La sentenza si occupa di risolvere una questione che aveva da tempo interessato diverse Sezioni della Cassazione, e relativa alla chiamata in reità o in correità.
La chiamata in reità sarebbe sostanzialmente l’accusa pura e semplice di qualcuno che attribuisce ad altro la commissione di un reato.
La chiamata in correità si verifica ogni volta che da parte di chi è accusato di un reato venga indicata come complice una seconda persona.
Si può verificare però il caso di Tizio che viene accusato da Caio il quale afferma di aver saputo della sua colpevolezza da Sempronio. Questa accusa, appunto, “de relato”, cioè riferita da altri, per poter essere ritenuta valida come prova di colpevolezza deve trovare dei riscontri che la puntellino.
La questione è questa: è possibile che il riscontro possa essere fornito da un’altra dichiarazione “de relato”?
Le pronunce della Corte erano state di natura diversa. Da una parte si diceva che la chiamata in correità, contenendo oltre all’accusa a carico del correo anche la confessione del fatto proprio presentasse un rilevante grado di attendibilità intrinseca. La chiamata in reità, invece, non comportando alcun rischio processuale per il dichiarante sarebbe di per se meno attendibile necessitando quindi di riscontri più rigorosi, non individuabili nella semplice dichiarazione “de relato” a supporto della prima.
Le Sezioni Unite, in accordo con l’altro filone giurisprudenziale, dicono che in questo modo si creerebbe di fatto una graduatoria astratta delle prove, finendo così per escludere il principio del libero convincimento del giudice: questi, in sostanza, è legato solo all’obbligo di motivare con coerenza logica di argomentazione la propria decisione, da sottoporre poi al vaglio di altri giudici.
Va lasciata al decidente, dunque, la libertà di utilizzare anche dichiarazioni di chiamanti in correità prive di riscontri oggettivi: gli è richiesto però un più rigoroso sforzo nell’evidenziare la efficacia dimostrativa di dati di per se meno affidabili, utilizzando più pregnanti criteri di analisi per giungere ad un risultato logicamente apprezzabile.
Insieme con un excursus in ordine alla compatibilità della chiamata “de relato” con gli artt.195, 209, 210 cod. proc. pen., significativamente la sentenza fa l’esempio di un killer il quale riferisca in ordine alla fase esecutiva dei suoi omicidi e ne indichi i complici spiegando i ruoli da essi tenuti, e circa la causale dei delitti riferisca quanto appreso da quei complici in ordine alla individuazione dei mandanti: in tal caso è di tutta evidenza, dice la Corte, che quell’imputato è un chiamante in correità diretto per alcuni aspetti della vicenda, e “de relato” per altri.
In un sistema processuale basato sul libero convincimento del giudice, dunque, la chiamata “de relato” è comunque utilizzabile anche quando la fonte primaria non possa essere sentita a conferma, come nel caso dell’imputato nello stesso procedimento che non vi consenta o si avvalga della facoltà di non rispondere se è imputato in un procedimento connesso, o ne sia divenuta impossibile l’audizione, ad esempio per morte o irreperibilità.
Occorrerà però verificare non soltanto la attendibilità oggettiva e soggettiva di colui che compie la dichiarazione “de relato”, ma anche la attendibilità della fonte primaria e la genuinità del racconto di essa.
In ossequio alla esigenza che la chiamata “de relato” sia riscontrata da altri elementi di prova, questi potranno essere di qualsiasi tipo e natura, e dunque tra essi – concludono le Sezioni Unite – potranno comprendersi anche altre dichiarazioni “de relato”.
Corte di Cassazione, sezioni unite penali, sentenza 20804 del 14 maggio 2013