Cambierà il vento
come le parole
perché la vita
imita la voce dei poeti
Michela Zanarella è ormai da alcuni anni un nome consacrato alla poesia. La sua ampia attività personale (ricordo in particolar modo le sillogi Meditazioni al femminile del 2011, L’estetica dell’oltre del 2013 e Le identità del cielo sempre del 2013) e il suo serio impegno in festival, commissioni di giuria di premi letterari ed altre iniziative affini dimostrano il suo legame autentico e viscerale con quel canto dell’anima che permette di far affiorare la parte più intima del pensiero e di svelare anche l’attaccamento nei confronti del tempo.
Si tratta di una poetessa che ha meritoriamente acquistato un suo posto in quella che ancora non è definibile propriamente la storia della letteratura italiana, dacché si sta scrivendo proprio ora, ma senz’altro una posizione di prestigio e di alta competenza e professionalità nel suo dire con le parole. Distante da intenzioni di piaggeria, dacché Michela è una mia carissima amica, ciò che sto dicendo è una verità palpabile e concretamente fruibile e sotto gli occhi di tutti.
Il nuovo lavoro poetico dal titolo evocativo e curioso, Le parole accanto (Interno poesia, 2017) ci parla di come sia possibile (e necessario per il nostro benessere) fermarsi dal tran tran della vita di tutti i giorni per riflettere. Una riflessione che avviene a partire dal cambio di città e di vita, dalla lontananza fisica dalla propria terra e d’isolamento dalla sua primigenia realtà. Non si tratta solo di una silloge che raffronta l’oggi con un ieri diverso, apparentemente lontano, ma di una summa di pregevoli testi che si pongono il quesito del tempo e, con esso, della memoria. La Nostra, infatti, con malcelati moniti di rimorso e con una palpabile nostalgia della sua culla –tanto gli spazi, quanto la famiglia- tenta un riavvicinamento fisico, emotivo e personale con quell’ambiente che la distanza ha in qualche modo reso non più suo. C’è un desiderio di ritornare bambina, di riappropriarsi delle sue cose se non fosse che il tempo e le incombenze della vita nel frattempo l’hanno resa donna. Femmina matura e passionale, sensibile ed acuta, ancorata al sentimento e alle immagini di un mondo di provincia che ha impresso in lei importanti leggi morali quali il rispetto dell’altro, la confidenza col silenzio, il fascino verso la natura, un rapporto mite e disponibile verso l’altro, piegato il più delle volte a vedere il bicchiere mezzo pieno piuttosto che mezzo vuoto.
Questo libro offre immagini di una nettezza visiva che si fanno altisonanti, si percepisce il carico di un vissuto che è lì, presente, nell’anima e che si vorrebbe riaccendere ed ardere, come una fiamma che col tempo ha dovuto estinguersi. Ritroviamo i tentativi di riconciliazione con i genitori, e soprattutto con il padre, la cui figura ricorre praticamente nella gran parte delle liriche. La sua poesia da canto dell’infanzia si fa persuasiva e accorata, un invito a ritrovare quell’eden dove il caos, i problemi del mondo, le questioni della vita ancora non rappresentavano uno spauracchio. Nella campagna padovana s’identifica quel luogo mitico che si innalza a márqueziano Macondo, pure nei momenti di assenza, di apparente noia, di incomprensione o di castigo. Ogni cosa, ora, al presente, si fa evocabile e lucente, si percepisce un senso di mancanza verso la semplicità dei gesti di quel mondo, della libertà di correrei nei campi, della rassicurante vicinanza del padre, pur spesso silente ma comunque figura imprescindibile nell’infanzia.
Ecco allora che queste poesie tendono a rompere quegli steccati che il tempo vorrebbe erigere tra mondi temporali tanto diversi, tra l’infanzia e la prima adolescenza, tra la partenza dal Padovano e l’arrivo nella Capitale. Le poesie rintracciano il tempo dell’infanzia non in maniera distante ma si coagulano al presente nella cui anima si sono sciolte da divenire fiume dirompente di lapilli emozionali. Questi versi, che cantano di un tempo d’oro e invitano con l’artifizio letterario alla riscoperta, alla vicinanza, all’appello e ad una unione non più reale ma in qualche modo metafisica, sono parole che Michela dispone “accanto” di quelle vicende iniziali che hanno aperto la sua esistenza al mondo. Poesie che accompagnano, lambiscono, attorniano, si dispongono ai lati come un cuscinetto che possa servire a salvaguardia di quel mondo, da renderlo intoccabile e difendibile. Le sue poesie corteggiano la vita e illuminano il percorso interiore di una donna matura che si è fatta e sta facendosi il suo percorso nel mondo la cui vivezza è data dall’addestramento alla vita: “non sapevo che tu volessi insegnarmi/ ad amare gli attimi”. Impreziosire la propria vita è possibile dando valore al tempo che si vive nel presente ma anche riscoprire e rivivere gli attimi, le vicende che ci hanno formato e fatto divertire, i momenti –pur semplici e insignificanti ai più- che ci hanno fatto star bene ed aprire il cuore, nei quali ci siamo sentiti amati e parte di un universo, quello familiare, che ci ha dato tutto.
