Non paghi la retta della mensa della scuola? Tuo figlio mangerà lontano dai suoi compagni di classe. Sono sempre più numerose le amministrazioni comunali che decidono di escludere dalle mense scolastiche i bambini i cui genitori risultano morosi e non rispettano il pagamento dei buoni pasto: da Vigevano (Pavia), a Cornate (Monza e Brianza), passando per Adro (Brescia) dove il caso scoppiò più di tre anni fa, la situazione pare ripetersi con preoccupante costanza. Ma quali sono gli effetti di simili situazioni sui bambini?
Secondo Federica Durante, ricercatrice di Psicologia Sociale dell’Università di Milano Bicocca ed esperta in contesti educativi, “questo tipo di situazioni può causare problemi, poiché l’esclusione è sempre un’esperienza psicologica estremamente dolorosa. La ricerca empirica in psicologia sociale dimostra che la semplice divisione di individui in due gruppi attraverso un criterio del tutto insignificante e arbitrario porta questi individui a favorire il proprio gruppo e a differenziarlo positivamente dall’altro: e ciò accade sia tra gli adulti che tra i bambini. In altre parole, introdurre una differenza laddove non c’è può determinare un atteggiamento pregiudiziale che rischia di minare le relazioni tra i bambini. Se è vero che una strategia molto investigata per la riduzione del pregiudizio è proprio il contatto fra i gruppi, mi pare che le soluzioni proposte dai Comuni vadano esattamente nella direzione opposta”.
Da un lato, dunque, le amministrazioni si trovano costrette a fare quadrare i conti (a Cornate, per esempio, il buco causato dai genitori morosi era arrivato a 80mila euro); dall’altro lato, le soluzioni proposte non sembrano in grado di favorire una crescita serena per i più piccoli.
Chiara Volpato, professoressa ordinaria di Psicologia Sociale in Bicocca ed esperta in relazioni tra gruppi, identità sociale, pregiudizi e stereotipi, analizza: “Queste pratiche vanno contro il dettato e lo spirito dell’articolo 3 della Costituzione che impegna la Repubblica Italiana a rimuovere gli ostacoli che impediscono l’uguaglianza tra i cittadini. Sono ancora più gravi se si pensa che colpiscono dei bambini, creando volutamente una situazione di disparità e diseguaglianza e addossando ai piccoli responsabilità non loro. Da un punto di vista psicologico, le pratiche di esclusione non possono che creare gravi danni all’identità sociale dei bambini coinvolti, che si sentiranno parte di un gruppo di status sociale inferiore, ostracizzato e marginalizzato, con tutte le conseguenze che questo comporta. Le pratiche di esclusione provocano nei bambini emozioni negative (umiliazione, vergogna, colpa, ansia) che si trasformeranno, nella maggior parte dei casi, in sentimenti di insicurezza e rancore e in comportamenti di opposizione, ribellione, asocialità, per controllare i quali la comunità dovrà domani sborsare ben più denaro rispetto agli euro non spesi oggi. E’ molto difficile far fronte a sentimenti di vergogna e umiliazione: lo è ancora di più per un bambino che non padroneggia ancora tutte le strategie cognitive atte a comprendere fino in fondo la situazione”.
Alessia Agliati, psicologa e dottoressa di ricerca in Psicologia della Comunicazione e dei Processi Linguistici, evidenzia invece come non sia scontato che una decisione del genere possa causare problemi nei bambini coinvolti: “Dipende da come viene posta o imposta ai bambini e da cosa viene detto loro, oltre che da come viene vissuta dalle famiglie. Detto ciò, propongo un semplice esempio. Immaginate di usare tutti i giorni l’autobus per andare al lavoro e che non spetti a voi il pagamento dell’abbonamento. Un bel giorno, all’improvviso, vi comunicano che dovrete andare al lavoro a piedi perché per voi non è più possibile prendere l’autobus. Non potendo comprendere le ragioni di questa esclusione, come vivreste, come vi sentireste?”. Prosegue Agliati: “Benché le ragioni delle amministrazioni siano certamente profonde, serie e complesse, la via della strumentalizzazione dei bambini finisce sempre con l’essere la più meschina”. Attenzione, però: “Esprimere dissenso o indignazione su questo tema è cosa facile e quasi scontata”. Quali potrebbero essere, dunque, i rimedi per contrastare gli eventuali traumi provocati nei piccoli? Agliati precisa: “Intanto non parlerei proprio di traumi, ma di vissuti di frustrazione, esclusione, emarginazione che non necessariamente devono lasciare tracce indelebili nel percorso di vita dei bambini, a meno che non si aggiungano ad altre profonde spaccature. Non sottovalutiamo le risorse e le competenze dei piccoli nel far fronte a situazioni anche più critiche. Certo è che è necessario rintracciare strade alternative, cercando soluzioni strutturali che prevedano un ripensamento del sistema di iscrizione al servizio e una riorganizzazione del momento del pranzo a scuola. A questo punto, la questione si sposta sul piano legislativo (facendo i conti con le norme di igiene e di sicurezza), e richiede di essere valutata in termini organizzativi ed economici. Ma se dovessi rispondere mettendomi dalla parte dei bambini e tenendo esclusivamente in considerazione il loro benessere – a cui peraltro tutte le altre questioni dovrebbero piegarsi – direi che si dovrebbe arrivare a lasciare alle famiglie la scelta di iscrizione al servizio all’inizio di ogni anno scolastico e fare in modo che in ogni scuola si apra uno spazio dedicato, strutturato e opportunamente regolamentato, dunque legittimato, in cui i bambini non iscritti alla mensa possano consumare il pasto portato da casa, senza sentirsi esclusi o puniti per una colpa non loro, venendo accolti e accuditi come gli altri nel rispetto delle loro esigenze specifiche”.