I due fatti di cronaca che hanno coinvolto due connazionali omosessuali a Tunisi nei primi giorni di agosto hanno fatto riemergere la questione del turismo sessuale. Sia nel caso dell’assassinio di Angelo a Hammamet in cui il ventenne reo confesso ha dichiarato di essere stato molestato sessualmente dall’italiano e di averlo pertanto ucciso e derubato, sia nel caso di Daniele E., in cui i due ventenni tunisini conosciuti su facebook hanno tentato di derubarlo, non è stato accertato dalle indagini che vi sia stato uno scambio di denaro dietro prestazione sessuale.
Di certo i temi sollevati dalla rete in particolare nei siti gay impongono una serie di quesiti fondamentali sul turismo sessuale.

Marco Scarpati avvocato, docente universitario di Tutela Internazionale dei Diritti Umani alla Bicocca di Milano, fa un quadro generale della situazione del turismo sessuale: “Un terzo del turismo sessuale è omosessuale, un dato elevatissimo se si pensa che la percentuale di omosessuali nelle popolazioni sono valutate intorno al 5-8%. Inoltre questo è molto diffuso tra persone appartenenti a una fascia d’età sotto i trent’anni. Dato che avvalora la tesi che questo tipo di turismo scaturisce dalle condanne che gli omosessuali subiscono in patria, in misura e forma diversa. In Iran per esempio se un omosessuale denuncia di essere stato violentato si prende 18 anni di carcere per la sua omosessualità, il violentatore solo 3.
Nei Paesi musulmani vanno capiti anche i “prostituti”. Spesso si tratta di omosessuali che sono tollerati dalla loro comunità solo se si vendono. Il problema nasce se hanno delle vere e proprie relazioni affettive provando in questo modo di essere effettivamente omosessuali. Per esempio marocchini e albanesi se superano più di 11 mesi di “vendita del corpo” vengono considerati dalla loro comunità degli omosessuali a tutti gli effetti, pertanto sono emarginati e condannati. Così succede che a volte si vendano perché non possono vivere la loro vita sessuale diversamente.
Quanto è avvenuto in Tunisia deve essere chiaro che se c’è stata alla base una dazione di denaro significa che il rapporto era falsato dall’inizio. Chi dà il denaro – vale sia per gli uomini che per le donne – a una persona la cui sopravvivenza dipende da questo tipo di compravendita, ha creato un rapporto di prevaricazione. E quindi è inutile che parliamo di consenso. Io che sono un amante del Pasolini letterato, per esempio, oggi sarei molto arrabbiato con lui per il tipo di relazioni che aveva con i ragazzi di borgata. Stessa cosa non può dirsi se vi è una vera e propria relazione affettiva. Del resto il livello di omosessualità nei Paesi musulmani è elevatissimo.
Tuttavia, se io vado in Tunisia so che lì l’omosessualità è punita e non ci si può certo sentire perseguitati dalla polizia “omofoba” che lo è sicuramente, ma io comunque ho compiuto un reato secondo la legge di quel Paese. Daniele E. non stava facendo una manifesta battaglia civile contro l’omofobia in Tunisia, ma stava agendo nelle pieghe. Il comportamento della polizia, pure nella sua brutalità, è stato quello nei confronti di uno che compie un reato. Se io giro con uno spinello in tasca in Italia, anche se lo reputo folle, so però che posso essere condannato per questo, perché è un reato”.

Gli affetti e le compravendite
Il vero problema sembra sollevarsi allora in quella zona ambigua tra diritto sacrosanto a una vita affettiva omosessuale e sessuale e il ricorrere a un rapporto di compravendita di corpi, e anche se si tratta di adulti consenzienti, bisogna capire di che tipo di consenso si parla. Pier Cesare Notaro, fondatore e gestore del sito Il Grande Colibrì, primo sito interculturale LGBT in Italia, riporta in primo piano la questione della libertà sessuale come dato assoluto: “Credo che la libertà sessuale sia un diritto fondamentale, che dovrebbe potersi esercitare sempre e dovunque, al di là delle leggi ingiuste che condannano alcune forme di sessualità, omosessualità e prostituzione comprese. Secondo me, il turismo sessuale in senso lato e il ricorso alla prostituzione andrebbero giudicati secondo due semplici parametri. Il primo riguarda la reale libertà di scelta di entrambi i partner: se la povertà di uno dei due riduce o annulla la sua possibilità di scelta, non stiamo parlando di libertà sessuale. Lo stesso vale per i rapporti con persone che ancora non hanno pienamente sviluppato la capacità intellettuale di esprimere scelte del tutto consapevoli. Se questa età varia da persona a persona, praticamente tutti i Paesi del mondo stabiliscono un’età convenzionale (l’età del consenso): perché si critica questa convenzione solo per la Tunisia?
Il secondo parametro riguarda il riconoscimento della dignità della persona che si prostituisce: né le giovani thailandesi né i ragazzi arabi devono essere considerati solo pezzi di carne a disposizione sul menù del turista occidentale.
Ecco, in base a questi due parametri, secondo me, possiamo distinguere tra la libertà sessuale, che è un diritto, e lo sfruttamento e la prevaricazione, che non giustificano la violenza, ma che neppure possono essere accettate”.
Luana De Vita
, psicologa criminologa e docente del master di Criminologia Forense alla Sapienza di Roma osserva: “Il turista del sesso lascia dietro le sue spalle il proprio ricco paese e “pensa” di poter disporre, approfittare nella destinazione prescelta, ovviamente meno sviluppata del suo paese, della diversità socio-economica a suo vantaggio, dei cambi favorevoli, di una sorta di “anonimato” che l’essere “altrove” sembra garantire e sostanzialmente della quasi sempre frequente impunità, indifferenza e sostanziale corruzione delle autorità”.
Tuttavia insiste sul dato della legalità da rispettare sempre e comunque nei paesi meta del turismo sessuale: “Se è vero che la legislazione italiana consente di perseguire i colpevoli di reato di abuso sessuale su minori anche se il fatto è commesso all’estero, scegliere con cura i maggiorenni potrà evitare le conseguenze penali in Italia, ma non certo quelle del paese in cui la prestazione sessuale è comunque vietata, anche tra maggiorenni”.

