Tra polemiche e fischiabotti sabato scorso si è svolta a Roma la seconda “Marcia per la Vita”, un allegro ritrovo di preti, suore, papaboys e rappresentanti delle istituzioni. A capo della parata, nel ruolo di majorette con fascia tricolore, Giannino Alemanno, futuro premier dell’isola che non c’è.
Ai tamburi Stefano De Lillo, Senatore della Repubblica nelle liste del PDL, nonché promotore della scampagnata che definisce così: “una manifestazione corale, pacifica e festosa per difendere il diritto alla vita e la sua bellezza”. Per paura di essere messi sotto da taxi, motorini e furgoni delle consegne, i due condottieri della fava hanno sempre e solo guardato avanti, senza sapere di essere seguiti, tra gli altri, dagli estremisti cattolici della Militia Christi (praticamente i berretti verdi del Vaticano) e da una madre di famiglia con i suoi quattro figli, che sventolava la foto di un feto morto. Il tutto condito da slogan come “l’aborto è violenza, omicidio”.
Secondo costoro infatti è giusto far nascere un bambino malformato solo per tenere in piedi quel baraccone circense che è Lourdes, oppure per foraggiare gli aborti clandestini. Va a finire che chi riesce a estorcere soldi allo Stato per pagarsi le croci d’oro, inizia a credere che si possano cancellare millenni di stragi in nome della fede. Sulla partecipazione di questo colorito gruppo di sbandati Alemanno biascica un “sono problemi dei promotori” e con un colpo di tacco passa la palla avvelenata a De Lillo, giusto per fargli scontare che suo fratello Giuseppe è stato assunto nella segreteria del Sindaco per un paio d’anni (totale percepito: 63.000 euro lordi, circa).
Il corteo sbanda, volano parole pesanti come “mannaggia” o “permesso” e qualche prete sparisce nel cortile di una scuola elementare, quando improvvisamente Alemanno si ricorda il passo dell’oca e guida il trenino umano fino a Castel Sant’Angelo. Qui i sopravvissuti brindano con l’orzata alla reincarnazione delle unghie e alla fine del libero arbitrio.