Indifferenza. Nefandezza. Abbandono. Tre parole per descrivere la situazione archeologica nel Molise, regione che conserva alcune delle più importanti testimonianze del nostro passato. Eppure sembra che chi di dovere non abbia percezione di quanto sia importante la realtà storica ed archeologica del territorio. Pochissimi infatti sono gli investimenti sul turismo, i finanziamenti vengono dirottati per opere di edilizia il più delle volte incompiute o poco produttive. In conclusione, milioni di euro investiti in strutture mai ultimate.
Opere che da preventivi di pochi milioni di euro arrivano a costarne una cinquantina. Opere mai aperte al pubblico. Siti archeologici abbandonati e non visitabili. Sembra proprio che nessuno voglia riconoscere le potenzialità della cultura italiana che finisce sempre all’ultimo gradino delle necessità.
Golem inizia così un viaggio regione per regione nel patrimonio archeologico negato.
La regione che vanta numerosi siti di importanza internazionale registra un numero sempre crescente di strutture chiuse al pubblico. Restauri iniziati e mai conclusi, nuovi musei in perenne attesa di essere inaugurati, pale eoliche (più alte della cupola di San Pietro) in uno dei parchi più antichi, sperpero di denaro pubblico e possibilità turistiche e lavorative che svaniscono. Prima tappa di un viaggio nel patrimonio italiano negato.
Il Molise vanta uno dei più importanti al mondo, “Un patrimonio collettivo che meriterebbe di essere tutelato dai funzionari e dai dirigenti specifici del Ministero per i Beni e le attività Culturali”. Emilio Izzo segretario regionale della Uilbac non usa mezzi termini e aggiunge: “il Ministero per i Beni e le attività Culturali è autonomo, non ha bisogno di aspettare nulla, ha le strutture ad hoc, i dirigenti ad hoc, i finanziamenti ad hoc”. Eppure si registra un aumento dei siti archeologici abbandonati. “Il Soprintendente”, aggiunge Izzo, “invece di utilizzare le poche risorse a disposizione per tutelare e salvaguardare i siti, spende denaro pubblico per realizzare mostre fuori luogo, convegni e tanto altro”. Questa situazione è diventata ancora più evidente in seguito alla nevicata dello scorso inverno, quando “chi di dovere” non si sarebbe preoccupato di fare sopralluoghi nei siti archeologici ma avrebbe delegato la verifica a “semplici custodi”.
Paldo, Tato, Taso e l’abbazia medioevale
La nevicata ha riaperto le polemiche su uno dei siti archeologici alto-medievali più importanti al mondo, quello di San Vincenzo al Volturno (nella foto in alto).
Le prime vicende del monastero di San Vincenzo al Volturno sono riportate dal codice miniato Chronicon Vulturnense conservato nella Biblioteca Apostolica Vaticana. Il cronista è un monaco di nome Giovanni, forse l’abate del monastero verso il 1130. Narra che tre nobili beneventani, Paldo, Tato e Taso, alla ricerca di un luogo dove vivere nella pace e nella preghiera, si recarono presso le sorgenti del fiume Volturno dove esisteva un oratorio diroccato dell’epoca di Costantino. Qui i frati trovarono un’area abbandonata ma fertile e boscosa. Il Duca di Benevento decise di donare loro quelle terre incolte dove, tra la fine del VII e gli inizi dell’VIII secolo, i tre giovani costruirono una nuova chiesa. Questa fondazione segnò la rinascita di quei luoghi. Con l’aiuto dei coloni infatti i monaci bonificarono gran parte del territorio. Quello che il Chronicon non dice è che il monastero di San Vincenzo fu creato dal duca di Benevento, Gisulfo I, immediatamente dopo la vittoriosa conclusione di una campagna militare che fruttò ampliamenti territoriali verso il Lazio e l’Abruzzo. La nascita di San Vincenzo al Volturno fu la manifestazione del potere detenuto dal suo patrono secolare su una importante zona di confine. La dedica del monastero a San Vincenzo resta sostanzialmente un mistero.
