Si sono aperte la settimana scorsa, a Bologna e Ferrara, le celebrazioni per il centenario della nascita di Michelangelo Antonioni (Ferrara, 29 settembre 1912), affidate all’amico e collaboratore Carlo di Carlo e al critico Dominique Païni. I due curatori si sono posti come obiettivo quello di mostrare lati nascosti del regista (morto a Roma nel 2007), il suo rapporto con il mondo dell’arte e della pittura, specialmente quella del Rinascimento.

“È possibile individuare i legami che autorizzano ad interpretare l’arte di Antonioni come un’arte che eredita pienamente la tradizione del Rinascimento”, scrive Païni nel comunicato stampa. “Gli è accaduto a volte di ricordare la sua speciale ammirazione per Piero della Francesca […] si pensi alla sequenza dominante di Professione-reporter-Maria-SchneiderDeserto rosso, che si svolge in questa cabina dall’architettura precaria, che ricorda le fragili culle delle Natività rinascimentale”. Sostenuti dalla Cineteca di Bologna, hanno inaugurato il 27 settembre la retrospettiva intitolata Grandezza e declino dell’umanesimo secondo Antonioni, il primo dei numerosi eventi che accompagneranno la ricorrenza, che culmineranno nella mostra ospitata dal Palazzo dei Diamanti di Ferrara il prossimo marzo. Al Cinema Lumière sono stati proiettati anche i cortometraggi, da quello d’esordio, Gente del Po, ai lavori realizzati fino al 1950, ai quali si aggiungono due documentari degli anni Novanta, Noto Mandorli Vulcano Stromboli Carnevale e Sicilia. La Cineteca di Bologna ospiterà per il mese di ottobre la seconda parte della retrospettiva, L’Italia è troppo lontana. Nel frattempo, sempre al Cinema Lumiére saranno esposti i cimeli universitari di Antonioni, generalmente custoditi dall’Archivio storico dell’Università di Bologna: la tesi finale, il suo libretto universitario e altro ancora, tutte testimonianze del complicato percorso universitario di Antonioni.

 

 

antonioni1La passione per le lettere
È proprio qui, infatti, che la retrospettiva riserva la prima sorpresa: la laurea in Economia e commercio conseguita nel 1938, con un anno di ritardo a causa della partecipazione ai Littoriali dell’Arte e della Cultura del 1935 e del 1937, edizione nella quale Antonioni vince il primo premio. In un’intervista a Aldo Tassone, per il libro I film di Michelangelo Antonioni-un poeta della visione (Gremese Editore), il cineasta svela: “il complesso di non aver fatto gli studi classici mi rimarrà sempre un po’. Mi piaceva molto scrivere, ma non mi ritenevo abbastanza colto: pensavo che per scrivere ci volesse una gran cultura”. Quando ricevette nel 1993 la laurea honoris causa in lettere “per i suoi alti meriti culturali” da Giorgio Tecce, il rettore dell’Università La Sapienza di Roma, Antonioni, con gli occhi pieni di lacrime, riuscì a dire soltanto: “Grazie, è bellissimo”.
Nonostante gli studi scientifici (frequentò l’istituto tecnico dopo aver lasciato il ginnasio a causa di una serie di dissidi con il preside), Antonioni mostra fin da bambino inclinazioni artistiche: a dieci anni studia il violino (costretto ad abbandonare per alcuni tic nervosi), a diciassette anni entra in una compagnia teatrale, esperienza che ripeterà durante gli anni bolognesi. Mentre studia Economia, nel 1935, tiene una rubrica cinematografica su Il corriere padano, un quotidiano di Ferrara, e progetta un cortometraggio sul manicomio cittadino mai girato perché gli stessi degenti si spaventarono all’accendersi dei riflettori. Antonioni, in un’intervista, affermò che fu proprio “attorno a quella scena, che cominciammo a parlare, senza saperlo, di neorealismo”. Esperienze abbastanza scollegate dal percorso universitario intrapreso e forse imposto dal padre Ismaele Carlo che girava l’Italia e l’Europa in qualità di rappresentante della Ditta Santini produttrice di caffettiere e lanterne da miniera. Le scelte lavorative del genitore non sembrano appassionare Antonioni, il quale appena laureatosi rifiuta un impiego in banca a Ferrara, e preferisce partire alla volta della capitale dove, prima di essere chiamato per la leva obbligatoria, lavorerà come redattore alla rivista Cinema e si iscriverà al Centro Sperimentale di Cinematografica.

