The full Monti. Così qualche tempo fa titolava il Financial Times con un ironico gioco di parole che richiamava il celebre film di Peter Cattaneo. La similitudine delle vicende italiane con le peripezie di Gaz e Dave, disoccupati squattrinati quotidianamente impegnati a trovare una soluzione per sbarcare il lunario, non poteva infatti risultare più calzante, e proprio come i due protagonisti, anche l’Italia, dopo una lunga serie di traversie ed espedienti pare essere giunta al suo Full Monti e lo spettacolo sembra riscontrare un grande apprezzamento sulla scena globale.
A margine del summit sulla sicurezza nucleare di Seul, il premier Mario Monti ha ottenuto importanti riconoscimenti da parte di numerose personalità internazionali tra cui il presidente cinese Hu Jintao che ha espresso compiacimento per le misure adottate dal nostro Paese per contrastare la crisi, e ha sottolineato con favore l’aumento costante dell’interscambio commerciale – la Cina è infatti il terzo partner economico del nostro Paese mentre l’Italia è il quinto per Pechino. Ma soprattutto il presidente cinese si è impegnato a esortare le autorità e la business community cinese a investire in Italia, un invito non da poco in quanto non chiama in causa solo l’imprenditoria ma anche le autorità cinesi e quindi i fondi sovrani.
In cerca di grandi intese
Favore e consensi sono stati riscossi anche a Pechino – altra tappa del viaggio ufficiale in estremo oriente – dove il presidente del Consiglio ha incontrato il premier cinese Wen Jiabao. Auspicando un franco scambio di vedute, Wen Jiabao, durante l’incontro organizzato al Grande Palazzo dell’Assemblea del Popolo, ha evidenziato l’importanza strategica del partenariato fra Italia e Cina sottolineando come l’economia dell’Italia, Paese esportatore con una grande industria manifatturiera, sia dotata di basi solide e di grandi potenzialità. Da parte sua, Monti si è detto interessato ad approfondire la conoscenza delle rispettive posizioni per sviluppare nuovi modi di collaborazione sia bilaterale che in diversi contesti multilaterali e nel discorso tenuto subito dopo alla Scuola del Partito Comunista, ha ricordato che in parte la crisi si è creata anche a causa del modello capitalistico, affermazione piuttosto audace da fare davanti a una platea composta da funzionari del Partito Comunista.
L’impressione derivante dalla serie di incontri tenuti in Cina dal capo del governo, è che il Dragone desideri trovare nell’Italia un Paese che possa favorirle un dialogo sempre maggiore con l’Ue, le autorità cinesi sarebbero infatti molto riconoscenti se il Belpaese riuscisse ad operare positivamente ai fini di un accordo Cina-Ue. Certo è che il premier cinese deve aver riflettuto lungamente sul tema della collaborazione con l’Italia avendo presentato 7 punti ben precisi ritenuti prioritari per una cooperazione costruttiva e durevole. Riguardo il contenuto di questi punti nessuna delle due parti si è pronunciata “per rispetto nei confronti di un colloquio di governo”. Si può tuttavia facilmente intuire che puntino a rafforzare l’aspetto degli investimenti.
Non è certo un caso che il Managing Director di Huawei Italia, George Zhao, abbia annunciato l’intenzione di rafforzare la presenza della società sul territorio italiano. La Huawei, solida azienda per la fornitura di soluzioni di “Information and Community Technology”, ha già una forte presenza in Italia dal 2004 e rappresenta uno dei più grandi investitori cinesi presenti sul nostro territorio, la sua sede italiana conta oggi più di 500 dipendenti.
Il piano Monti: una discontinuità rispetto a Berlusconi e Prodi
La Cina che ha affrontato Monti nei giorni scorsi è apparsa dunque decisamente diversa da quella con cui hanno avuto a che fare i precedenti leader italiani. Se, per Berlusconi o anche per Prodi la questione era come convincere le aziende italiane, spesso diffidenti e recalcitranti, a investire in Cina, per Monti l’esigenza impellente è invece come convincere la Cina a investire in Italia. Pechino infatti, non intende comprare il debito pubblico italiano – se volesse, già oggi, secondo alcune stime, potrebbe rilevarne fino al 10% – ma mira piuttosto ad acquisire quote d’impresa attraverso la China Investment Corporation (Cic), il quarto Fondo sovrano del mondo. Lou Jiwei, il presidente, ha dichiarato di aver preso in considerazione più volte l’Italia, ma ogni volta – l’ultima risale allo scorso settembre -, finiva per scartarla. Il Fondo sovrano Cinese ha in cassa oltre 400 miliardi di dollari di cui 40 sono già investiti in altri Paesi. Ora però i tempi sono cambiati e pur rimanendo fattori di debolezza non irrilevanti, quali un alto tasso di evasione fiscale, una burocrazia inefficiente e una legislazione del lavoro alquanto incerta, è possibile fare valutazioni di diverso tipo. In seguito all’incontro con Monti, Lou Jiwei ha accettato infatti di costituire un gruppo di lavoro, che vede coinvolti anche esponenti dell’Ice e di Bankitalia, focalizzato sul nostro Paese e il 12 aprile un loro rappresentante sarà in Italia. Gli investimenti possibili interessano categorie legate all’energia, alle fonti rinnovabili, alle risorse naturali, alla tecnologia, ad alcuni famosi marchi. Se le società italiane accettassero, la Cina potrebbe investire in questi settori e aiutare concretamente il Belpaese a ripartire, provando a riemergere dalla recessione in corso.
Grande porto Italia
In passato tentativi in questo senso erano stati compiuti ma senza risultati. Il governo Prodi aveva per esempio offerto la possibilità ai cinesi di investire nei porti italiani, delegazioni cinesi si erano succedute numerose volte in Italia nel vano tentativo di concludere l’affare e anche quando, contro ogni ostacolo, la Hutchison Whampoa di Hong Kong riuscì a comprare al 50% il porto di Taranto, incidenti burocratici fecero naufragare il progetto. I cinesi restano tuttavia ancora molto interessati ai porti italiani, all’idea di fare dell’Italia il ponte commerciale e culturale tra Asia e Europa, così come è stato per secoli. Investire nei porti italiani, principalmente quelli del Sud più vicini a Suez, significherebbe restituire al Mediterraneo la sua centralità accorciando i tempi di consegna delle merci. Grandi compagnie di trasporto come la Cosco, che è già entrata nel porto di Napoli o singoli porti come quello di Tianjin o Ningpo sarebbero anche pronti a investire a Taranto o a Gioia Tauro, ma chiaramente necessitano di garanzie riguardo ciò che vanno ad acquistare, per cui, ove ci fosse un interesse reale, al governo Monti si chiede di preparare un’offerta concreta che permetta tali investimenti altrimenti l’interesse cinese è destinato a cadere. Se ciò si verificasse, secondo numerosi analisti, sarebbe una grande occasione mancata soprattutto se si tiene conto del fatto che la Cina dispone di un cumulo di riserve, non solo dollari ma anche euro, che deve assolutamente investire cercando di ottenere anche dei benefici politici. E la Cina, sappiamo bene, vuole diverse cose dall’Europa come la fine dell’embargo sulle armi imposto nel 1989, il riconoscimento dell’economia di mercato al Wto e licenze e altre aperture di mercato per le proprie aziende all’estero.