Non è esatto archiviare la prossima Miss Italia come fenomeno di costume nazional popolare, più o meno antiquato, più o meno kitch. E’ importante invece analizzarlo nel suo significato politico e soprattutto economico.
Nelle precedenti edizioni guidate da Milly Carlucci è stato protagonista il concetto di “merito”, che è quello più ricorrente in ogni discorso pubblico, oltre che il meno messo in pratica. Anzi generalmente viene evocato con incidenza proporzionale da chi non ne ha alcuno.
Nel settembre 2009, l’indomani cioè delle veline in lista all’europarlamento, delle lagnanze di Veronica contro il sultano, e dei corsi super rapidi di Brunetta alle fanciulle per consentirgli (secondo lui) di accedere agli scranni europei, la Rai ha voluto interpretare lo sdegno nazionale. Non ha eliminato il concorso delle miss ma ne ha affidato la conduzione a una donna, Milly Carlucci. Probabilmente per sfumare l’ “effetto sultanato” del solito conduttore di una certa età, che si agita con fare da padrone del vapore tra centinaia di ragazzine in mutande.
La conduttrice ha perfezionato l’operazione manipolazione. Così diceva: “La Bellezza è un Talento! Perché esser belli vuol dire anche fascino e personalità. Noi saremo quindi un personalità-show in cui le ragazze devono saper ammaliare, dimostrando di aver quel glamour che può bucare lo schermo.”
Non si capisce come “avere talento nell’ammaliare” possa essere un dato valoriale per una donna. Di fatto non si fa che ribadire la subalternità alla compiacenza di uno sguardo esterno. Tant’ è vero che nel corso di quell’edizione, come in quella successiva del 2010, è stato veramente difficile cogliere altro che non fosse l’ansia da parte delle ragazze di corrispondere ai canoni stabiliti dalla giuria o da un pubblico a sua volta plasmato dagli stessi canoni imposti da anni dall’ industria culturale. Il tutto in un’ eterna infinita gabbia del corpo, tanto più grande per le donne fino alla perdita di vista del proprio “sé”.
A sbugiardare ogni buona intenzione è comunque sempre il grado zero dei giurati. Una per tutte, Sciascia Gambaccini fashion director della finta rivista moderna “A” di Maria Latella, che parla e di donne chiamandole “cavalli di razza”. Ovviamente, è lei che sceglie la cavalla buona.
La violenza della manifestazione non ha limiti. Per le ragazze alle quali viene ipocritamente ripetuto che “sono belle lo stesso”, il “no” si trasforma in disperazione. Alcune piangono, e si chiedono cosa c’è nei loro fianchi che non vada. Nelle gambe o nel loro sorriso.
In verità non si butta niente.
Alcune delle miss dello scorso anno, costrette a dare informazioni sui propri segni zodiacali e varie altre idiozie sui “valori della famiglia” per mostrare talento, sono state reclutate da Emilio Fede per le cene eleganti di Berlusconi in cui ci si passava la statua di Priapo da baciare. Altre, come Roberta Bonasia (Miss Cinema Piemonte), hanno frequentato il premier in modo più assiduo. Alla Bonasia, Lele Mora consigliava di vestirsi da infermiera con autoreggenti e sotto niente, con tanto di attrezzatura medica per fare una finta visita. E lei, in quanto miss ha avuto modo di mostrare “talento nell’ammaliare”: a lungo infatti si è creduto che fosse la fantomatica fidanzata del premier quella con “le unghie affilate” che mai avrebbe permesso che accadessero certe cose. La parte migliore della storia, uno spaccato di antropologia della famiglia italiana, fu però il padre della ragazza che replicò alla giornalista dell’Ansa: “mia figlia fidanzata di Berlusconi? Magari!”
Non c’è solo il “talento” a motivare una vergogna tutta italiana (altrove se ne occupa la tv commerciale), ma lo sfruttamento di un business gigante da parte di pochi, continua ad essere chiamato “una chance” per una ragazza di accedere da qualche parte del “mondo dello spettacolo o della moda”. E ciò, nell’epoca digitale, in cui qualsiasi stilista o regista, dal cinema alla tv alla pubblicità si serve di società di casting dotate di immense banche dati, in grado di poter selezionare in breve tempo centinaia di volti e personalità adatti a ogni necessità.
E precisamente è la “chance dell’accesso al lavoro”, che oggi più che mai viene negata alle donne. Un segnale significativo proviene dagli 800 mila licenziamenti in bianco (le donne costrette al momento dell’assunzione a firmare le proprie dimissioni in bianco che in caso di maternità figurerebbero come “libera scelta”), ai dati sulla disoccupazione: il 9,7% delle donne contro il 7,6% degli uomini, a pari se non migliore livello di scolarizzazione. Né l’innalzamento delle pensioni delle donne, previsto dalle varie manovre, prevede investimenti in strutture che consentirebbero loro di lavorare di più e meglio.
