Un istruttore di arti marziali che ha brevettato, se così si può dire, un nuovo tipo di Mix Martial Arts (MMA), che tuttavia è particolarmente attento alla tradizione. Perché se le arti marziali miste sono lo sport da combattimento della nuova generazione, esse sono e restano soprattutto arti marziali.

A costruire il “nuovo corso” delle Mma è Sensei Andrea Marcantonio, II dan Karate, istruttore Shoot box e kick boxing, e allenatore di MMA riconosciuto dalla Figma.

Sensei Marcantonio cosa ne pensa dell’attuale boom che stanno avendo le arti marziali miste?
Parlare di boom purtroppo mi sembra eccessivo, in Italia come sempre soffriamo degli ampi spazi che 1_1vengono dati agli altri (pochi e sempre i soliti) sport, come se il valore del sudore e del derivi solo dagli sponsor. Per giunta le arti marziali scontano la disinformazione che troppe volte le bolla come violente, grezze e brutali. Ma un’analisi più attenta rivelerebbe come la preparazione a questa attività richieda uno studio accurato ed una dedizione incrollabile.
Comunque sono convinto che ultimamente anche in Italia, come sempre sulla scia degli Stati Uniti, l’interesse per questa attività da parte del pubblico stia aumentando.
E grazie a tale interesse, anche altri stili di arti marziali e sport da combattimento che in passato si erano un po’ cristallizzati nelle proprie convinzioni di intoccabilità, sono stati costretti ad una svolta, portando finalmente alla luce ciò che realmente funziona e dando la possibilità ai praticanti di tutto il mondo, grazie ai media, di potersi aggiornare e uscire dagli schemi fissi in un palcoscenico di confronto globale.

Quindi le novità portano giovamento anche agli stili tradizionali?
Il fatto che finalmente anche in Italia se ne parli non fa di questa attività una novità: negli USA si pratica già da decenni e in Italia possiamo annoverare pionieri come Serati e Verginelli che già nei primi anni del 2000 calcavano la gabbia.
La cosa certa è che le MMA hanno portato una ventata di aria fresca e rinnovamento in un settore che da troppo tempo si stava dogmatizzando. Ora se qualcosa è veramente efficace lo si può provare sul campo, senza 1_2tutti quei fronzoli e misticismi che hanno sempre permeato le arti marziali tradizionali.
Ma non inganni il termine tradizionale, usato spesso a sproposito, infatti la storia delle arti marziali così come le conosciamo difficilmente trascende la rivoluzione con cui Jigoro Kano diede la possibilità alla massa di apprenderle. In principio infatti, e quindi nella vera tradizione antica, le arti marziali seguivano la regola per cui il maestro dovesse insegnare l’arte solo ad un allievo e nessuno avrebbe confutato ciò che il maestro diceva.

Le tradizioni quindi cambiano e tradizionale prende nuovi significati: attualmente, cosa sarà destinato a diventare tradizione?
Non è la tradizione che cambia, ma l’atteggiamento: non ci sono più strade da seguire già percorse da altri ma linee guida per costruirsi il proprio percorso.
Ad esempio ci si dovrebbe aprire all’utilizzo di attrezzi per l’incremento delle abilità dell’allievo, questo 1_3rappresenterebbe una ripresa delle tradizioni: una volta si usava ciò che si aveva a disposizione per migliorarsi; allora perché dovrebbe essere sacrilegio per i tradizionalisti attuali usare attrezzi diversi da quelli degli antenati?
E’ come se ci si volesse ostinare ad arare un campo con la zappa piuttosto che con l’aratro, ottenendo risultati inferiori.

