UDINE. Sarà Marco Bellocchio il protagonista della quattordicesima edizione dello Sguardo dei Maestri, la rassegna organizzata dal Centro Espressioni Cinematografiche di Udine, da Cinemazero di Pordenone e da La Cineteca del Friuli di Gemona. Al suo cinema inquieto, mai conciliante sulla realtà, raccontato attraverso i diversi generi e sempre nella direzione dell’utopia e della visione, sarà dedicata la retrospettiva L’inquietudine di un sogno. Curata dai ricercatori Denis Brotto e Farah Polato, si aprirà al Visionario di Udine martedì 7 febbraio e proseguirà fino al 15 marzo a Cinemazero di Pordenone e al Teatro Miela di Trieste. La rassegna proporrà nel corso di 7 serate 13 titoli (12 lungometraggi, di cui un documentario inedito, e un cortometraggio). Apre le proiezioni I pugni in tasca (1965), film d`esordio dall’impatto inatteso che fa entrare Bellocchio nella stagione del nuovo “giovane cinema italiano” degli anni Sessanta; segue Gli occhi, la bocca (1982), emozionante e inconsueto ritorno sui medesimi passi del film d’esordio, a 17 anni di distanza. Sarà poi la volta de La balia (1999), tratto dal racconto di Pirandello, ritratto di un triangolo familiare ed affettivo oltre che profonda incursione nel mondo della follia, e Il sogno della farfalla (1994), al confine tra sogno e realtà, tra vita e “rappresentazione”, interessante esempio delle “discusse” opere scritte da Bellocchio assieme allo psicanalista Fagioli. L’accostamento de L’ora di religione (2002) e de Nel nome del padre (1971) rinnova lo sguardo sull’istituzione familiare, osservata, in questi casi, nel rapporto con un’altra istituzione cruciale nel cinema di Bellocchio, quella religiosa. Enrico IV (1984) e Vincere (2009), apparentemente distanti fra loro, rivelano invece un risolutivo legame nel mostrare la dimensione di una “messa in scena” quale luogo dell’esercizio del potere e nel rappresentare la follia quale espressione di volontà in un caso, condizione imposta nell’altro. La scansione punteggiata da Buongiorno, notte (2003), Discutiamo, discutiamo (1969, episodio di Amore e rabbia) e il meno noto documentario, commissionato dall’UCI, Il popolo calabrese ha rialzato la testa (1969) introduce all’inquieta e complessa riflessione politico-sociale che da sempre attraversa la produzione di Bellocchio e che trova nella “revisione” del caso Moro una delle manifestazioni più intense, potenti, controverse. Una luce introspettiva e autobiografica chiude infine la rassegna, con i film Il gabbiano (1977) e Sorelle Mai (2011), nei quali si impone il valore della dimensione artistica per Bellocchio e l’amore mai sopito per Cechov.

Di Golem

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