L’ultima volta che una donna ha governato in Libia è avvenuto 1300 anni fa. Il suo nome era Dihia, nota col nome popolare di al Kahina. Si trattava di una forte combattente, una amazzone che ha vissuto per 127 anni, secondo la tradizione libica o almeno secondo quanto riporta lo storico arabo Ibn Khaldun nel suo Kitab al Abr nel quale scriveva che “Dihia era una amazzone berbera che non ha pari nella storia.
Cavalcava il suo destriero a Tripoli ed era armata per difendere la sua terra e quella dei suoi avi”. Dopo di lei, che ha governato in tutto il nord Africa, la prossima donna che si propone di governare in un paese della regione nord africana è l’attivista libica Amal al Taher Abdullah el Haj, chiamata da tutti Mimi. E’ una donna di Tripoli di 45 anni che ha deciso di candidarsi a premier attraverso un video messaggio registrato e inviato al parlamento di Tripoli e al suo presidente, Nuri Abu Sahimin.
Ha deciso di scendere in campo in considerazione della crisi in cui versa la Libia. Da due settimane il parlamento discute infatti di una mozione di sfiducia presentata contro l’attuale premier Ali Zidan, che giorno dopo giorno trova un numero sempre maggiore di sostenitori, ma che non ha ancora raggiunto la maggioranza in assenza di un’alternativa valida a Zidan. Per questo l’attivista libica è ottimista circa il fatto che possa essere scelta alla guida del futuro governo libico, considerando che il nome di una donna potrebbe essere un’ottima soluzione alla crisi in corso. Sulla sua candidatura è intervenuto lo stesso Zidan il quale ha affermato mercoledì scorso, nel corso di una conferenza stampa a Tripoli, che “ogni libico ha il diritto di candidarsi al mio posto”. Questa frase ha incoraggiato Amal che è quindi decisa a portare avanti la sua candidatura. Al momento ha davanti al suo cammino un solo concorrente, l’uomo d’affari Abdel Basat Aqtit.
Intervistata dall’emittente televisiva “al Arabiya”, la candidata alla premiership libica ha spiegato che “il premier Zidan sta vivendo una forte crisi di credibilità popolare perché ha fallito nel tentativo di riportare la sicurezza e di combattere la corruzione nel paese. In questo modo ha creato un clima di divisione nel panorama politico e in particolare di scontro tra i Fratelli musulmani e l’Alleanza delle forze nazionali di stampo liberale guidata da Mahmoud Jibril”. I due partiti potrebbero però trovare un accordo nel ritiro della fiducia a Zidan e nella scelta di un candidato di mediazione come lei. Sono 72 finora i deputati che hanno firmato la richiesta di sfiducia del governo, su cui stanno discutendo da giorni i deputati libici. Amal è nota ai libici per essere un’attivista che ha difeso i diritti delle donne come presidente dell’associazione “al Tawasul al Hurr”, fondata 3 anni fa che ha acquisito una certa esperienza e opera in diversi settori.
A proposito del fatto che potrebbe essere il primo premier arabo donna in un mondo dominato dagli uomini, ha risposto che “negli ultimi 1300 anni l’uomo arabo non ha permesso alla donna di partecipare in modo fattivo al governo della Libia, ma ora è arrivato il turno delle donne. Abbiamo il sostegno popolare e io sono nota per il mio impegno in favore delle donne”. Amal ammette che “a volte anch’io indosso i pantaloni ma sempre sotto una gonna lunga e indosso il velo. Sono una musulmana praticante, prego cinque volte al giorno e ho compiuto il piccolo pellegrinaggio alla Mecca due volte. Una delle mie nonne era una un leader tribale libica e anche suo padre era uno sceicco”. La candidata premier della Libia conosce anche bene l’Italia. E’ stata infatti impiegata presso una società italo-libica per l’assemblaggio dei componenti degli elicotteri e degli aerei, dalla quale si è dimessa prima della rivoluzione contro Muammar Gheddafi mentre ora si dedica solo al volontariato nella sua associazione.
Per capire l’importanza della candidatura di una donna per la premiership in Libia bisogna considerare la situazione in cui versa il paese. E’ stato un duro colpo infatti quello inferto al governo tra sabato e domenica scorsa a Sirte, in Libia, dove è stato assassinato Hassan al Droui, viceministro dell’Industria. Si tratta del primo omicidio di un membro dell’esecutivo di Zidan, il quale ha più volte evitato la scorsa settimana che passasse la sfiducia al suo governo in parlamento grazie ad una manciata di voti. Il viceministro è stato freddato con diversi colpi d’arma da fuoco da miliziani ignoti che sono poi fuggiti. Per della stampa libica il governo sarebbe “alle battute finali”, colpito da una grave crisi “politica e economica che interessa tutto il paese”.
Secondo il quotidiano libico “Quryna”, a dare il colpo di grazia a questo esecutivo sarebbe stato “il fallimento del tentativo di far rientrare la protesta che ha bloccato i terminal di petrolio, in particolare da parte di chi chiede un regime federale e ha fermato i terminal petroliferi della Cirenaica, spingendo i partiti a far cadere il governo”. Il blocco iniziato a fine luglio dalle milizie poste a guardia dei porti dove arriva il greggio ha provocato lo stop della produzione che è scesa da 1,5 milioni di barili al giorno a 250 mila, mettendo in ginocchio l’economia nazionale che si basa sull’esportazione di petrolio, considerato che i proventi del greggio rappresentano il 96 per cento del totale delle entrate.