“Ci vuole un gran fisico” è un film da poco uscito nelle sale, destinato a non avere lunga vita, ma che interessa più che altro per i quesiti che solleva legati alla rappresentazione delle donne.
Scritto a più mani con la bravissima Angela Finocchiaro, e girato dall’esordiente regista italo francese Sophie Chiariello, ha come tema centrale la menopausa e come obiettivo quello di sfatare alcuni miti sgradevoli a riguardo provenienti da una pressione sociale, a sua volta condizionata dal marketing nel circuito di specchi e di riflessi che ormai conosciamo. Il mondo del lavoro poi – con in aggiunta la crisi economica – segue lo stesso percorso di esclusione, di pressione e di adesione ai modelli “ imposti” dal mercato.
Ma se l’obiettivo era programmaticamente quello di smontare la costruzione sociale sulle cinquantenni tanto che le interviste rilasciate dalla stessa attrice sono più che condivisibili, è incredibile come nel film, nell’ansia di denunciare che tutto sta nel condizionamento degli sguardi cui conformarsi, si sia riusciti a confermare ovunque lo stereotipo che si voleva smontare: “Le donne che hanno cinquant’anni sono babbione invece gli uomini sono autorevoli. Le donne finiscono nel cono d’ombra, non hanno più desiderio…”. La protagonista sta per compiere cinquant’anni, lavora in un reparto di estetica di un grande magazzino e convince le clienti a comprare creme dicendo che lei ha sessantotto anni. Fa ripetere loro il mantra “ io non sono vecchia”, si guarda ossessivamente allo specchio manifestando delusione, vede la sua panda mentre viene rottamata e scoppia in lacrime, è inacidita dal giovanilismo della madre, dalle esuberanze sessuali di una sua collega coetanea, quando sogna, sogna dentiere, caldane, vampate, sudori. La salva da se stessa l’angelo della Menopausa (Giovanni Storti del trio Aldo Giovanni e Giacomo) che arriva a un certo punto a suggerirle che forse la sua vita potrebbe essere migliore. Più che un film sulla menopausa è una disastrosa fotografia che ha molto a che vedere con la percezione di se stesse legata alla pressione sociale.
Siamo dunque condannate per sempre a esistere l’ 8 marzo, che è stata la sapiente (secondo loro) data dell’uscita del film. Al di là del film, soprattutto, sembra che si stia producendo un’immensa quantità di materiale figlio dalle proteste di questi ultimi anni. Ma si stanno raccogliendo i buoni frutti o si sta inventando il nuovo brand “la donna vittima della società”, e visto che se n’è parlato tanto… si può sfruttare il filone di successo? Si può sicuramente denunciare la pressione sociale che subiscono le donne, ma siamo sicuri che si debba così esaltare ciò che si subisce senza mai inventare una scappatoia o un sano punto di vista su se stesse? Perché le donne italiane con un minimo di consapevolezza “fanno” le donne (con tutto il portato di complicazioni sociali e culturali) e non “incarnano” mai donne diverse e tuttavia reali? Perché la società sa produrre delle splendide Laura Boldrini, e Angela Finocchiaro che è una splendida donna di cinquantasette anni non ha sfruttato l’occasione per un ruolo di sessantenne anziché quello di donna alla fine dei quaranta? Non è così riconfermare uno sguardo strabico che poi legittima le quarantenni a essere trentenni e via così infantilizzando e perdendo sempre più riferimenti? Perché ancora non si riesce a stare meravigliosamente nei propri anni?
Osservava la regista Chiariello, intervistata “sono sicura che mancava una riflessione su questo argomento”. Invece quello che manca è ancora una volta il ruolo di una donna che abbia la sua età e che faccia delle cose, a parte lamentarsi.
Ma poi è così tragica la menopausa? Ricorda la psicoterapeuta Luana De Vita: “gli indiani d’ America chiamano la stagione della menopausa la stagione della “luna piena”. Intendono con questo il periodo in cui le donne sono al massimo splendore. I Cherokee credono che l’età adulta delle donne, la pienezza, inizi a 51 anni. Mi piacerebbe un film sulla menopausa, a patto che facesse vedere cosa accade. E’ un momento ricco e fertile nella vita di una donna, il sesso è più libero, aumenta la libido, torniamo come da bambine, la nostra energia non andrà impegnata nel sangue mestruale ma in una attività creativa. Cessa la capacità biologica di essere fertili, ma la fertilità è incanalata in altre mete, abbiamo maggiore potenzialità per esprimere capacità interiori e anche maggiori capacità di esprimerla perché siamo mature e abbiamo accumulato esperienza.
La menopausa altro non è che un ciclo di trasformazione che abbiamo avuto già nell’adolescenza. La verità è che questa trasformazione coincide con una serie di eventi peculiari con quel ciclo di vita, un cambiamento nella coppia, va verso l’invecchiamento che culturalmente è demonizzato, non ultimo la nostra maturità coincide con l’invecchiamento dei genitori e un periodo in cui elaborare i lutti dei genitori. Ma il punto è che abbiamo la pretesa delirante di negare la normalità dei cicli biologici e fisiologici della vita. Così continuiamo a pensare che le donne esistono in funzione dello sguardo degli altri. Ma il messaggio che deve passare è che abbiamo capacità in prospettiva, forza in prospettiva, che le trentenni si sognano”.