Tra il 730 e il 775 i duchi di Benevento continuarono a concedere a San Vincenzo al Volturno proprietà distribuite tra il Molise, il Lazio meridionale e la Campania.
Negli anni 777-778 l’Abbazia fu posta sotto la guida dell’illustre teologo Ambrogio Autperto. In seguito alla vittoriosa discesa di Carlo Magno in Italia, il monastero fu teatro di una lotta fra i monaci longobardi fedeli al Duca di Benevento e quelli franchi favorevoli ai nuovi dominatori d’oltralpe. I Franchi carolingi si interessarono ben presto agli affari del monastero.
Carlo Magno si preoccupava non poco che il suo nome fosse adeguatamente onorato a San Vincenzo al Volturno, e dall’altro che interessi franchi e longobardi fossero vivamente rappresentati presso l’Abbazia, anche se la loro coesistenza non sempre era armoniosa. Poco dopo nel 787, su richiesta del successore di Poto, l’abate Paolo (783-792), Carlo Magno rilasciò al monastero un diploma col quale, nel confermarne i possessi, concedeva altresì ad esso il privilegio di poter eleggere il proprio abate e di godere delle immunità fiscale e giudiziaria, che comportavano grandi vantaggi politici ed economici.
Fu nel successore di Paolo, Giosuè (792-817), che San Vincenzo al Volturno ebbe il suo più grande abate.
Nell’autunno dell’800 i territori dell’abbazia furono percorsi dalle schiere di Carlo Magno che si fermò ospite dell’abate Giosuè prima di raggiungere Roma per l’incoronazione a imperatore del Sacro Romano Impero officiata da Papa Leone III nella notte di Natale.
Nel IX secolo proseguì l’ascesa di San Vincenzo al Volturno. Fu dopo la morte di Epifanio che le fortune dell’Abbazia cominciarono a vacillare. Nel 839 il territorio beneventano fu dilaniato da una guerra civile che lo divise in tre tronconi, nell’ 847 un forte terremoto danneggiò numerosi edifici della cittadella monastica e infine nell’ 860 una banda di Saraceni minacciò di saccheggiare il monastero a meno che non gli venisse versato un tributo di 3.000 aurei. L’abate, pur di veder risparmiato il sacro cenobio, accettò ma vent’anni dopo, nel 881, gli Arabi tornarono a San Vincenzo al Volturno per saccheggiarlo. Pochi monaci riuscirono a scampare al massacro, dapprima rifugiandosi in un vicino castrum e quindi riuscendo a riparare a Capua dove, come altre comunità benedettine europee in quel tempo funestate da Saraceni e Vichinghi, ricrearono il monastero “in esilio”.
Dopo la cacciata dei Saraceni nel 916, un piccolo gruppo di monaci fece ritorno a San Vincenzo al Volturno. L’abbazia del X secolo è descritta come una pallida immagine di quella dei tempi andati.
Le successive vicende di San Vincenzo al Volturno sono piuttosto incolori. Fu distrutto da un terremoto nel 1349. Nel tardo XVII secolo, l’Abbazia e la sua terra furono acquisite da Montecassino. Nell’Ottocento le leggi emanate da Gioacchino Murat (1808 – 1815), portarono alla demanializzazione del monastero. Quando un viaggiatore inglese, Lord Keppel Craven, visitò l’Abbazia, essa si presentava in piena decadenza. Attraverso varie vicende, nel corso del XX secolo, l’abbazia di San Vincenzo al Volturno è tornata ad essere proprietà di Montecassino.
Durante la seconda guerra mondiale la chiesa superstite, che nel frattempo era diventata un misero simulacro dell’edificio di Gerardo, fu bombardata e ridotta in un cumulo di macerie. Nel dopoguerra l’Abbazia fu oggetto di nuove attenzioni da parte dei monaci di Montecassino e, nel 1965, la replica dell’edificio gerardiano era di nuovo completata e pronta a tornare all’uso cattolico.
La sua ricostruzione fu curata da Don Angelo Pantoni, monaco di Montecassino. Dal 1989 è nuovamente attiva una comunità di benedettini, formata da religiose dell’Ordine, provenienti dal monastero di “Regina Laudis”, che ha la sede principale nel Connecticut, Stati Uniti.