 

promessi_sposiUna media poco brillante
Come racconta Gian Paolo Brizzi, direttore dell’Archivio Storico dell’Università di Bologna, il materiale conservato sembra suggerire che il futuro regista fosse poco interessato alle materie economiche: il libretto poco brillante, il voto finale di 95 su 110, la frequentazione dei corsi della facoltà di Lettere. Fino all’ultimo, Antonioni cercò di coniugare le aspirazioni artistiche con gli studi economici, dedicando una delle due tesi orali obbligatorie al mondo cinematografico (Motivi e forme dell’intervento statale nella produzione cinematografica), di cui resta traccia solo nel modulo di richiesta, a suo tempo compilato. La stessa tesi scritta cerca di sfruttare le lezioni seguite alla facoltà di Lettere, in un modo certamente originale, avendo come oggetto I problemi di politica economica ne I Promessi Sposi. Sempre nell’intervista a Aldo Tassone, Antonioni racconta il perché di questa scelta: “So che in genere i giovani non amano questo libro, ma a me piacque molto. Sostenni che il Manzoni non capiva niente di politica economica e il professore, Alberto Giovannini, mi diede perfettamente ragione”.

 

Il XII capitolo manzoniano
L’attenzione del giovane Antonioni è tutta rivolta al capitolo XII del celebre romanzo, l’episodio della carestia di Milano e dell’assalto ai forni. Come si ricorderà, si tratta di un evento realmente accaduto nel 1628, quando il capoluogo lombardo era governato dal Gran Cancelliere Antonio Ferrer, nominato in sua vece dal Governatore Don Gonzalo Fernander de Cordova, invischiato nella guerra di successione di Mantova e del Monferrato, conflitto tutto spagnolo che insanguinò a lungo le campagne italiane. Al secondo anno di carestia, di fronte alle rabbiose proteste del popolo per la carenza di grano e farina, Ferrer decise di dimezzare il prezzo del pane: “prezzo che sarebbe stato il giusto, se il grano si fosse comunemente venduto a trentatré lire al moggio: e si vendeva ad ottanta”, annota il Manzoni, e che dunque non poté che attirare le lamentele dei fornai. Per evitare la chiusura dei forni, si ripristinò il vecchio calmiere; ed è nel giorno successivo a questa decisione che Renzo arriva a Milano, intrecciando così il Manzoni la storia pubblica con quella del romanzo. La rivolta popolare sfociò nella devastazione dei forni (“questa non è poi una bella cosa. Se conciano così tutti i forni, dove vogliono fare il pane? Ne’ forni?”, è il commento di Renzo) e l’assalto al palazzo del Vicario di provvisione, capo espiatorio politico della rabbia della “moltitudine” milanese.
Nelle duecento pagine di dissertazione, Antonioni va oltre la posizione critica di Manzoni, che dietro il velo del narratore onnisciente scomunica la decisione “leggera” di Ferrer, e disquisisce piuttosto su cosa effettivamente si sarebbe dovuto decidere in termini di politica economica. Ferrer infatti, decidendo di alzare il prezzo del pane, scaricò il maggior costo del grano (dovuto alla carestia) sui panettieri; avrebbe piuttosto dovuto sgonfiare a monte la bolla inflazionistica della farina, imponendo prezzi più accettabili. Ma avrebbe potuto farlo? Ancora nel 1600 mancavano i fondamentali dell’economia, elaborati solo a partire dal Settecento, grazie a pensatori come Adam Smith, Thomas Malthus, James Mill. Lo stesso “fondatore” della scienza economica, David Ricardo, visse tra il 1772 e 1823. Fu lui il primo a formulare in modo rigoroso il sistema classico dell’economia politica (superato soltanto alla fine dell’Ottocento dalla nuova scuola marginalista, detta neoclassica, che dominò fino alla crisi del 1929) e a definire il concetto portante di valore (il valore dei beni è determinato dalla quantità di lavoro necessario per produrli). Manzoni, nato nel 1785 e morto nel 1873, vive dunque la nascita della scienza economica, laddove invece Ferrer, sia detto a sua discolpa, si è trovato in un’epoca di transito verso la società capitalistica, durante la quale, per la prima volta, si stava sperimentando un’integrazione globale. Seppur animato da un profondo senso di giustizia sociale, il giovane Antonioni, da novello economista, non potè fare a meno di notarlo.

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