A 76 anni e con un ictus sulle spalle, il presidente algerino Abdel Aziz Bouteflika, dato per finito politicamente solo pochi mesi fa, è ritornato ufficialmente al potere e si prepara a restarci per almeno altri due anni.

Il capo di stato algerino a sorpresa si è detto pronto a partecipare ad una riunione del Consiglio dei ministri fissata mercoledì scorso e rimandata solo all’ultimo minuto, mettendo per la prima volta negli ultimi sei mesi di nuovo piede nel palazzo presidenziale di Algeri. Non si tratta di una partecipazione solo formale Lo scorso 27 aprile era stato colpito da un ictus molto grave che lo aveva costretto ad un ricovero e ad una lunga convalescenza in Francia. La sua prolungata assenza dalla patria avevano provocato forti polemiche, in particolare perché per giorni i media di stato non davano notizie sul suo stato di salute. Tutti i politici, di governo e di opposizioni, erano convinti che non sarebbe stato più in grado fisicamente di ritornare al potere e si preparavano alle elezioni presidenziali previste nel 2014. Per l’occasione nel mese di agosto si è tenuto anche un infuocato congresso del Fln, partito di governo, con due correnti contrapposte che si sono fatte la guerra fino all’elezione del nuovo segretario, Amar Saadani, che già si pregustava una candidatura per le presidenziali e una sicura vittoria, col sostegno dei militari.

Nelle ultime settimane però qualcosa nel panorama politico regionale stava cambiando e la prolungata assenza di Bouteflika, con gli scontri di potere in corso, iniziava a farsi sentire nel paese. Se da un lato ad Algeri si combatteva per la sua successione, nel vicino Marocco il re Mohammed VI, saldamente al potere nel paese, portava avanti una serie di riforme e di iniziative volte a rafforzare la posizione del suo paese che punta ad essere leader in nord Africa e nell’Africa occidentale. L’ultima di queste iniziative è la visita che Mohammed VI ha compiuto la scorsa settimana in Mali, in occasione della cerimonia di insediamento del nuovo presidente, Ibrahim Keita. Il suo arrivo in pompa magna a Bamako è stato visto come una vittoria non solo perché ha sostenuto l’offensiva militare franco-maliana contro al Qaeda nel nord del Mali sin dalla prima ora, dopo che era stata osteggiata dall’Algeria, ma anche per l’assenza del capo di stato algerino e del leader del gruppo separatista del Fronte Polisario, Mohammed Abdel Aziz ai festeggiamenti.

Durante la cerimonia di insediamento del presidente Keita le autorità maliane hanno anche rimosso la bandiera del Polisario, nonostante questo gruppo in passato fosse riconosciuto dal vecchio governo del Mali. Per questo la visita di Muhammad VI è stata considerata una vittoria politica importante del Marocco contro l’Algeria nella regione del Sahel africano. Molti esperti sono convinti che nei prossimi giorni il Mali annuncerà ufficialmente di voler ritirare il riconoscimento offerto al gruppo separatista che chiede l’indipendenza del Sahara occidentale dal Marocco. Questo perché in un passaggio del suo discorso a Bamako, Mohammed VI ha affermato che “il ritorno della sovranità maliana su tutto il paese è una vittoria contro l’oscurantismo, l’estremismo e il separatismo”. Il riferimento chiaramente è non solo al separatismo dei ribelli tuareg, che volevano l’indipendenza dell’Azawad dal Mali, ma anche al Polisario. Secondo il giornalista ed esperto marocchino di questioni saharawi, Abdel Fattah Fathi, “la decisione del Mali di ritirare il suo riconoscimento del Polisario può essere il più importante dei risultati ottenuti nella regione dal re marocchino essendo stata questa la priorità del nuovo presidente  Keita”. In un editoriale pubblicato dal sito d’informazione “Andalus press”, commentando la visita compiuta dal monarca di Rabat in Mali, Fathi ha spiegato che “è attesa nei prossimi giorni la comunicazione ufficiale della decisione di ritirare qualsiasi riconoscimento al gruppo separatista”.