Tutta colpa della neve
Oggi il sito di San Vincenzo versa nel totale abbandono. L’ultima nevicata ha ulteriormente compromesso una situazione già molto precaria. Izzo si chiede come sia possibile che la copertura realizzata allo scopo di proteggere le strutture antiche, costata 10 miliardi di vecchie lire, sia parzialmente crollata sotto il peso della prima neve. Le autorità hanno spiegato l’accaduto con l’eccezionalità dell’evento, ma per Izzo la causa è un’altra: “tettoie di plastica a fronte di miliardi”. E ancora: “reti da pollaio, passerelle scivolose, sabbia sui pavimenti originali”. Dello stesso parere l’architetto Franco Valente, responsabile dei lavori di restauro dell’antica Abbazia di San Vincenzo, che definisce le coperture “ignobili baracche i cui pilastri poggiano direttamente sui muri antichi”. Valente avverte che le strutture antiche, realizzate senza deposito statico e sismico, sottoposte a simili carichi rischiano di crollare. “Solo chi non ha a cuore la nostra cultura potrebbe tenere in simili condizioni un simile patrimonio”. Fortunatamente dopo la nevicata Gino Famiglietti, direttore generale per i beni culturali, ha dato incarico a una ditta di mettere in sicurezza alcune aree a rischio. Ma sono ancora numerose le zone da tutelare che richiedono interventi urgenti.
Anche le amministrazioni che si sono succedute nel Comune di Castel San Vincenzo non hanno risolto la questione, anzi si sono imposte alla cronaca per abusi di potere e falso in bilancio. Questo, almeno, secondo le conclusioni del commissario prefettizio (delibere n.12-13 del 10 maggio 2011).
Lamiere “archeologiche”
Altro scandalo molisano è quello dei musei non finiti. Si tratta di costruzioni spesso mai utilizzate o che non verranno mai aperte. L’iter è sempre lo stesso: approvazione di progetti (sempre faraonici), assegnati a professionisti “di corte”, il finanziamento ottenuto grazie a favoritismi politici, iniziare l’appalto e non finire l’opera. Ci sono numerosi esempi. Vediamone alcuni.
Il Museo archeologico di S. Vincenzo al Volturno. Un ammasso di lamiere. Già nel 2002 l’architetto Franco Valente denunciò alla Procura della Repubblica, alla Corte dei Conti e all’Autorità di vigilanza sui pubblici contratti lo sperpero di denaro pubblico e una serie di irregolarità nella programmazione, finanziamento e progettazione di un’opera che crolla senza mai essere stata inaugurata. Nonostante l’Autorità di vigilanza avesse accertato una serie di irregolarità e avesse dato ordine di monitorare i lavori fino alla loro conclusione, il museo non è mai stato finito. Dalle vetrate si vedono schedari a attrezzature abbandonati, sporcizia e disordine. In questo museo si conserva la memoria storica del più importante monastero carolingio in Italia.
Musei, porte chiuse
Il Museo archeologico di Pietrabbondante. Una costruzione faraonica che non potrà mai essere utilizzata perché fuori del contesto archeologico e con una tipologia edilizia a dir poco singolare. Il Museo della Fauna a Rocchetta a Volturno Vecchia, mai aperto, sta crollando perché abbandonato da oltre 15 anni. Il museo dell’Orso a Pizzone non è mai stato aperto nonostante siano stati realizzati anche i recinti per gli orsi. Il Lapidario di Casalpiano, si può visitare ma l’area archeologica è totalmente disastrata. Il Museo dell’anfiteatro di Larino, una sciagurata modernizzazione di un edificio storico che non vede fine.
Infine il misterioso museo archeologico di Faifoli, la cui inaugurazione sarebbe dovuta avvenire il 30 aprile 2011, secondo quanto scritto dal sindaco Enrico Galuppo in una lettera a Franco Valente. A più di un anno di distanza, Valente aspetta ancora l’invito.
