Dovevo assolutamente avere quel libro. Ero molto giovane allora. E, nutrito di letteratura fantastica fin da quando avevo dieci anni, ero anche piuttosto facile all’esaltazione. Così, quando sul catalogo della librearia antiquaria D. avevo visto la disponibiità del volume, si era risvegliato in me il demone.
Si trattava di La véritable MAGIE NOIRE ou le secret des secretes (La vera MAGIA NERA o il segreto dei segreti); un’opera resa ancor più appetibile dal chilometrico sottotitolo: “manoscritto trovato a Gerusalemme nel sepolcro di Salomone, contenente quarantacinque talismani con le loro incisioni, con la maniera di servirsene e le loro meravigliose proprietà; e tutti i caratteri magici conosciuti fino al giorno d’oggi; tradotto dall’ebraico dal Mago Iroe-Grego”. Naturalmente, tanto ero immaturo quanto squattrinato. Ma i padri servono pure a qualcosa! Ebbi quindi una discreta sommetta in “prestito” (si sapeva benissimo che non l’avrei mai restituita) e volai alla libreria. Inutile dire che il libro fu “divorato” nella stessa serata. Ma la Provvidenza (come doveva venir fuori anche in seguito) non mi voleva mago. I miei bollenti spiriti, infatti, si raffreddarono molto di fronte a certe difficoltà oggettive della faccenda. Nel libro (che poi, come seppi, era una versione francese settecentesca della Clavicola di Salomone) si prevedeva che l’operatore fabricasse da sé tutto l’armamentario magico, spade comprese. E, d’altra parte, era il caso di uccidere un bimbo non battezzato per conciarne la pelle del cranio onde trarne pergamene rituali? Anche questa “amenità” era contemplata in quel “libro maledetto”, uno dei tanti…
La figura, di altezza incredibile, pur avendo sembianze d’uomo, nulla aveva di umano. “Era fatta di una massa smeraldina trasparente come berillo, nella quale si sentiva la terribile durezza della pietra… Il viso dagli occhi spalancati senza ciglia era di una immobilità indescrivibile. Qualcosa di terribile, di paralizzante, di mortale, eppure, nel contempo, di quanto mai emozionante e di augusto si sprigionava da quello sguardo immobile… Le labbra dell’Angelo, rosso rubino, erano finemente rialzate agli angoli da un sorriso strano… ‘Chi sei?’… Senza muover le labbra, con una voce fredda e tagliente che risuonò in me come fosse un’eco uscitami dal più profondo del petto, l’Angelo disse: ‘Sono il Messaggero della Porta d’Occidente’…”. E’ la descrizione che Gustav Meyrink dà, in L’Angelo della Finestra d’Occidente, del primo incontro tra John Dee e la misteriosa figura verde che gli prometteva il segreto della Pietra Filosofale senza rivelarglielo mai. Abbiamo molti resoconti delle “sedute” di John Dee con questo e con altri “angeli”. Purtropppo, cadendo in trance e non ricordando quanto avveniva, Dee cominciò a servirsi di un certo Edward Kelly per trascrivere i messaggi delle figure evocate. Ma Kelly, riconosciuto cialtrone, ha inquinato probabilmente le note; per cui non c’è troppo da fidarsi della linqua “enochiana” con la quale, spesso, si esprimevano gli “angeli”. Resta il fatto, peraltro, che John Dee, astrologo, matematico, alchimista, mago, laureato al Trinity College di Cambridge, frequentatore di Elisabetta I d’Inghilterra e di Rodolfo II d’Asburgo, qualcosa doveva sapere già da sé, senza interventi angelici. Infatti, prima di conoscere Kelly, aveva publicato un succoso libretto, La Monade Geroglifica. Sir William Cecil, uno statista a lui contemporaneo, dichiarò che i segreti contenuti nel libro erano della massima importanza per la sicurezza del regno. In effetti, per chi sia in grado di comprenderli, La Monade Geroglifica rivela i misteri del Mercurio Filosofale.
Un arcaico manoscritto, costituito da foglie di palma rese inattaccabili dall’acqua, dal fuoco e dall’aria, con un misterioso procedimento. Così Elena Petrovma Blavatsky, la famigerata fondatrice della Società Teosofica, descrive un altro “libro maledetto”, Le Stanze di Dzyan, scritte in Senzar, lingua assolutamente ignota ad ogni comune mortale. Ma Madame Blavatsky ha saputo leggerlo; ed anzi, lo ha fatto addirittura prima di possederne una copia. Pare infatti che un mago copto, con cui visse al Cairo dopo aver girovagato da Odessa a Costantinopoli, fuggendo dal marito appena sposato, le avesse insegnato a consultarlo facendo ricorso alla chiaroveggenza. L’originale, secondo il mago, si trovava in un monastero del Tibet e, originario di Venere, avrebbe rivelato segreti provenienti da altri pianeti. La Blavatsky, in seguito (siamo alla metà dell’800), avrebbe ottenuto un esemplare delle Stanze che veniva dall’India, e causa del quale sembra aver passato molti guai. Va qui ricordato che Jacques Bergier, autore, insieme a Louis Pawels, del famosissimo Mattino dei maghi, ha ipotizzato l’esistenza di una congiura, da parte di misteriosi Uomini in Nero, volta a distruggere certe opere “pericolose”, per mantenere l’evoluzione della civiltà umana entro binari prestabiliti. Quanto a me, rammento che, una quarantina di anni fa, alcuni appartenenti ad un gruppetto teosofico con cui avevo a che fare, indicandomi una loro compagna, mi sussurravano a mezza voce che la fanciulla proveniva dal pianeta Venere. Dev’essere una mania…