Le donne e i fidanzati dell’anno precedente
Il fenomeno, riguarda ovviamente anche il turismo etero, comprese le donne che “comprano” giovani uomini. Come documenta Marco Scarpati: “Le donne consumano diversamente. Infatti si “ fidanzano” , ritrovano il giovane uomo dell’anno prima. Non collezionano avventure come gli uomini, che in 15 giorni di vacanza ne possono cambiare anche uno al giorno”.
E al turismo sessuale al femminile con giovani uomini corrisponde un profilo psicologico che Luana De Vita descrive: “Le donne occidentali, moltissime europee, italiane incluse, generalmente di mezza età, benestanti cercano la vacanza all’insegna del relax, del lusso e del piacere e trovano “giovani maschi” che le gratificano, le corteggiano, le accompagnano. Una nuova forma di “colonialismo”. Niente a che vedere con l’amore, sia chiaro: pagare prestazioni sessuali di giovani appena maggiorenni in Paesi sottosviluppati non può certo rientrare nelle categorie dell’affettività, sono “distorsioni” patetiche, finzioni ridicole. Dei ragazzi tunisini di 20 anni o le ragazzine brasiliane di 18 non “amerebbero” anziani sessantenni se avessero soldi, cultura, prospettive e autonomia per autodeterminarsi. E non sono amati dai loro clienti. Sono “comprati” proprio come l’ultimo modello di Ipad o di occhiali di grido, e con la stessa facilità vengono sostituiti, alla ricerca di “novità”.
Nel caso di Daniele e Angelo, entrambi corrispondono a una situazione abbastanza classica: si tratta di due italiani, nella stessa fascia di età (la cinquantina), omosessuali, soliti fare lunghi soggiorni in Tunisia, e entrambi frequentatori di ragazzi sulla ventina, anche conosciuti occasionalmente. “Se come si potrebbe supporre, in questi due casi si è trattato di una qualche forma di “prostituzione” non è strano che avessero proprio 20 anni. In Tunisia la maggiore età si raggiunge a 20 anni, chi ha una certa “esperienza” in questo genere di attività è assolutamente capace di comprendere che aggiungere l’aggravante dell’abuso su minore peggiorerebbe parecchio la posizione in caso di “complicazioni”. Inoltre, per quanto riguarda l’Italia almeno, più dell’80% degli omicidi in ambito omosessuale si consumano in situazioni di prostituzione, il profilo della vittima è di solito un maschio omosessuale tra i 50 e i 60 anni, l’età media degli autori di reato è sotto i 30, la scena del crimine è quasi sempre l’abitazione della vittima o l’auto, e in più del 40% dei casi c’è sempre anche il furto di beni e soldi della vittima. Non ultimo, moltissimi “marchettari” non sono affatto omosessuali, si vendono ma non hanno alcun coinvolgimento omosessuale, accettano quei rapporti solo per soldi. Le dinamiche di senso di colpa possono nutrire anche sentimenti intensi d’odio e aggressività proprio verso coloro cui si “offrono”, quasi che la colpa del loro degrado e della loro miseria sia la “presunta” ricchezza dell’altro”.

Una questione di privacy
C’è poi il grande tema dell’anonimato. Nel caso di Angelo la Farnesina ha protetto l’identità del morto, anche dopo cinque giorni dall’assassinio, evocando questioni di privacy della famiglia. Allo stesso modo Daniele E. che rivendica diritti e libertà, però non si scopre: “L’identità di un italiano ucciso nel corso di una rapina all’estero di norma non viene censurato, E nel caso di Daniele, l’italiano ha preferito nel suo j’accuse alla Polizia tunisina occultare la sua identità. Insomma se i territori in cui ci muoviamo restano in ombra per i “nostri” comportamenti illegali, e ricordiamo che in Tunisia sia la prostituzione che l’omosessualità sono reati, è difficile rivendicare i propri diritti, la corruzione, l’indifferenza.

2/Fine

(La prima parte, Sex, gay e Tunisia è stata pubblicata il 10 agosto 2012)

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