Il simbolo di questo scempio è sicuramente il museo del Paleolitico a Isernia per il quale sono stati spesi oltre 15 milioni di euro. Per molti anni è rimasto un bene comune nascosto alla collettività, per essere finalmente e quasi insperatamente aperto, ma solo in parte, a marzo del 2012. Si è gridato al miracolo.
Chi deve rendere conto di questo immenso sperpero di denaro pubblico? Si tratta di costruzioni mai utilizzate o che non verranno mai aperte.
L’Auditorium (incompleto) della discordia
Altra follia molisana: investire 55 milioni per un colossale Auditorium degno di una metropoli, ma non di una città come Isernia che conta solo 22.000 abitanti. La costruzione è interrotta e nulla si sa sul prosieguo dei lavori. Opera faraonica che non serve a nessuno, che nessun cittadino ha voluto, che se troverà altri fondi per il completamento avrà problemi di gestione, e che ha sicuramente sottratto soldi da investire nella tutela del patrimonio archeologico. È stata finanziata nell’ambito delle celebrazioni dell’Unità d’Italia. Per il giornalista Domenico Iannacone il caso dell’Auditorium di Isernia è paradigmatico di come funzioni il Paese. Dietro si nasconde un intrigo di appalti e affari tutt’altro che chiari. Paradossalmente proprio a Isernia si trova il sito preistorico più antico d’Europa abitato dall’Homo Aeserniensis. È una vera meraviglia del paleolitico. Eppure mancano fondi per la sua valorizzazione e tutela. Da non crederci.
Se girano le pale. L’arte della sponsorizzazione
Esattamente un anno fa, il 5 luglio 2011, con una sentenza a dir poco sconvolgente il Consiglio di Stato ha autorizzato lo stravolgimento della Valle del Tammaro e la mutazione irreversibile di un’area archeologica tra le più belle e importanti d’Italia, quella di Sepino. Si è deciso di “ferire” la città sannitica romana di Saepinum-Altilia, uno degli emblemi del patrimonio artistico molisano, con l’innalzamento di 16 pale eoliche, più alte della Cupola di San Pietro, che ne trasformerebbero la visuale facendole perdere i tratti storici, identitari e paesaggistici che la hanno sempre contraddistinta. L’antica città di Saepinum è uno dei rarissimi esempi di aree archeologiche giunte fino ai nostri giorni in condizioni di buona conservazione, che permette a ciascun visitatore di toccare con mano l’intera struttura architettonica di un’antica città romana. La vicenda è complicata. E lo scontro adesso è durissimo. Da una parte sono schierate la Direzione regionale dei beni culturali e le due Soprintendenze, oltre a circa centoquaranta comitati di cittadini e a innumerevoli studiosi e archeologi italiani e stranieri del calibro di Salvatore Settis che si battono con ostinazione in difesa di un luogo simbolico della storia molisana. Le pale, sostengono, deformano irrimediabilmente la percezione del sito, rimasto per millenni incorniciato da colline sulla cui cresta non c’è mai stato nulla. Dall’altra parte del fronte c’è la Essebiesse, società che vorrebbe costruire l’impianto. In suo favore ci sono varie sentenze del Consiglio di Stato, ma soprattutto l’incertezza manifestata dagli organi del ministero. Questa la situazione che ha trovato l’attuale direttore regionale, Gino Famiglietti, insediato a Campobasso nel 2009. Con una serie di provvedimenti ha bloccato i lavori, ma il Consiglio di Stato gli ha dato più volte torto. Un anno fa le carte sono state inviate alla Procura della Repubblica che ha ottenuto il sequestro del tratturo. Un’indagine è stata avviata a carico del precedente soprintendente Mario Pagano. E fra le carte dell’inchiesta spunta anche un contratto di sponsorizzazione per restauri e manutenzione che la Essebiesse ha firmato con l’allora soprintendente, assicurando 50 mila euro l’anno per 29 anni. Ma tutto è fermo e il braccio di ferro su Saepinum e sul tratturo è ancora in corso.
Ciò che non sono riusciti a fare 2.500 anni di storia, di guerre, di scempi, sta riuscendo a fare un business servo di interessi lontani dalle vere esigenze molisane.