Anche l’accordo sottoscritto dal Marocco con il Mali, che prevede un corso di aggiornamento a 500 imam maliani nella città marocchina di Fes della durata di due anni, viene visto “in funzione anti-algerina”. Lo afferma il ricercatore marocchino Idriss al Kanburi, intervistato dal sito locale “Hespress”. Rabat sostiene di aver voluto esaudire una richiesta di Bamako, che ha cercato aiuto nella lotta alla diffusione dell’ideologia estremista islamica nel suo paese. Gli imam maliani studieranno quindi nella sede dove già studiano gli imam marocchini nell’ambito della strategia del Marocco avviata nel 2004 per combattere l’ideologia estremista dopo gli attentati del 2003 a Casablanca. Secondo l’esperto di questioni religiose al Kanburi, “il Mali e il Marocco sono legati da una traduzione sufi e in particolare dalla presenza della Confraternita al Tijani, seguita anche in Senegal”. Per il ricercatore marocchino “certamente dietro questo accordo c’è la strategia del Marocco di rispondere anche sul piano religioso all’Algeria, cosa che avviene già in Europa e in particolare in Francia nella moschea di Parigi o in altri paesi africani dove i due paesi hanno interessi contrapposti”.

E’ per questo che la partecipazione di Bouteflika al consiglio dei ministri di mercoledì, in un momento cioè così delicato per il paese, ha fatto scalpore in Algeria. Conferma infatti le voci su una sua ridiscesa in campo, dopo che per mesi i politici algerini avevano considerato la sua carriera politica ormai finita. Questa notizia potrebbe confermare la sua volontà di blindare il potere, approvando una riforma costituzionale che prevede un rinvio di due anni del suo mandato presidenziale. Piano già criticato dal giornale locale “el Khabar” secondo il quale “il presidente Bouteflika e il suo clan sono già alla ricerca di un artificio giuridico per giustificare l’ennesima violazione della Costituzione per restare al potere almeno per altri due anni”. Il giornale raccontava di una prima bozza del progetto di revisione costituzionale elaborato dalla Commissione, presieduta da Azzouz Kardoune, che comprende due aspetti principali: l’estensione del mandato del presidente Bouteflika di due anni e la creazione della carica di vice Presidente. Secondo la stessa fonte, “il comitato in questione volti, tuttavia, pone un grave problema legale. Perché la Costituzione è stata già modificata nel novembre 2008 per consentire a Bouteflika di correre per un terzo mandato, ha codificato la questione dei limiti di mandato presidenziale e l’elezione del Presidente”.

Il politologo algerino Hosni Laabidi è intervenuto su questo argomento sostenendo che Bouteflika sta “lavorando alla sua successione”. Laabidi ha spiegato che “il presidente non ha perso la sua capacità di analisi politica. La decisione di allungare di due anni il suo mandato presidenziale è funzionale agli uomini al potere oggi affinché ci sia il tempo e il modo di scegliere il suo successore”. Secondo il politologo algerino “una strategia che il presidente sta usando ora con le sue riforme costituzionali è quella di aumentare i centri di potere che di conseguenza vengono indeboliti”. A suo giudizio “lo scenario pericoloso che si presenta in Algeria è quello di un passaggio di poteri di tipo ereditario e i partiti temono questo, anche se l’occidente appoggia la stabilità in Algeria, qualunque essa sia, perché teme che il crollo del nostro paese faccia crollare tutta la regione”.

Nei giorni scorsi, ancora convalescente, Bouteflika, aveva approvato un provvedimento che prevedeva il cambio dei vertici dei servizi segreti algerini e una riorganizzazione della struttura interna. Secondo il quotidiano algerino “Ennahar”, Bouteflika ha cambiato i capi dei servizi segreti interni ed esterni rimuovendo i generali Bashir Tartaq e Rachid Allali. Inoltre ha approvato un piano di coordinamento diretto tra le forze di sicurezza e dell’esercito in modo da rafforzare la lotta contro il terrorismo. Il quotidiano locale “el Khabar” ha inoltre rivelato che il nuovo capo dei servizi segreti interni sarà Abdel Hamid Daoud, che si
occuperà anche di spionaggio e terrorismo, mentre Mohammed Bouzit guiderà i servizi esterni e dovrà proteggere le ambasciate e gli interessi del paese all’estero.

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