E’ possibile ottenere direttamente il divorzio senza passare per il processo di separazione dei coniugi “allorché il matrimonio non sia stato consumato”. Tuttavia non è mai ammessa la semplice dichiarazione congiunta dei coniugi, ma si richiedono prove specifiche, le quali, salvo casi particolari di difetti fisici o di illibatezza della donna, sono di ben difficile effettuazione. Tuttavia alcune sentenze stanno, da qualche anno, mostrando una maggiore disponibilità dei Tribunali.

Il punto f) dell’art.3 della legge divorzile n.898/70 (singolarmente, a causa forse delle polemiche sorte al momento della promulgazione della legge, il Parlamento non ha mai inserito la normativa relativa all’interno del codice civile nella parte dedicata al matrimonio all’annullamento ed alla separazione), ammette che il Tribunale possa pronunciare il divorzio, allorché il matrimonio non sia stato consumato, senza la preventiva pronuncia della separazione.
Si tratta di una norma promulgata in parallelismo con l’analoga norma canonica, ma in stridente contrasto con la visione civilistica del matrimonio.
Infatti, mentre per la concezione cattolica, che vede nell’unione tra coniugi realizzarsi il fine della procreazione, è rilevante l’inesistenza di rapporti sessuali, per il diritto civile, ben può sussistere un matrimonio basato, sull’accordo dei coniugi, anche soltanto sul rapporto personale in assenza di rapporti fisici.
Sottaciamo su tutte le questioni di diritto, sorte all’epoca dell’introduzione della norma, circa il contenuto del concetto di consumazione. Quali tipi di rapporti fisici appaiono “consumare” il matrimonio e quali no, se il rapporto vaginale sia da equipararsi ad altri tipi di rapporto, se necessiti orgasmo o l’eiaculazione, se vadano conteggiati i rapporti prima del matrimonio e così via.

I PRIMI TENTATIVI
Poiché la possibilità in ottenere in tempi brevi il divorzio, senza passare prima per il processo di separazione, poi per l’attesa triennale (in origine quinquennale), per di più risparmiando i costi di un doppio processo, appariva di estremo interesse, numerose furono subito le domande di divorzio, anche presentate congiuntamente, corredate della semplice dichiarazione di entrambi gli interessati “di non aver consumato”.
Per evitare di trasformare il procedimento in una farsa, tuttavia la giurisprudenza si arroccò subito in una posizone di diniego, pretendendo specifiche prove, di fatto impossibili da fornirsi.
Nella mia vita professionale quarantennale, una sola volta mi è capitato di articolare il ricorso per divorzio in un caso di illibatezza della donna, situazione peraltro contestata dal marito il quale (spaventato dalla richiesta di assegno mensile) sosteneva comunque esservi stati rapporti fisici, sia pure diversi.
D’altra parte tutte le decisioni emanate fino al 2004-2005 respingevano sempre le domande, anche se presentate congiuntamente, non ammettendo seplicemente i mezzi istruttori richiesti, ritenendo inammissibili delle prove da espletarsi con soggetti che riferiscono per relato (cioè riportando le dichiarazioni dei coniugi), ma che nulla possono riferire per aver constatato personalmente.
Poiché in genere i testimoni non frequentano i talami coniugali, la norma diveniva di fatto inutilizzabile.

IL RIPENSAMENTO DEI GIUDICI
Alcuni Tribunali italiani tuttavia in determinate situazioni, cominciarono a rivedere le proprie posizioni.
In alcune fattispecie infatti, pur in assenza di prove dirette, sussistevano indizi univoci e concordanti tali da far ipotizzare la fondatezza delle deduzioni del o dei ricorrenti.
Ciò avveniva per esempio, allorché i coniugi, entrati in contrasto subito dopo il matrimonio, non erano andati a convivere sotto lo stesso tetto.
Questo stato di fatto, pur non essendo decisivo (i rapporti sessuali possono intrattenersi dovunque), tuttavia costituiva una circostanza tale da legittimare anche l’ammissione di prove testimoniali de relato le quali, se confermavano i fatti dedotti, convincevano il Collegio circa la fondatezza della domanda.

L’INTERVENTO DELLA CASSAZIONE
Anche la Corte Suprema rimetteva mano alla questione con la sentenza n.2815 dell’8.2.2006 in una fattispecie piuttosto singolare.
La questione riguardava una coppia nella quale la donna era al terzo matrimonio.
Il marito si rivolgeva al Tribunale sostenendo che lo stesso giorno della cerimonia nuziale, egli si era recato in viaggio di nozza in Costa Azzurra con la moglie, ma questa, la sera, nella camera dell’hotel, si era rifiutata di intrattenere rapporti fisici, sostenendo che lo considerava soltanto come un padre e di non sentirsi pronta ad un rapporto sessuale.
La stessa sera il marito aveva comunicato la situazione e tutto il suo disappunto telefonando in Italia a due conoscenti, delle quali una era un avvocato.
Trasferitisi i coniugi in altro hotel,   prendevano due camere separate.
Il giorno successivo interrompevano il viaggio ed il rapporto. Il marito si recava per lavoro in Lussemburgo ed al ritorno in Italia presentava il ricorso divorzile.
In tale processo, sussistendo prove documentali degli eventi (la locazione di due camere separate, la mancata convivenza), venivano ammesse le prove, pur se non relative a circostanze verificate direttamente. Sentite le due donne che avevano ricevuto le confidenze a caldo dal marito deluso, confermavano i fatti ed addirittura uno dei precedenti mariti della donna, citato singolarmente dalla stessa, narrava al Tribunale che analoga situazione si era verificata durante il suo matrimonio.
Sia il Tribunale che la Corte di appello pronunciavano il divorzio.
La Cassazione a cui si era rivolta la moglie, lamentando l’inammissibilità di prove con testi che riferivano fatti de relato, confermava le sentenze, precisando che, allorchè non sia possibile effettuare accertamenti medico legali sullo stato di verginità della donna o di difetti fisici dei coniugi, e semprechè vi siano rilevanti indizi, come quelli relativi alla mancata convivenza comune, divengono ammissibili e rilevanti anche le testimonianze de relato, o semplici elementi indiziari, come la tempestiva lettera dell’avvocato del marito che contestava gli eventi, non riscontrata, o la condotta processuale delle parti.

I MATRIMONI SIMULATI
Per completare l’argomento, va detto che lo stesso principio alcuni Tribunali lo hanno ritenuto valido per i matrimoni cosiddetti di comodo, allorché l’unione sia solo finalizzata a far ottenere la cittadinanza ad una donna.
In tal senso il Tribunale di Salerno con sent. n. 1909 del 2007 ha statuito che, nell’ipotesi in cui la mancata consumazione del matrimonio civile sia stata dai nubendi preordinata – come avviene qualora il matrimonio sia simulato – per sciogliere il vincolo la legge accorda due distinti rimedi.
Il primo consiste nel dedurre l’invalidità del matrimonio nel termine di decadenza di cui all’art. 123 c.c..
Il secondo nel proporre domanda di divorzio per inconsumazione ex art. 3, n. 2, lett. f), della legge n. 898/1970, rimedio che ben può essere fatto valere anche quando sia già maturato il termine di decadenza previsto per l’azione di simulazione e tra i coniugi non si sia mai instaurata una comunione spirituale e materiale.

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