E dunque Miss Italia – mancanza di ascolti – è fuori dal palinsesto Rai. E’ stato perciò compito  più semplice per la presidente della camera Boldrini intervenire, rallergrandosene.

Poiché è intervenuta una figura di rilievo delle istituzioni, la cui biografia è fortemente connotata a sinistra, su di un tema che riguarda la formazione dell’ immaginario collettivo sull’universo femminile e le sue conseguenze  nei casi di violenza e femminicidio,  la questione è diventata anche politica. 

Un’ ottima relazione della mentalità di destra è stata fatta da Libero che ha reagito con pagine di commenti e interviste  circa la proposta di legge delle senatrici del Pd, di qualche tempo fa,  sulla pubblicità e corpi femminili, riassunta  in un significativo: “il PD  vieta la gnocca”. I quotidiani di destra hanno  seguitato poi sulla stessa linea, dopo la dichiarazione  della Presidente della Camera Boldrini su  Miss Italia.  Qualche comunista ancora in circolazione  vuole impedire una libertà.

Come al solito allora, la comunicazione complessiva si è  divisa in due ( divisione  quanto mai pericolosa quando di mezzo ci sono questioni riguardanti la morale). Contro Miss Italia e a favore Miss Italia. Battaglia simbolica, perché dietro Miss Italia c’è  l’universo di simboli di quella manifestazione. Cioè corpi in vendita. O secondo  i fautori, come Fiorello, per i quali il tempo non passa mai : un’opportunità come fu per Sofia Loren. Non hanno spiegato perché un’opportunità per una donna debba avere quel percorso. Sarebbe stato utile quel dibattitto lì  invece.

Gli argomenti contro sono la battaglia culturale che si fa ormai da anni  per contrastare  una modlità unica di rappresentazione  delle donne di cui  il concorso di bellezza più vecchio del mondo  ne è l’epigono. La parola  più usata negli argomenti contro è essere contro uno “stereotipo”  di donna. E’ in realtà riduttivo perché  la questione  abbraccia tantissimi settori. Primo tra questi il mercato. Esattamente in questa reificazione del corpo che riduce il desiderio maschile a una specie di  inferno  di  oranghi e quello femminile in un corpo in  perenne adescamento e vogliosa conquista di “territori”,   si è consolidata la cultura imperante del desiderio tra individui, ridotto a puro format collaudato ormai e per cui  intoccabile.

Questo messaggio è talmente preponderante che basta sgombrare un attimo la mente da qualsiasi retropensiero ideologico per  rendersene conto. Così come è  vero che la stessa vendita delle donne da tempo riguarda anche i bambini.

Quanto vende un corpo femminile perennemente adescante sul mercato mediatico? Quanto vale lo stereotipo del desiderio, meccanismo unico  imbrigliato allo scambio delle merci?
Moltissimo.

Tutto il marketing,  dai prodotti per la cucina, alla cura di sé  ingiungono di  sedurre e adescare. In una  disponibilità senza confini. Per questo è perfino ovvio che se il messaggio, normativo e formativo,  è sempre questo,  il corpo della donna  diventa  una cosa della quale ci si può appropriare in qualsiasi momento. 

A  incrementare il quadro di perdita del desiderio maschile con  donne ossessionate  e disponibilissime  proprio come le olgettine, si è sovrapposta  tutta la vicenda berlusconiana e lo sfiancante dibattitto a corredo. Quindi la norma non è solo  quella derivante dalla pubblicità, e quella dei contenuti  costruiti intorno alla pubblicità e simili a questa, ma  è  anche  quella che deriva da un’intera classe politica e dai  suoi giornali portavoce.
 
Il  patto sesso/ marketing, che poi diventa facilmente mercato del sesso, in cui le donne sono state protagoniste in varie declinazioni  è  quindi  stato il tessuto culturale su cui si è  costruita  l’immagine unica della donna di oggi e simbolicamente della donna  del ventennio berlusconiano.

Il resto dell’industria culturale ha completato il quadro: dalla fiction tv,  al cinema (italiano) al teatro che  sono una succursale tributaria del piccolo schermo, si è ripetuto il meccanismo sotteso al marketing. Si sono ripetuti all’infinito gli stessi ruoli, le stesse attese, gli stessi orizzonti in una monotonia senza confini. Con in sé un altro paradosso:  vendo un prodotto  per donne  come scarpe, borse, profumi, abiti, o  prodotti culturalmente assegnati alle donne (altra assurdità storica ormai)  come detersivi e prodotti per la casa,  ma anche automobili, colle per il legno,  bibite,  saponi  in cui generalmente le donne sono  ritratte in una posizione di  disponibilità sessuale. E perché  una donna deve acquistare una borsa pubblicizzata con una tipa in mutande? 
Per questo il messaggio diventa, ancora di più  una norma: la borsa non serve a farti stare bene, ma a accrescere la tua seduttività finalizzata a una conquista. Che diventa  così un ‘ossessione unica.

La differenza con gli uomini è che  invece  li troviamo diversificati in moltissimi altri ruoli (orrendamente interpretati: leader di partiti, figure politiche disastrose, manager cialtroni etc ) mentre le donne questo spazio lo devono ancora conquistare. In un circuito vizioso senza fine. Come si interrompe allora se non si fa una battaglia appunto  culturale?

Gli argomenti della rappresentazioni e degli stereotipi e il suo impatto anche sull’economia  erano stati  affrontati da Emma Bonino quando era  ministro delle  Politiche Comunitarie.

Dalle vicende sessuali di Berlusconi in poi, sono diventati  monopolio della lobby Se Non Ora Quando, l’unica ad  avere uno spazio mediatico rilevante, gestiti  non sempre in modo lungimirante,  non sempre articolato, non sempre corretto.  Questo “accaparramento”  degli argomenti ha solo rallentato e  imbolsito il dibattito, che però nella società aveva già trovato ampio consenso. E del resto  proprio  grazie alla fortuna mediatica di Se non ora quando, benché  indissolubilmente legata alle vicende di Berlusconi e le donne, che oggi si possono affrontare temi che sarebbero  rimasti nell’ombra.

La risposta più efficace dalla destra e dai fautori di Miss Italia  allora prende la forma  degli articoli dell’antropologa Ida Magli  su  il Giornale : “Laura Boldrini vuole mettere il velo”.

La  destra ossessionata da una libertà che non gli appartiene, affaticata da un servilismo straziante, riduce sempre la questione a un fatto di “libertà”. E proprio  l’uso della parola “velo”  è  indicativa.

Il velo sta alla cultura islamica esattamente come Miss Italia (e il messaggio che contiene) sta alla cultura occidentale.  Sono entrambi un’ingiunzione  alla quale si può sottostare o meno  con  maggiore o minore intensità, ma è un messaggio sicuramente rivolto alle donne per sollecitare o frenare un comportamento sessuale maschile. Con l’uno si prega  di accedere, con l’altro si prega di contenersi (o reprimersi). 

E’ inutile dire quanto sia  molto meglio il modello occidentale. Ma  perché la politica, in un modo o nell’altro entra  sempre nelle questioni culturali senza offrire il modo per risolverle? Non è mai sana  la formula del divieto, semmai dell’incoraggiamento alla diversificazione. E se la politica non investe un soldo in cultura perché mai il privato che produce contenuti si dovrebbe allora  allontanare da un modello consolidato e che funziona?

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