Mentre l’opinione pubblica mondiale è con il fiato sospeso in attesa di un possibile raid aereo americano in Siria, i media italiani poco spazio dedicano ai paesi che un intervento di questo tipo lo hanno già subito come la Libia.
A quasi due anni di distanza dalla morte del colonnello libico Muammar Gheddafi, ucciso nell’ottobre del 2011, il paese il cui regime è caduto solo grazie ai bombardamenti dei caccia della Nato è in pieno caos e senza uno stato degno di questo nome. La guerra in Libia è stata per certi versi simile a quella che si combatte ora in Siria. Anche in Libia diversi paesi arabi e occidentali hanno cercato di rovesciare quel regime sostenendo i ribelli ma dopo una prima avanzata gli oppositori di Gheddafi da soli sono mai andati oltre la conquista della Cirenaica e se non fossero arrivati i caccia della Nato Gheddafi sarebbe certamente riuscito ad avere la meglio.
Ed ora che il colonnello ed i suoi gerarchi non sono più al potere il paese è allo sbando. Da mesi infatti non si placano gli episodi di violenza con le autorità di Tripoli che non riescono ad avere la meglio sulle milizie, considerate da molti osservatori le vere padrone del paese. L’ultimo episodio in ordine di tempo che dimostra la debolezza dell’attuale governo e delle sue istituzioni è la vicenda di al Anud al Senoussi, figlia dell’ex capo dei servizi segreti libici di Muammar Gheddafi, Abdullah al Senoussi, rapita lunedì scorso mentre veniva scarcerata dal carcere di Tripoli. La donna era stata arrestata a marzo con l’accusa di aver usato un passaporto falso per entrare nel paese. Suo padre era fuggito alla fine della guerra ed è stato arrestato in Mauritania e estradato in Libia ed ora è in attesa del processo. Lui è il vero obiettivo del sequestro perché custode dei segreti del passato regime.
Forse per questo sono sorti in Libia forti dubbi circa la complicità delle forze di sicurezza nella vicenda del suo rapimento. La donna è stata rapita da un commando armato mentre veniva scarcerata dopo alcuni mesi di detenzione e mentre la polizia la stava portando in aeroporto dove ad attenderla c’erano i suoi familiari. Ad avanzare forti dubbi sulle complicità delle autorità libiche con i sequestratori, in considerazione delle anomale dinamiche del sequestro, sono stati i capi del clan degli al Mugaraha di cui la donna fa parte, che minacciano vendetta contro il governo. Una fonte della sicurezza ha rivelato al quotidiano “Asharq al Awsat” che le indagini sono in corso e si pensa che ci sia stato il tradimento da parte di alcuni funzionari della polizia che si occupavano della scorta della donna al di fuori del carcere.
A conferma che il ministero dell’Interno viene considerato responsabile dell’accaduto c’è la decisione assunta dal premier libico, Ali Zidan, che ha rimosso dall’incarico il vice ministro dell’Interno, Omar al Khadrawi. La rimozione è avvenuta martedì scorso alla luce dei primi risultati delle indagini sul sequestro di al Anud. Ufficialmente il governo non ha reso noto il motivo della rimozione, ma si ritiene che dietro questa decisione improvvisa ci siano le responsabilità del funzionario rispetto alla vicenda del sequestro. Al Khadrawi era infatti presenta insieme ad altri agenti di polizia nel momento della scarcerazione della donna e quando è avvenuto il sequestro. Il funzionario doveva scortare la donna nell’aeroporto di Tripoli dove c’erano ad attenderla i suoi famigliari. Si tratta di un sequestro anomalo avvenuto al di fuori del carcere di Tripoli i cui contorni sono ancora da chiarire.
Intanto Amnesty International ha espresso profonda preoccupazione per la sicurezza e la garanzia dei diritti in Libia, alla luce di questa vicenda. Il rapimento, avvenuto ieri in circostanze anomale mentre la donna veniva scarcerata dal carcere di Tripoli, “getta un’ombra sulle autorità libiche e sulla loro capacità di garantire la sicurezza dei tanti detenuti in relazione al conflitto armato avvenuto nel paese nel 2011. Ora devono dimostrare di avere la volontà politica e la capacità di affrontare gli abusi da parte delle milizie e di stabilire lo stato di diritto, o il sistema giudiziario libico rimarrà disfunzionale”. In un documento firmato
da Hassiba Hadj Sahraoui , vicedirettore di Amnesty International per il Medio Oriente e Nord Africa, si legge che il rapimento al Anud al Senoussi, solleva serie preoccupazioni per la sua sicurezza e la capacità delle autorità libiche di proteggere i detenuti.