Non si comprende come possa essere possibile che un bene monumentale nazionale, di valenza mondiale, possa essere impunemente stravolto da un progetto invasivo ed impattante di una società privata che persegue il proprio interesse; legittimamente, certo, ma non in quei luoghi che rappresentano il patrimonio del Molise.
Interessi e malcostume
Quello che emerge è che in Molise vige un malcostume, sempre più diffuso nel Belpaese, che in nome del profitto consente scempi e irregolarità, che devasta e spreca risorse pubbliche, che finanzia costruzioni obbrobriose e scadenti pur di arricchire una borghesia palazzinara ignorante e priva di qualsiasi senso estetico. Un malcostume che priva i beni culturali di tutela e valorizzazione, e priva i cittadini della fruibilità delle testimonianze del proprio passato e della possibilità di creare nuovi posti di lavoro che potrebbero essere frutto invece di una sapiente politica turistico-culturale.
Di seguito sono elencati alcuni dei siti archeologici molisani attualmente non accessibili o che versano in grave stato di abbandono:
Sepino (Cb), Altilia
Città Sannitico-Romana
Sono stati effettuati lavori di restauro e scavo parziale delle evidenze archeologiche, il sito è visitabile gratuitamente ma presenta carenze nella tutela e nella valorizzazione. Inoltre è consentito il traffico di motoveicoli tra le strade cittadine.
Tutela il sito la soprintendenza.
Matrice (Cb), Santa Maria della strada.
Chiesa medievale e resti di fattorie sannitica e villa romana.
Sono stati effettuati lavori di scavo e conservazione della struttura della villa, attualmente chiusa al pubblico. La chiesa medievale, gioiello del Romanico, è invece visitabile e gestita dalla curia.
Tutela il sito la soprintendenza.
Morrone del Sannio (Cb), Santa Maria di Casalpiano.
Fattoria Sannitica e villa romana. Chiesa medievale.
La villa romana, sulla quale nel medioevo è stata costruita la chiesa, è stata in parte scavata dalla soprintendenza Archeologica del Molise insieme alla necropoli altomedievale che sorge all’interno della villa. Il sito, gestito dalla soprintendenza che ha organizzato un percorso di visita e protezione del sito, è in completo stato di abbandono e avvolto in gran parte dalla vegetazione per mancanza di lavori di manutenzione. Mancano opere di valorizzazione del sito.
San Felice del Molise (Cb), loc. San Fabiano.
Villa romana.
La villa è stata scavata dalla Soprintendenza Archeologica del Molise e completamente recintata. Da molti anni manca un custode e il sito è chiuso al pubblico. Mancano inoltre opere di manutenzione e valorizzazione del sito.
Campochiaro (Cb) Tempio di Ercole.
Santuario sannitico.
Il sito è stato in gran parte scavato dalla soprintendenza. Oggi è recintato e chiuso al pubblico. Il sito necessita di alcuni restauri e meriterebbe una grande valorizzazione.
Il sito non è visitabile perché non vi è personale addetto.
Tutela il sito la soprintendenza.
Macchi d’Isernia (Is). Loc. Santa Maria.
Villa romana e chiesa medievale.
Dopo uno scavo dell’Università del Molise nel 2004, il sito versa in totale abbandono, privo di opere di manutenzione e valorizzazione. Oggi si presenta completamente avvolto dalla vegetazione.
Tutela il sito l’Università del Molise che ha avuto la concessione di scavo.
San Martino in Pensilis (Cb), loc. Mattonelle.
Grande villa romana e altomedievale, scavata dalla Soprintendenza del Molise. Il sito non è stato mai valorizzato per fini turistci o culturali.
Tutela il sito la soprintendenza.
San Giacomo degli Schiavoni, (Cb), loc. San pietro.
Grande villa romana scavata dalla Soprintendenza del Molise. Oggi versa in totale abbandono ed il sito non è interessato da interventi di manutenzione o di valorizzazione a fini turistici.
Sepino (Cb), loc. Terravecchia.