Come è nato il suo corso?
Il corso nasce da un connubio di desideri e circostanze: innanzitutto si parte da una base di Karate a contatto pieno, purtroppo in Italia poco diffuso rispetto a quello tradizionale (Shotokan). Nello specifico il Kyokushinkan, una branca del Kyokushin, che contempla anche i colpi di pugno diretti al viso e la lotta sia in piedi che a terra.
Col passare del tempo continuare a proporre questo corso qui a Milano divenne burocraticamente complesso, oltretutto le alte cariche della scuola erano in Giappone e quindi non era facile raggiungerli per gli aggiornamenti.
E io sono convinto che gli aggiornamenti siano essenziali nella formazione di un insegnante, è una buona abitudine che deve essere continua, sia per se stessi che nel rispetto dei propri allievi. Era chiaro quindi che 1_4continuando ad insegnare Kyokunshinkan non avrei potuto aggiornarmi spesso come ritengo sia giusto fare.

E quindi qual è stata la scintilla che le ha dato la forza di cambiare il suo corso e nel contempo, oserei dire, anche di cambiare l’attuale panorama delle MMA?
Cambiato il mondo delle MMA? Non esageriamo… quello che è accaduto è che mi sono guardato in giro nella ricerca di qualcosa che si avvicinasse ai canoni del Kyokushin, e questo in determinati aspetti era proprio il mondo delle MMA: protezioni ridotte al minimo, contatto pieno e lavoro di striking e lotta, questi mescolati insieme erano gli ingredienti fondamentali propri anche del Kiuokushinkan.
Ma a quel punto sono nati in me diversi dubbi: dedicarsi a questa pratica era la scelta giusta? Il karate con le sue tradizioni, poteva conciliarsi con questa tipologia di allenamento? O la scelta più giusta era continuare a ripetere e studiare ciò che già si era appreso pur di non snaturare l’arte?
Queste domande avevano necessità di una risposta prima di continuare, fu così che alla pratica apportai studi teorici che mi potessero aiutare a risolvere gli interrogativi.
Iniziai quindi la lettura di libri sulle tradizioni marziali giapponesi, affiancati da lunghi colloqui con il mio 1_5Sensei Torlizzi (ogni Maestro non deve mai smettere di avere un Maestro) i quali seppero suggerirmi le risposte che cercavo: tradizione per me non voleva più dire seguire dei dogmi tecnici, perché non potevano esistere tali dogmi se si dava spazio al sentimento che portava alla nascita delle arti marziali stesse, ovvero l’efficacia in combattimento!
Infatti nel momento stesso in cui un’arte marziale viene eccessivamente codificata e resa astratta perde la sua efficacia al di fuori del proprio terreno di confronto, diventa troppo specifica. Ma il combattimento non è mai fermo, è sempre in movimento, ciò che funziona oggi, potrebbe risultare superato domani. Questo non vuol dire abbandonare tutto ciò che era stato fatto, bensì farne tesoro, prendere e tenere ciò che di più essenziale veniva fuori dall’arte marziale: la disciplina, lo stoicismo, la gerarchia, la compattezza del gruppo e un bagaglio tecnico che con i dovuti accorgimenti avrebbe fornito la marcia in più.
Con questa riscoperta del concetto di “tradizione” mi sono dedicato alle MMA, chiamando il corso Full contact Submission Karate, proprio per mante1_6nere forte il legame con la tradizione marziale. Mi sono ritrovato quindi a praticare e costruire uno stile dove la disciplina tipica di un dojo veniva applicata alle tecniche più recenti e a quelle più tradizionali, dove di fianco al makiwara si può trovare un kettlebell.

Sono quindi questi gli ingredienti della sua MMA “tradizionale”? Disciplina, stoicismo, gerarchia, compattezza del gruppo, bagaglio tecnico e accorgimenti adeguati ai tempi?
Proprio così. In fin dei conti lo spirito che fece nascere le arti marziali fu quello di massimizzarne l’efficacia in base a ciò che si trovava nel mondo, e non quello di chiudersi dentro ad una serie di regole limitanti e salvaguardanti.
Nel mio corso reputo quindi di seguire le tradizioni, mantenendo lo spirito originario dell’arte marziale, fatto di disciplina, rispetto, gerarchia e stoicismo, affiancato dalla ricerca dell’efficacia in base al mondo che ci circonda.

