Governo tecnico” o, meglio, di Tecnocrazia, da cui naturalmente deriva il primo, soprattutto Francesi e Americani; non mi addentro per non appesantire, ma, sostanzialmente, nessun Paese straniero, poi, l’ha, in concreto, messo in atto, se non per situazioni marginali: improvvisi momenti di exploit si sono visti in Messico e in India negli anni ’80; sul finire degli anni ’50 potevano riconoscersi in questo ambito le famiglie politiche del regime di Franco in Spagna, che gestivano l’area economica del Governo, prevalentemente nell’orbita dell’Opus Dei. Come si vede, si tratta di situazioni non certo di apertura e di sviluppo, o di comprovata democrazia.
In Italia, invece, come già si è accennato, non è solo al Governo Monti che dobbiamo fare riferimento; ricordiamo il Governo Ciampi 1993/1994, il Governo Dini 1995/1996, per non parlare dei ricorrenti Governi Leone balneari (certo per non far perdere l’abbronzatura a Donna Vittoria).
Ritornando ai nostri giorni, il Governo Monti, venuto fuori da una situazione identificabile come “assolutamente eccezionale” per vari motivi, sui quali è inutile qui rivangare, non si è attenuto alla regola basilare della durata per un tempo “estremamente limitato”.
Ora si accorge che ha perso l’appoggio dei Poteri Forti che, inizialmente, dichiarava di ignorare in quanto di nessun rilievo per la sua esistenza e vitalità; un implicito riconoscimento, questo, di una situazione di stallo, per quanto riguarda lo sviluppo del Paese (ma poi… il vero unico, esclusivo, invasivo, dominante, determinante, decisivo POTERE FORTE, il potente Stato della Chiesa, il Vaticano con le sue radicate ingerenze negli affari interni dello Stato Italiano, nessuno lo tocca, né Monti e i suoi seguaci, né i suoi detrattori).
Ma, detto in termini molto pratici e lineari, dov’è che, realmente, ha sbagliato il Governo Monti, alla luce delle considerazioni sopra svolte?
Due compiti importanti aveva: promuovere la nuova Legge Elettorale e risolvere il Conflitto di Interessi, quindi, una volta fatto ciò, puramente e semplicemente TOGLIERSI DI MEZZO, dando spazio alle giuste e benefiche consultazioni elettorali.
Ciò non è stato fatto, ma anche su questo appare defatigatorio (come si dice nei Tribunali) insistere, perché è chiaro che è ormai inevitabile e assodato che si va alla scadenza naturale della legislatura, spazio temporale che potrebbe essere proficuamente impiegato e dovrebbe essere proficuamente impiegato (se non vogliamo diventare, oltre che lo zimbello d’Europa, gli zombi d’Europa), dal Parlamento, per la soluzione del CONFLITTO di INTERESSI e per il varo della nuova LEGGE ELETTORALE.
Cosa fatta capo ha… si diceva una volta. Proviamo, allora, a fare un discorso di fondo:
I “Tecnici” hanno certamente l’autorità e le conoscenze necessarie, almeno in linea di massima, per proporre ed offrire le migliori soluzioni e le migliori scelte nei vari settori della vita pubblica, di interesse per la guida di un Paese, ma non conoscono quali sono gli obiettivi, le priorità, gli assetti interni e i rapporti internazionali che un Paese intende realizzare, né hanno i numeri per influire su di essi.
Ciò non significa, ovviamente, che qualificati tecnici non debbano avere un ruolo nella conduzione della vita sociale e istituzionale di un Paese. Anzi, almeno in linea teorica, nessuno come i soggetti tecnici può assicurare al Paese quanto di meglio ci sia nella tecnologia, nelle scienze, nella medicina, nell’economia, nella fiscalità, nell’istruzione, nelle arti, nella letteratura e così via, con riferimento, ovviamente, allo “stato dell’arte” e alle disponibilità esistenti.
In definitiva è sempre una compagine politica, espressione della volontà popolare, che deve assumere il Governo di un Paese, deve considerare le priorità economiche e sociali, in relazione alla situazione generale, indicare gli obiettivi da raggiungere e le inerenti iniziative, di fronte al Paese, di fronte agli assetti internazionali, e, perché no, di fronte alla Storia; e ciò può e deve fare con il contributo (ma non certo con il predominio) delle dottrine scientifiche, etiche, filosofiche, operative dei tecnici.
In altri termini il tecnico è colui che attua la volontà del Governo.
Il Governo politico risponde al popolo; il tecnico risponde al Governo.
E’ evidente il corto circuito quando il tecnico, assumendo su di sé il ruolo del politico, risponde direttamente al popolo. Questo non può essere o, se, per fronteggiare particolari situazioni, sporadicamente è, non può durare a lungo.
Presto bisogna ritornare alla normalità, alle regole generali della Democrazia.
Ecco perché CHIUNQUE può diventare PRESIDENTE, anche un attore cinematografico, anche un comico, un commerciante o una casalinga.
Ce lo insegnano gli Americani? No, lo insegniamo noi, almeno noi Europei, a loro, perché la storia della Democrazia è più antica qui.
Anche un Grillo, quindi, così come un Vendola o chiunque altro, può diventare Presidente.
Tanto per spezzare una lancia, dirò che lui, il Grillo, non ha mai fatto il comico nel senso dei “film panettone” per intenderci. Lui era quello della satira, quello della tradizione dei Dario Fo, dei Molière, dei Chaplin; quello che prendeva in giro i potenti e, ai suoi spettacoli, a molti dei quali ho partecipato, la gente si accalcava, si divertiva, applaudiva; quanti dei presenti sono gli stessi che ora, acriticamente, storcono il naso? E’ la vita così? Sarà! Considerazione amara, tuttavia non decisiva, come i sondaggi registrano. Bisogna dire che l’”incredibile” Beppe non si è tirato indietro quando si è trattato di andare a parlare col Governo (Prodi all’epoca, che almeno l’ha ricevuto), con esponenti dell’Unione Europea, riscuotendo un singolare successo; e ricordate l’enorme affluenza al V Day? Di Pietro in testa?
Ora che tutto questo ha avuto la sua naturale evoluzione, non vedo perché dovrebbe venir meno la sua legittimazione; ferme restando le critiche, in Democrazia sacrosante, come, ad esempio, la sua posizione sui bambini nati in Italia da genitori non italiani, o sull’esistenza e il ruolo dei Partiti.
Il discorso, in fin dei conti, si sposta su che cosa chiede un Governo ai suoi tecnici.
Immaginiamo una direttiva berlusconiana: “Signori miei, voi dovete creare tutte le condizioni possibili e sostenibili affinché i miei interessi, quelli dei miei familiari, degli amici e delle nostre aziende vengano realizzati a livelli ottimali, possibilmente senza svilire gli interessi del Paese. In ogni caso senza che risulti minimamente che vengono sminuiti gli interessi del Paese”.
Chi legge questo articolo pensa che questa sia una direttiva accettabile?
La direttiva di un diverso Premier, ai suoi tecnici, sui vari temi, potrebbe essere: “Signori, voi dovete indicare tutte le soluzioni possibili, specificando i pro e i contro sotto il profilo economico, sociale, ambientale, innovativo, migliorativo e così via, con riferimento agli interessi dei cittadini e del Paese. Sarà poi nostro compito scegliere in base al mandato politico che abbiamo ricevuto”.
Scettico, disaffezionato e deluso lettore, può andare meglio una direttiva di questo tipo?