Centro fortificato sannitico in opera poligonale e villaggio medievale. Interessato da scavi archeologici negli anni 70 da parte di Giovanni Colonna, versa oggi in totale abbandono. Il sito, avvolto completamente dalla vegetazione, non è stato mai valorizzato per fini turistici.
Agnone (Is), loc. San lorenzo.
Villa Sannitica e romana con terrazzamento in opera poligonale e resti del monastero medievale. Sito danneggiato negli anni 60 da lavori per realizzare una strada, e dalla costruzione di abitazioni private, è stato poi interessato da scavi da parte della Università del Molise. Dopo la fine degli scavi, il sito è stato completamente abbandonato ed è in gran parte avvolto dalla vegetazione. Nessuna opera di valorizzazione e manutenzione è stata effettuata.
Castropignano (Cb), Castello medievale e Fortificazione Sannitica.
Il sito è stato scavato dalla Soprintendenza Archeologica del Molise.
Oggi manca la valorizzazione del sito, aperto solo su appuntamento.
Tutela il sito la soprintendenza. È gestito dal Comune e dalla soprintendenza.
Cercemaggiore, (Cb), loc. Monte Saraceno
Centro fortificato sannitico in opera poligonale, parzialmente indagato dalla soprintendenza archeologica. Manca la valorizzazione del sito, segnaletica etc.
Cercemaggiore, (Cb), loc, Pesco Morelli
Fattoria sannitica su terrazzamento in opera poligonale indagata dalla Soprintendenza Archeologica del Molise. Il sito non ha allestimenti per la valorizzazione turistica.
Busso (Cb), loc Monte Vairano.
Centro fortificato in opera poligonale. Indagato dagli anni Settanta prima dalla Soprintendenza, poi dall’Università del Molise, il sito presenta problemi di valorizzazione e di gestione e tutela della murature scavate. Recentemente sono andate distrutte alcune coperture delle aree scavate che hanno provocato danni alle strutture.
San Vincenzo al Volturno (Is), loc. San Vincenzo.
Sito del monastero altomedievale di San Vincenzo, scavato da una missione Inglese, poi dall’Università Suor Orsola Benincasa. Oggi il sito è visitabile ma presenta problemi di tutela e valorizzazione. Le coperture degli scavi sono antiquate e inadeguate. Manca l’illuminazione. Inoltre l’importante Cripta di Epifanio è accessibile con grande difficoltà, per problemi dovuti alla gestione congiunta tra Soprintendenza e Monastero di Monte Cassino.
Nonostante i molti miliardi spesi per il sito, mancano i bagni pubblici. Lo scavo è stato interrotto da anni in corso d’opera per oscuri giochi di potere tra i soggetti deputati alla sua tutela e al suo studio. La struttura del Museo, realizzata ormai da anni, è abbandonata e non sembra esser presente un progetto per il suo utilizzo, nonostante l’importanza del sito.
Castropignano, (Cb)
Chiesa cinqucento-settecentesca di Santa Maria delle Grazie, una delle più belle e interessanti del Molise, per le sue decorazioni (stucchi, affreschi). È stata sottoposta ad un restauro parziale e mai terminato dalla Soprintendenza. Necessita pertanto di un opera di restauro definitiva e di valorizzazione.
Santa Croce di Magliano (Cb) , loc. Melanico.
Chiesa e monastero medievale di Melanico posta lungo il tratturo l’Aquila – Foggia. La struttura è stata spogliata delle decorazioni e gli ingressi sono stati murati. Mancano evidentemente opere di valorizzazione del sito e di tutela.
Carpinone (Is), Castello medievale
Castello medievale nella parte alta del paese. Restaurato completamente al suo interno in maniera scellerata dalla soprintendenza. È stato successivamente chiuso e fatto oggetto di atti di vandalismo. Oggi versa in stato di abbandono ed è chiuso al pubblico.
San Giovanni in Galdo (Cb), loc. Colle Rimontato.
Santuario sannitico.
L’area del santuario, nonostante sia oggetto di opere di manutenzione da parte della Soprintendenza, non ha strutture per la valorizzazione turistica del sito.