Perché ha scelto proprio il nome Full contact Submission Karate?
1_7Il nome doveva suggerire subito di cosa si stava parlando: innanzitutto Karate, con tutto quello che a questo si può legare; il contatto pieno, termine con cui il karate di matrice Kyokushin si è sempre distinto e che indica come il fine ultimo sia il KO dell’avversario; Submission indica lo studio della lotta in piedi e a terra. Il nome doveva quindi comunicare cosa si stava andando a praticare: una forma di karate a contatto pieno che contempla anche la lotta in piedi e a terra
Questo perché se vogliamo ricercare l’efficacia di cui parlavamo prima, che senso avrebbe non essere in grado di gestire il combattimento se questo dovesse finire a terra? Ecco perché diventa necessario studiare oltre allo striking (lo scambio di colpi in piedi): come difendersi dai tentativi dell’avversario di portarci a terra, dai suoi tentativi di immobilizzazione, soffocamento e disarticolazione, dai suoi colpi portati a terra.

Può descriverci praticamente in cosa differisce un corso di MMA classico dal suo corso di MMA FSK?
Una delle prime cose che si noteranno nel luogo di allenamento sarà come disciplina e gerarchia siano rigide, i senpai (compagni più alti in grado) stanno davanti come esempio per i nuovi, la disciplina è mantenuta anche dall’esempio che loro sono in grado di portare e non dalla sola autorità del maestro. È tramite i senpai che la tecnica viene passata: curano costantemente la crescita dei nuovi arrivi, senza gelosia o risentimento; in tal modi si lega meglio anche il gruppo, consapevoli che la crescita di tutti porta ad un miglioramento generale dell’allenamento. Questa penso che sia una differenza importante, perché spesso il nuovo viene visto come 1_8un ostacolo e isolato dai più avanzati, mentre il contatto diretto con gli avanzati porta a nutrire un sano rispetto; i nuovi arrivi vedono come potranno diventare se si impegnano e lavorare con persone più avanzate crea un fattore psicologico che li spinge a dare sempre il massimo. Mentre per i senpai, curare lo sviluppo delle tecniche dalle basi, spiegarle e correggerle, li induce ad apprenderle in profondità. Ovviamente non deve mancare uno spazio dedicato esclusivamente ai senpai e agli agonisti.
Altra differenza la troviamo nella divisa, si tratta naturalmente di un dogi (ovvero kimono da allenamento), anche se raramente viene utilizzato per le tecniche di lotta a terra, ma la giacca spesso non viene indossata e diversamente da quelli tradizionali ha maniche corte e pantaloni sopra il ginocchio e il colore può essere bianco o nero.
La terminologia è prevalentemente giapponese, comandi d’esecuzione compresi. La mancanza di rispetto1_9 non è tollerata, così come la disattenzione. Si lavora a contatto con le altre persone e permettersi di mancare di rispetto ad una persona che ti presta il proprio corpo per farti crescere non è ammissibile. Distrarsi invece potrebbe portare a fare male all’uke (compagno di allenamenti).
Come si potrà notare, non ho parlato di differenze nel tipo di allenamento perché semplicemente gli allenamenti in sé hanno ben poche differenze rispetto ad un corso di MMA (poi ovviamente dipende anche da Maestro a Maestro). Le differenze stanno nella percezione dell’allenamento, l’ambiente deve essere rigoroso e disciplinato, ma al tempo stesso divertente e coeso.

Insomma, è un corso di MMA a regime militare
Sì, del resto marziale, nell’acronimo MMA, vuol dire proprio militare.

