Presso gli aztechi la farfalla è simbolo dell’anima, del soffio vitale che fugge dalla bocca di colui che muore; e l’analogia anima-farfalla si ritrova anche in un racconto comune ai baluba e ai lalua del Kasai. Ma pure nel mondo greco e romano l’anima abbandona il corpo dei defunti sotto forma di farfalla.
Non a caso, del resto, esiste una sola parola, in greco, per indicare il nostro insetto e l’anima: psyché, psiche. In alcuni affreschi pompeiani troviamo così Psiche (l’amata da Eros, figlio di Afrodite) rappresentata come una giovinetta alata, simile ad una farfalla. E tale appare anche nelle catacombe di Domitilla così come in quelle di Pietro e Marcellino. La simbolica cristiana si è avvalsa qui dell’antico mito per indicare l’Amore divino che ricerca l’anima fedele e ne è riamato. E nella basilica di San Marco, a Venezia, l’anima di Adamo, posta sotto il soffio creatore della Trinità, è rappresentata dal corpo di una giovinetta con ali di farfalla. Per alcune popolazioni turche dell’Asia centrale, ancora, i defunti possono apparire sotto forma di farfalla notturna.
Un altro aspetto del simbolismo della farfalla è basato sulla sua metamorfosi: la crisalide è l’embrione che contiene la potenzialità dell’essere; e la farfalla che ne esce è simbolo di resurrezione. Nella civiltà micenea, ricorda Schliemann, troviamo proprio questa interpretazione; tale è il senso delle gigantesche farfalle incise su grandi dischi d’oro nelle tombe di Micene. La farfalla che esce dal suo bozzolo è l’anima che si sbarazza del suo involucro carnale. E le farfalle che seguono gli eroi nella Basilica Pitagorica di Porta Maggiore, a Roma, sono delle anime conquistate ed appagate dalla voluttà dell’amore divino. La mitologia irlandese, poi, narra della sposa del dio Mider trasformata in pozzanghera dalla gelosia della prima moglie del dio; ma dalla pozzanghera, dopo qualche tempo, nasce un verme che diventa una magnifica farfalla. Il simbolismo “trasformativo” della farfalla si ritrova anche in Jeronimus Bosch: nel pannello centrale del “Giardino delle delizie”, infatti, una farfalla succhia il nettare del fiore di cardo. Ed è stato osservato che, se il cardo esprime l’inquietudine, la farfalla è come una promessa di acquietamento: dopo essere stata crisalide si innalza verso la luce del Paradiso dove trova l’eterna beatitudine.
Se la farfalla diurna rappresenta l’anima nel suo viaggio verso il cielo, la farfalla notturna può, da un lato, simboleggiare chi è morto di morte violenta e, dall’altro, assumere aspetti satanici o comunque negativi. Tutte le farfalle notturne (bombice, falena, sfinge) partecipano di valenze infernali e ciò soprattutto vale per l’ “Acherontia atropos” o “Sfinge testa di morto” che ha, sul dorso, una macchia che ricorda un teschio ed emette un stridulo ed agghiacciante suono. Non a caso gli stregoni bretoni tostavano l’ “atropos” per introdurne le ceneri in malefiche pozioni. La “Sfinge testa di morto” è poi spesso riguardata come nemica dell’ape, di cui saccheggia il miele; si pone quindi al simbolismo del Cristo-ape, produttore del miele spirituale della dottrina cristiana. La farfalla che vola di fiore in fiore, senza fermarsi definitivamente su nessuno di essi, può anche essere l’immagine dell’incostanza femminile, ma anche di quella dell’uomo in genere che spesso dimentica i suoi doveri o la retta via per correre dietro a nocive distrazioni.
D’altro lato, la farfalla notturna si lascia attrarre dalla fiamma, vi si accosta troppo e si brucia le ali. San Francesco di Sales paragona la farfallina, che si lascia lusingare dalla fiamma fino a bruciarsi, al giovane cuore umano spesso travolto dalle fiamme della voluttà. Ma già nella tradizione indù, nella Bhagavad Gita ( il Canto del Beato), si diceva che, come le farfalle affrettano la loro morte nella fiamma brillante, così gli uomini corrono verso la loro perdizione. Vi può essere, peraltro, anche un’associazione analogica in senso positivo tra la farfalla e la fiamma. L’insetto, infatti, per via dei suoi colori e del battito delle sue ali, può richiamare, appunto, la guizzante fiamma. E così, presso gli aztechi, il dio del fuoco porta come emblema un pettorale chiamato “farfalla d’ossidiana”. E l’ossidiana, si sa, è, come la silice, una pietra produttrice di fuoco; con essa si facevano le lame dei coltelli sacrificali.