Al Anud al Senoussi è stata rapita il 2 settembre fuori dal carcere di a Baraka , precedentemente conosciuto come prigione al Ruwaimi. La polizia giudiziaria avrebbe dovuta accompagnarla all’aeroporto internazionale di Tripoli. Al suo rilascio – che le autorità avevano ritardato dall’8 agosto temendo per la sua sicurezza – era stato programmato un incontrare con i suoi parenti prima di volare a Sabha nel sud della Libia. “Come le autorità libiche possono affermare di essere in grado di fornire processi equi, e applicare la legge nei casi più importanti, politicamente sensibili, quando non sono palesemente in grado di garantire la sicurezza di base di detenuti?”, ha detto Sahraoui.
Al momento del rilascio dalla prigione di al Baraka nel pomeriggio di lunedì, tre auto della polizia e giudiziaria che la accompagnavano in aeroporto sono cadute in un’imboscata da un gruppo di uomini mascherati e armati di armi pesanti. I miliziani avrebbero sparato in aria prima di rapire al Anud e portarla in un un luogo sconosciuto. Secondo il Ministero della Giustizia, nessuno è rimasto ferito nell’attacco. Finora, i motivi del rapimento e l’identità dei colpevoli rimangono sconosciuti. Parlando ad una conferenza stampa il ministro della Giustizia, Salah al Marghani, ha annunciato che le indagini sono in corso e ha fatto appello a tutti i libici, tra cui i rivoluzionari, per un aiuto nella ricerca della donna. Amnesty chiede che “le autorità libiche diano massima priorità alla ricerca e alla liberazione della figlia di al Senoussi. Essi devono svolgere un’indagine indipendente e imparziale sul suo rapimento e consegnare i responsabili alla giustizia. Questo ultimo rapimento e l’illegalità diffusa nel paese se non altro dimostrano l’incapacità delle autorità libiche di gestire cause politicamente sensibili come quelle di Abdallah al Senussi e Saif al Islam al Gheddafi e sottolinea la necessità di consegnarli alla Corte penale internazionale”.
La polizia giudiziaria è stata notevolmente indebolita dal conflitto armato del 2011. Centinaia di agenti non si sono presentati di nuovo al lavoro, e il Ministero della Giustizia è stato costretto a integrare circa 10 mila ex membri delle brigate armate che hanno combattuto contro Gheddafi, che non hanno la formazione e l’esperienza necessaria per gestire i detenuti. Si ritiene che ci sono circa 8 mila i detenuti legati al conflitto in Libia. Decine di loro sono stati rapiti dalle milizie armate. In alcuni casi sono stati torturati e uccisi sommariamente. Questi rapimenti vengono solitamente effettuate durante i trasferimenti ai tribunali o dopo il rilascio dal carcere, sia come vendetta per i crimini ordinari o per fatti che sarebbero stati commessi in nome del vecchio regime, o in alcuni casi, per il riscatto. In altri casi i detenuti sono stati rapiti direttamente dal carcere.
Ad esempio , il 18 aprile , un gruppo di uomini armati ha aperto il fuoco contro un convoglio della polizia giudiziaria che trasportano 14 detenuti dalla Procura di Bab Ben zona Ghashir di Tripoli in prigione al Tadamon, uccidendone uno. Il 21 marzo Jamal Hamadi è stato rilasciato dalla prigione al Hoda a Misurata. E’ stato rapito durante la scarcerazione. Questo fenomeno di rapimenti è parte di un problema più ampio che riguarda le milizie armate che si comportano come se fossero al di sopra della legge, tanto che in questi ultimi mesi questi gruppi hanno attaccato il Parlamento della Libia e i ministeri per minacciare il governo di Tripoli e approvare leggi a loro favore. E’ forse per questo che il primo settembre scorso il parlamento libico ha avviato la discussione relativa alla possibilità del ritorno nel paese di una missione di pace. E’ quanto si legge sul quotidiano “Asharq al-Awsat”, secondo cui dei contingenti potrebbero essere dispiegati a Bengasi dove da mesi si registrano continui omicidi e attentati. A due anni dalla caduta del regime di Muhammar Gheddafi, sono molti i deputati convinti della necessità dell’arrivo di forze di pace straniere a sostegno
dell’esercito locale. Nel corso della seduta di ieri del parlamento sono stati letti i rapporti dei servizi segreti libici relativi ai problemi della sicurezza nel paese in particolare nel sud. Nel corso del dibattito all’improvviso un deputato ha proposto di chiedere alla comunità internazionale di far tornare forze armate straniere nel paese ricevendo il sostegno di molti colleghi. Proprio in quei giorni infatti a Tripoli i miliziani occupavano per un giorno lo scalo aereo mentre altri picchiavano e rapinavano il console egiziano.