1_10Può farci un esempio di come si svolge una sua lezione tipo?
La lezione dura circa due ore. Inizia, naturalmente, con il saluto, al quale segue un breve e leggero riscaldamento muscolare, per poi passare ad un intensivo lavoro di rafforzamento della durata di una ventina di minuti, composto da esercizi propedeutici e/o fisici in circuito, lavorando in base al periodo sulle varie componenti necessarie alla formazione fisica dell’ atleta: forza massima, esplosività, resistenza. Questa parte è per me fondamentale, se si vuole sostenere un’attività intensa e con forti sollecitazioni, il corpo deve essere adeguatamente preparato.
Segue una parte tecnica, dove si eseguono i kihon (fondamentali) delle tecniche, prima a vuoto e poi a coppie. In seguito si passa ad articolare le tecniche più semplici iniziali, implementando la parte di lotta in piedi e a terra, in modo da ottenere uno sparring condizionato.
Si conclude con esercizi che possono essere tecnici o molto intensi, in base all’intensità del corpo centrale della lezione.
Al termine della lezione, vi è nuovamente il saluto e, a volte, qualche minuto di meditazione. Dopodiché i senpai fanno sparring per una ventina di minuti.

Un’ultima domanda: cosa risponde a chi considera questa pratica un’attività violenta?
Sono dell’idea che praticare attività di questo genere porti ad avere un carattere tutt’altro che violento. 1_11Dietro l’aggressività e la violenza si celano spesso insicurezze caratteriali.
Sono un fermo sostenitore di come questo genere di attività, praticate con integrità e impegno, siano in grado di formare fortemente il carattere, fornendo sicurezza nelle proprie capacità, ergo, sentendoci più sicuri di noi stessi non abbiamo più bisogno di mostrarci aggressivi o violenti.
A questo aggiungiamo che la formazione caratteriale porta anche ad imparare a gestire meglio le situazioni potenzialmente pericolose o violente o addirittura a schivarle alle prime avvisaglie.
A livello caratteriale abbiamo invece situazioni più aggressive e violente sotto gli occhi tutti i giorni in attività come il calcio, dove tanto i giocatori quanto i tifosi danno spesso in escandescenze gratuite. Se parliamo dell’attività svolta, in quanto violenta, vanno fatte due precisazioni: durante gli allenamenti, anche se molto intensi, non ha molto senso che gli allievi si facciano male, altrimenti per ogni allenamento fatto se 1_12ne dovrebbero saltare chissà quanti per recuperare dagli infortuni e durante l’allenamento non può esserci traccia di istinti di aggressività o violenza: sarebbero forme di distrazione e mancanza di rispetto, oltre a non portare miglioramenti, perché occorre concentrazione per poter apprendere.
La seconda precisazione è che non tutti i praticanti devono necessariamente disputare incontri o gare, ma in ogni caso anche la pratica agonistica non lascia spazio ad aggressività e violenza: la concentrazione ne risentirebbe. Si può inoltre notare come prima e dopo gli incontri gli atleti si salutino tra di loro con rispetto, così come salutano i rispettivi maestri e secondi agli angoli. La prova agonistica è sempre con se stessi, indipendentemente dalla vittoria o sconfitta, è tutta la preparazione precedente, la tensione pre-gara, l’esperienza di avere qualcun altro di fronte che si è preparato in egual misura, che una volta concluso l’incontro contribuiscono alla formazione del carattere e dell’atleta. E anche se può sembrare che l’atleta sia da solo a combattere, non è mai così: i sacrifici sono suoi ma alle sue spalle c’è il supporto dei compagni di allenamento e del maestro.
Concludendo, possiamo affermare che la mia visione dell’MMA, ovvero il Full contact Submission Karate, sia una visione di una disciplina che affonda le sue radici in quello che reputo la tradizione più profonda del karate: l’efficacia. Senza dimenticare che per rendersi conto se qualcosa è valido veramente bisogna essere aperti al confronto, sempre. Dentro i propri confini è facile darsi ragione da soli.

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