Mensis Majus, il mese di maggio. V’è collegamento col verbo mago o macto, che significa: accrescere, innalzare, glorificare con un sacrificio. La radice è la stessa di majestas, maestà, dignità, venerabilità, grandezza. E grande e venerabile è l’antica dea Maja, il cui nome significa madre, nutrice. Grande e accrescente, Maja, nel cui mese crescono le piante, si afferma la vita. Né manca chi identifica Maja con Bona Dea, figlia o moglie di Fauno.
Simbolico fiore di maggio la splendida rosa, che si riconduce anche a Venere e all’amore. Un giovane reca rose a illustrare il maggio in un’antica casa ad Argo. “Luna dei fiori”, definiscono il mese i Mandan d’America; e “Luna delle foglie tenere” lo chiamano i Tewa; “Il giovine maggio trema sull’acque pacate, rifà le ghirlande alle aiole” (Jenco). Cade di maggio (ch’è mese anche mariano) la rugiada; e parlano gli alchimisti di ros majalis, rugiada di maggio, appunto, acqua celestiale, privilegiato veicolo dello spirito universale.
E siamo, con maggio, nella bella stagione primaverile, in cui la natura s’offre rigogliosa. Natura che, sempre, è “magica”. Ogni elemento della natura, ogni albero, ogni fonte, ogni fiore, ogni sasso ha un suo significato; ci parla. Fatto è che, per lo più, presi da mille attività, incasellati in ambienti artificiali, non sappiamo più vedere, ascoltare, percepire le mille voci del mondo naturale. Ci permettiamo allora di suggerire qualche passo sulla via del risveglio dei nostri sensi assopiti, per percepire con consapevolezza il saluto del vento, l’allegra risata di un ruscello, il battito d’ala d’un uccellino. Fruttuosa sotto molti aspetti, a questo punto, la passeggiata in un bosco.
BOSCO
E’ folta la vegetazione del bosco; è fitta, intricata. Tanto più si entra nel folto, tanto meno giunge la luce del sole. E, nel bosco, vivono animali selvatici, feroci. Fors’anche mostri; e streghe, gnomi, elfi… Il bosco, quindi, fa paura; è pericoloso inoltrarsi nella foresta. Ecco, allora, che per i moderni studiosi della psiche il bosco rappresenta le profondità dell’anima; è un simbolo dell’inconscio: il terrore della foresta sarebbe ispirato, secondo Jung, proprio dalla paura delle rivelazioni dell’inconscio. Anche per le tradizioni religiose e iniziatiche il bosco è luogo pericoloso e terribile, in cui ci si può perdere. Non a caso Padre Dante si ritrova in una “selva oscura” dato che “la diritta via era smarrita”. La foresta, peraltro, richiama la prova iniziatica: l’entrare nella “Foresta Oscura” o nella “Foresta Incantata” è come “varcare la soglia”, penetrare nel mondo spirituale per trovarne il profondo significato. Tutto questo è anche riecheggiato nella favole, là dove si racconta di bambini che si perdono nella foresta e là possono trovare sì la strega cattiva, ma anche tutta una tipologia di “aiutanti” che li facilitano nella conquista di qualche tesoro. La foresta, nelle culture sciamaniche, è dimora degli spiriti. Buoni o cattivi che siano. La foresta è, quindi, sacra. Per gli antichi Celti, ad esempio, costituiva un vero e proprio santuario naturale. Così come lo era, peraltro, la foresta di Dodona per i Greci e non pochi erano i boschi sacri per i nostri padri Romani. Né mancano gli asceti induisti e buddisti di ritirarsi nella foresta: “le foreste sono dolci”, recita un testo buddista, il Dhammapada, “quando il mondo non vi entra; il santo vi trova riposo”. Ecco, allora, la foresta in positivo, come rifugio, come riparo dai pericoli, dalle tentazioni del mondo.
E allora, come “trarre vantaggio”, dalla foresta? Come avvalersene “magicamente”? Ovviamente, bisogna recarvisi. In ogni regione d’Italia, più o meno lontano da grandi o piccole città, si può trovare (per fortuna), un bosco. Ciascuno di noi, potrà scegliere il suo, quello che “sente” di più e, all’interno di esso, individuare il suo spazio, la sua radura, il suo albero. E lì potremo andare da soli o con pochi amici “fidati”. Lì si potrà camminare a piedi nudi (se il terreno lo permette); lì ci si potrà stendere al suolo, cercando di percepire le energie che salgono dalla terra. Lì, seduti appoggiando la schiena ben dritta contro un albero, potremo meditare. Lì, di mattina presto, possibilmente, si potrà fare il silenzio in sé e imparare a percepire le voci nel bosco e la voce del bosco. Non solo, quindi, le voci degli uccelli, dei torrenti, i fruscii degli animali. L’orecchio esercitato potrà avvertire qualcosa che si sovrappone, a tutto questo, che usa questi rumori, questi suoni per comunicare. Ed oltre all’udito, anche la vista, nella penombra del bosco, potrà essere stimolata. Infatti, sempre dopo aver meditato, in uno stato di coscienza affinata, potrà capitarci di vedere uno gnomo, una ninfa, una silfide (ci sono, ci sono…). E, senza paura, potremo abituarci a quella presenza e abituarla, a sua volta, a noi. Potrà essere l’inizio di un’amicizia davvero particolare…