Il percorso per giungere a questa importante rivelazione non è però semplice ed è solo con il tempo che si attua quella crescita psicologica della persona rivelando, così, anche le criticità verso il proprio comportamento passato nell’incapacità di saper ascoltare adeguatamente, di non aver ancora avuto tutti quegli arnesi per permetterci l’auscultazione della vita. In “Vengo a respirare” è chiaro il rammarico, diluito anche in altri componimenti, nei confronti della madre, non vissuta durante la sua fase infantile con l’intensità della quale ora si sente in difetto: “Vengo a respirare/ dai tuoi confini lontani/ e ci trovo tutto l’amore che non ho mai capito/ e che ti ho sentito madre troppo tardi”; in un’altra lirica leggiamo: “Non sono stata capace/ di gridare a cuore aperto/ quanto manca la tua voce/ al mio respiro”.
Il mondo poetico di Michela Zanarella, che in precedenti sillogi ha saputo vestire anche i panni di una sensibile e critica indagatrice sociale con liriche di ampio respiro rivolte all’attualità, si fa qui monocorde, sui temi del tempo e dell’infanzia, sui motivi dell’origine, della crescita, della culla e delle radici e, ancora, sul rapporto filiale, vale a dire confluisce in una isotopia del tempo giovane riletto in chiave matura. Questa unicità tematica che non è mai ossessiva né petulante è la vera chiave di volta dell’intero lavoro, profondamente incentrato sui legami più sanguigni, sui valori della vita, sul rapporto con le immagini che ci sfilano dinanzi ai nostri occhi senza avere il potere di saperle cogliere all’istante.
La provincia padovana è descritta come quella “terra che mi sfugge solo nella distanza/ ma che è pur sempre/ radice che confina col mio sangue”, spazio dove rincorrere felici in compagnia dell’amato fratello, attorniati dalla natura e dalla presenza amica di grano, edera e lucciole. L’immagine della lucciola, in particolare, è assai significativa venendo a rappresentare, nelle fasi intermittenti di lucentezza della propaggine dell’animale, fasi di bagliore della memoria a momenti più cupi e polverosi in cui la minaccia del presente incombe da non permettere di librarsi ai colori e ai cieli dell’infanzia. Della lontananza (alla quale è dedicata una lirica che porta proprio questo titolo, a mio vedere una delle più toccanti e intime dell’intero volume) spaventa ogni cosa che risiede nella mancanza. L’essere distanti non è duro in termini emotivi per ragioni di isolamento nel nuovo spazio, di mancata coesione ed inserimento ossia per sentirsi in qualche modo una monade, una sorta di esiliata, ma è configurabile in tutto ciò che viene a mancare: la madre, il padre, la casa familiare, la campagna, e tutto ciò che circonda quel mondo dal quale “h[a] scelto di andare”. Nella dolorosa mancanza del corporeo, di un contatto materiale, di un rapporto concreto con chi ha lasciato la Nostra, da eccellente poetessa, non può che imbracciare il canto della parola per verdeggiare la memoria, per sentirsi più vicina ai suoi cari e sentirsi da essi accompagnata. Questi versi che parlano di Michela di com’era o come avrebbe voluto essere sono allora forma di un rapporto dialogico trascendente: ella parla, invita, ricorda, chiede perdono, si recrimina, canta il suo amore per un mondo che ha respiro nel suo cuore verso un interlocutore che è universalmente presente.
Nel percorso di elaborazione della lontananza Michela riscopre la mancata simbiosi con la madre, la dissipazione di momenti che ora pagherebbe oro per poter rivivere e in questo rinata consapevolezza dai toni agrodolci si riscopre figlia della terra, figlia di una donna che le ha dato la vita e alla quale ora sente di essere forma: “Tu sai quanto somiglia la mia pelle/ alla tua”; “Ti sento radice che indossa le mie vene”.
L’aria, ci dice la Nostra, è espressione di verità ed il vento è artefice della mimesi dell’esistenza e come tale si fa voce dell’intimo dei poeti. In questa simbolica e proteiforme rivelazione che evidenzia un panteismo più che con la natura silvestre con l’aria e le nuvole, la mite voce della Nostra è lì ad “insegu[ire] la […] assenza” mentre è scissa e nostalgica, “sola con la tua voce accanto”.
Il messaggio più chiaro ed alto che la silloge emana è quello che incita a vivere il proprio tempo con intensità, orgoglio e vivezza, a non lasciarsi trasportare dall’indifferenza e a cogliere ciascun attimo per vivificarlo, per renderlo il più pieno possibile sapendo donare gioia non solo a se stessi ma anche agli altri perché è proprio da quest’ultimo benessere che ci realizziamo, ci valorizziamo e diamo linfa al nostro animo. Ecco che con questa raffinata raccolta poetica la Nostra mostra di aver compiuto, fiera, i passi che s’inanellano in un percorso di maturazione e di pacificazione costruendo morfologicamente la sua esistenza; un percorso –come si è visto- mai facile e mai completamente definitivo perché le pillole del passato sono inscindibili dalla mente e ritornano a brillare di continuo, facendo gioire e nutrendo una mestizia che l’immensità del cielo, che fonde quello del Padovano e della Capitale, è in grado di addolcire. La lontananza che in certi momenti è particolarmente sentita da dar luogo a circospezioni sul vissuto, altre volte si fa lieve e gradevole, ripescando episodi simpatici e distinti nell’infanzia. Ed è qui che si scontra il mondo del silenzio e della polvere con quello dell’ordinarietà in una città diversa dalla sua, realtà con le quali la Nostra vive congiuntamente come in una intersecazione dell’insiemistica essendo giunta ad una tregua salvifica e rassicurante: “Ti penso e so che mi appartiene/ anche la distanza” .