Marcello Dell’Utri ha un curriculum da fare invidia a Totò Riina. Accusato di concorso esterno in associazione mafiosa, di trattativa Stato-mafia, corruzione, tentata estorsione, frode fiscale, calunnie ed altre simili amenità, è attualmente impegnato a conseguire il master in truffa aggravata e riciclaggio.
La sua carriera fa un salto di qualità nel momento in cui fonda Forza Italia insieme al complice Berlusconi. Ne scrive anche il programma, che poi riassume con grande capacità di sintesi: “In Forza Italia l’unico che comanda è Berlusconi. Non esiste gerarchia. Non esistono gerarchi”. Riesce a schivare i colpi dei magistrati di Palermo, fa lo slalom tra la Corte di Appello di Milano e la Corte di Cassazione e alla fine, Andreotti docet, è ancora a piede libero, pronto a ricevere la laurea honoris causa in taccheggio spudorato.
In seguito alla richiesta di sette anni di carcere da parte della Procura Generale di Palermo, Marcellino si ritira dalla scena politica, marinando le ultime elezioni. Mentre Berlusconi si dà alla pazza gioia sotto lo scudo politico che gli consente di rinviare i processi al prossimo millennio, il fido collega di merende opta per la più drastica delle soluzioni: scappare.
Diversamente da Craxi, non trova paesi disposti ad ospitare la sua corte, decide quindi di allontanarsi dal suolo italico con un’abile manovra edilizia: una casa sull’albero di tre piani in provincia di Como. Tutti i reati commessi in questa nuova sede non sarebbero stati competenza delle autorità italiane e Dell’Utri ha perfino pensato di essere salvo finché il rifugio non è stato dichiarato abusivo. Per i suoi avvocati, naturalmente sotto acido, si tratta di “un verdetto sorprendente”.