La Suprema Corte, sezione lavoro, con la recentissima sentenza n. 9073 depositata il 15 aprile 2013, ha ammesso la configurabilità di un ulteriore danno da mancata ottemperanza all’ordine di reintegra, in aggiunta all’indennità risarcitoria di cui all’art. 18, comma 4, della L. n. 300/70.
Nella fattispecie, gli Ermellini hanno confermato le statuizioni della Corte territoriale che, in accoglimento della domanda proposta dal lavoratore licenziato, aveva condannato la struttura ospedaliera presso la quale era adibito, già destinataria dell’ordine di reintegra ex art. 18, rispetto al quale si era resa inadempiente, al risarcimento del danno patrimoniale e non patrimoniale nei confronti del dipendente.
In particolare, in accordo con l’orientamento prevalente nella giurisprudenza di legittimità, la Suprema Corte ha riconosciuto al prestatore di lavoro, colpito da un illegittimo provvedimento espulsivo all’età di 58 anni, un danno non patrimoniale nella misura pari al 20% della retribuzione base, a fronte della mancata ottemperanza all’ordine di reintegra, da parte datoriale, protrattasi per ben sei anni.
Cumulabilità dell’indennità ex art. 18 S.L. con l’ulteriore danno da mancata reintegra. In ipotesi di licenziamento dichiarato illegittimo – in quanto privo di giusta causa o giustificato motivo – l’art. 18 della L. n. 300/70, in presenza dei requisiti dimensionali prescritti dal primo comma ai fini dell’applicabilità del regime di “tutela reale”, prevede, contestualmente all’ordine di reintegrazione del dipendente nel posto di lavoro, la condanna del datore al pagamento di un’indennità risarcitoria, in favore del prestatore di lavoro, commisurata alla retribuzione globale di fatto dal giorno del licenziamento fino all’effettiva reintegra, oltre al versamento dei relativi contributi previdenziali e assistenziali.
Al riguardo, i giudici di Piazza Cavour, nella sentenza in commento, hanno chiarito come la predeterminazione legale del danno in favore del lavoratore, operata dalla norma de qua, non precluda la risarcibilità del danno ulteriore – nel caso di specie alla professionalità – derivato dal ritardo nella reintegra.
Deve, infatti escludersi – secondo il ragionamento seguito dalla Suprema Corte – che la liquidazione del danno in questione possa configurare una duplicazione del risarcimento già effettuato attraverso la corresponsione delle retribuzioni dovute, stante la riconducibilità dell’ulteriore danno ad un comportamento omissivo datoriale solo eventuale, evitabile attraverso un tempestivo adempimento al provvedimento giudiziale di reintegra.
La ratio di un’interpretazione siffatta risiede, evidentemente, nell’intendimento di evitare che all’illegittimità della sanzione espulsiva in specie comminata possano conseguire un ulteriore svilimento e lesione della dignità della persona del lavoratore, privato della possibilità di riprendere l’attività lavorativa ed esposto al correlato rischio di logoramento della professionalità acquisita.
Liquidazione del danno non patrimoniale ed ammissibilità della prova presuntiva.
Alla luce delle suesposte considerazioni, sulla risarcibilità del danno patrimoniale nulla quaestio, purché provato dal lavoratore, gravato del relativo onere.
Al riguardo, la Cassazione ammette il ricorso alla prova presuntiva, in presenza di precise allegazioni, con possibilità di liquidazione in via equitativa.
Stesso ragionamento per il danno non patrimoniale, liquidato nel caso in esame nella misura del 20% della retribuzione base, trattandosi di lesione di interessi inerenti la persona non economici e di rilevanza costituzionale, in ristoro del pregiudizio sofferto dal lavoratore illegittimamente licenziato in una fascia di età nella quale è particolarmente gravoso reinserirsi nel mercato del lavoro a seguito di un lungo periodo di forzata inattività a causa della mancata reintegra. Ai fini della quantificazione del danno non patrimoniale, la Corte ha, altresì, tenuto conto della conseguente impossibilità per il lavoratore di proseguire in modo lineare nel processo di aggiornamento professionale nonché del pregiudizio derivato dalla diffusione della notizia del licenziamento negli ambienti medici e ospedalieri, che ne ha pregiudicato, di fatto, il collocamento presso qualsiasi altra struttura, con conseguenti perdita di fiducia e stress, come comprovato dalla documentazione medica allegata.
Ne risulta un quadro in cui la condanna del datore di lavoro alla corresponsione dell’indennità risarcitoria di legge, commisurata alla retribuzione globale di fatto dal giorno del licenziamento fino all’effettiva reintegra non è dalla giurisprudenza considerata sufficiente a ristorare del pregiudizio subito il lavoratore illegittimamente licenziato e non reintegrato, dovendosi, altresì, tener conto del danno alla professionalità derivatone, rispetto al quale è anche ammessa la prova per presunzioni.