In uno stato in dissoluzione come la Libia è possibile per imprenditori ricchi e senza scrupoli comprare con un blitz petrolio di contrabbando per il valore di 20 milioni di dollari. E’ quanto è accaduto questa settimana in Libia dove, secondo la stampa araba, un imprenditore saudita avrebbe inviato la petroliera battente bandiera nordcoreana “Morning Glory” per ritirare un ingente carico di petrolio dal porto libico di al Sidra.

Sembrerebbe una normale operazione di esportazione di greggio da un paese, come la Libia, che poggia la propria economia quasi esclusivamente su questo, se non fosse che il governo di Tripoli controlla ormai sempre meno porzioni di territorio del proprio paese, al punto che i tre terminal di petrolio della Cirenaica, la regione più ricca di petrolio del paese, non sono sotto il suo controllo bensì sotto il controllo dell’Ufficio politico di Brega, gruppo separatista che rivendica l’indipendenza della regione dal governo centrale. La petroliera sabato scorso è quindi attraccata nel porto di al Sidra caricando a bordo migliaia di barili di petrolio. Le milizie ribelli che controllano da luglio i porti della Cirenaica, provocando un forte deficit nelle casse dello stato, da circa un mese avevano annunciato di voler esportare greggio per conto loro, scavalcando l’azienda nazionale petrolifera Noc, ma nessuno li ha presi mai sul serio. Solo dopo l’arrivo di questa nave il governo e il parlamento di Tripoli hanno deciso di inviare l’esercito per riprendere il controllo del porto e fermare la nave con il carico di greggio illegale, nel timore che potesse essere la prima di una lunga serie.

La situazione sembra essere di nuovo ritornata sotto controllo con l’arrivo della marina militare libica ad al Sidra. Eppure arriva l’epilogo di questa vicenda che è a metà tra il drammatico e l’esilarante: la petroliera, nonostante fosse stata circondata dai cacciatorpedinieri della marina libica, una volta fuori al porto di al Sidra in viaggio verso Misurata, dove avrebbe dovuto dare conto dell’accaduto alle autorità libiche, complice il maltempo compie una serie di manovre evasive che la portano nel giro di poco tempo nelle acque internazionali, riuscendo così a fuggire. Si tratta della goccia che ha fatto traboccare il vaso. Da mesi infatti i Fratelli musulmani tentavano di sfiduciare il governo del premier Ali Zeidan, accusato di corruzione e di non essere stato in grado di riportare la sicurezza nel paese. Zeidan alla luce di questa beffa viene quindi sfiduciato con 124 voti su 200 ed il suo governo cade, passando la guida dell’esecutivo in via momentanea al ministro della Difesa Abdullah al Thani. Quando la crisi libica sembrava aver dato il meglio di se nei colpi di scena, ne arriva un altro che riguarda il premier dimissionario Zeidan. A sorpresa infatti Zeidan abbandona Tripoli l’11 marzo sera alle 21, ora italiana. Il premier fugge a bordo del suo jet privato diretto in Germania, dove ha vissuto per 30 anni mentre era in esilio all’opposizione del regime di Muammar Gheddafi, dopo aver fatto prima scalo per un paio di ore a Malta. Zeidan è riuscito infatti a lasciare il paese prima che la procura gli notificasse un divieto di espatrio per un’accusa di corruzione. Avrebbe infatti pagato tangenti alle milizie che occupano i terminal petroliferi con soldi dello stato per convincerli a fermare la protesta. Si ritiene che l’ordine di fermarlo fosse nel cassetto da mesi se si pensa che a Zeidan il giorno del suo rapimento, avvenuto ad ottobre per mano di una milizia a Tripoli, gli era stato comunicato dai suoi rapitori di essere in stato d’arresto per un’indagine sulla corruzione nel governo.

Alla luce del susseguirsi dei colpi di scena avvenuti questa settimana in Libia il paese appare fortemente fragile e diviso tra clan e milizie contrapposte, con il forte rischio di cadere in una guerra civile prevista dal colonnello Gheddafi prima della sua morte. Secondo un editoriale del quotidiano “al Quds al Arabi”, “sviluppi pericolosi e incessanti quelli che stanno avvenendo in Libia, forse i più gravi dallo scoppio della rivolta che ha deposto il regime passato; con la mobilitazione generale nella provincia di Brega da parte degli indipendentisti; formazioni militari che richiamano i propri elementi; e organizzazioni locali della regione orientale del paese che sollecitano i propri “figli a raggiungere i campi di battaglia”, come recita un loro comunicato trasmesso dall’emittente locale di Brega”. Il quotidiano arabo espone tutta la sua preoccupazione per il fatto che è in corso nel paese “una chiamata alle armi per fare fronte al battaglione dell’esercito incaricato dal parlamento, che si dice sia composta in prevalenza milizie armate venute da Misurata. Nel bel mezzo di questo caos, le forze islamiche in seno al Congresso hanno approfittato dalla difficile situazione del governo che si è dimostrato impotente nell’impedire a una petroliera nordcoreana di salpare dal porto di al Sidra. Gli avvenimenti di questi giorni, culminati con l’esautoramento del primo ministro, Ali Zeidan, sembrano preludere a un conflitto civile”.

Dopo quanto successo in questi giorni il parlamento libico è deciso a lanciare un ultimatum alle milizie ribelli della Cirenaica, affinché lascino i terminal di petrolio occupati. Il presidente della Camera, Nouri Abu Sahimin, ha dato due settimane di tempo alle milizie ribelli della Cirenaica per lasciare i porti e permettere all’esercito libico di riprenderne il controllo, in modo da consentire di nuovo l’esportazione del greggio. Sul campo infatti i battaglioni dell’esercito libico, inviati dal parlamento hanno riconquistato l’aeroporto di Sirte e puntano verso est. Si tratta di unità dell’esercito libico, composte in buona parte dalle milizie di Misurata, che in settimana si sono già scontrate con un gruppo di miliziani indipendentisti attestatisi presso l’aeroporto di Sirte per difendere le loro posizioni. L’esercito libico ha avuto la meglio nella zona di Wadi al Ahmar e si prepara allo scontro finale con le milizie ribelli, il cui risultato non è affatto scontato.

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