Questa perenne realtà negata e nascosta concernente la metà esatta di energie del paese, e quindi una fetta enorme del potenziale produttivo del paese, ha la sua perfetta corrispondenza nelle proposte assurde della Lega per uscire dalla crisi.
La migliore è l’ultimissima di Calderoli: il Ministro della Semplificazione se la prenderebbe stavolta con le donne casalinghe e vedove e le loro pensioni di reversibilità. Considera coloro che si sono dedicate a famiglia e anziani, in sostituzione dello stato, delle parassite. Perciò suscettibili di punizione.
E se siamo lontani dalle gare di Miss Italia in cui presenziavano Zavattini, De Sica e Totò, i tratti più arretrati a distanza di più di mezzo secolo sono simili.
Scrive Stephen Gundle in “Figure del desiderio” (Laterza, 2007): “l’elezione delle prime donne all’assemblea costituente del 1946 e poi in parlamento costituì una rottura significativa con il passato. All’inizio la stampa puntò i riflettori sull’innovazione valutando la bellezza delle nuove parlamentari: la comunista Laura Diaz fu nominata “ miss Parlamento” e non mancarono menzioni alla figura procace di Nilde Jotti. Il processo mediante cui le donne furono accolte nell’ambito pubblico non soltanto come corpi , ma come individui dotati di potere di parola, fu complesso”.
Così di recente il deputato Giancarlo Mazzuca ha stilato una classifica di fondo schiena delle parlamentari da pubblicare su Panorama.
E se prima erano le voci maschili a decretare le norme della bellezza femminile, oggi ci sono i mediatori di marketing. Quest’ultimo a sua volta “creato” dagli stessi mediatori, provocando tragici circuiti e omologazioni inquietanti.
La puntata di Porta a Porta successiva all’ultima edizione di miss Italia 2010 , malgrado gli sforzi di Vespa di sfumarne la durezza, è fondamentale per chiarire la vera anima del concorso.
Il giudice di gara Guillermo Mariotto mediatore di umanità ad uso del mercato ha detto:
“Metto voti bassi perché si deve sollevare il livello della manifestazione. Sono arrivate valanghe di ragazze piene di cellulite”.
Questo per chiarire che la taglia, anche se quest’anno è garantita una quota di 44, è sempre molto ridotta, e che non è affatto vero: “che sono tutte belle! Non è vero. Solo pochissime sono belle” affermava Mariotto.
Quindi sia ben chiaro che chi non passa è perché ha la cellulite e è racchia, secondo alcuni che decidono tutto. Dopo i cavalli della signora Sciascia, Mariotto stabiliva: “me le metti in fila, io decido subito chi va e chi no”.
Ma la conferma che le miss servono a un inquietante processo di omologazione dei corpi e al loro impiego industriale è arrivata con due professori del Centro di Ortodonzia Italiano, che si occupano di stabilire, anche nella medicina, i canoni da sfruttare industrialmente. “Devo ringraziare la signora Mirigliani” diceva l’emerito professore “per avermi permesso di fotografare le ragazze”. Nemmeno “grazie” alle ragazze per essersi prestate, ma alla padrona per aver permesso le ricerche. Del resto non si era mai sentito nessuno ringraziare una cavia.
I ricercatori del Centro di Ortodonzia hanno fotografato molti dei volti delle ragazze più belle, e li hanno inseriti nel computer, il quale li sovrappone, elabora la “perfezione” e stabilisce il canone.
“A ben guardare” osservava il mostruoso professore senza essere fermato da nessuno: “ognuna di queste ragazze ha un difetto”.
L’unica a manifestare un briciolo di coscienza in quella puntata rivelatrice era Ritanna Armeni : “ma scusi professore, non ci sarebbero altre ricerche più urgenti da fare?” A quel punto si è lanciato il Savoia Emanuele Filiberto contro la giornalista:
“ma signora lei da piccina deve aver sofferto per questioni di bellezza!”.
Si è chiuso l’agghiacciante resoconto con un rimprovero alla Smirigliani da parte della direttrice della rivista Gente: “Secondo me gli fai mettere delle mutande ascellari. Scoprile un po’ di più! E più potere alla giuria, perché da casa a volte si ribalta tutto. Tanto sono loro poi a decidere chi va bene e chi no!”.
Infatti fu Mariotto nel 2007 a proporre il modello omosessuale chiamato “Lato B”. Volle che le ragazze venissero inquadrate da dietro, come l’epoca transgender (secondo quanto afferma Baudrillard), e di indifferenziazione sessuale, impone.
La sigla sfumava poi sull’appello disperato della Carlucci “ aiutateci a salvare la bellezza!”.
La prossima edizione sarà di nuovo nel mani di Frizzi che ripudia la formula del talent show. Ma ha imposto alle ragazze una grottesca lettura di almeno tre romanzi. Oltre che una certa conoscenza della politica e dei suoi protagonisti.
Come dargli torto.