Più che la tecnologia, sono le case editrici italiane ad aver ucciso la carta stampata, ma solo dopo averle strappato le interiora. Oltre che dai bavosi tomi annuali di Vespa e Fede, le librerie sono intasate da volumi che hanno la stessa utilità della legna da ardere.
I grandi gruppi editoriali italiani Mondadori, Feltrinelli e Rizzoli hanno trovato la pietra filosofale che trasforma un testo scritto in carta da culo, facilmente smerciabile in confezioni da dieci. Schiaffare il nome e la foto di un personaggio dello spettacolo sulla copertina di un libro fa risparmiare i soldi per l’ufficio stampa e la promozione, considerati ormai obsoleti e facoltativi dalla maggior parte degli editori. Basta un’ospitata in tv, qualche click su Facebook e il libro si vende da solo. Questa è l’unica regola del genere narrativo “usa e getta”, rappresentato in pieno dai capolavori intimisti di Fabio Volo, dalle chiacchiere da lavandaia di Barbara D’Urso e dalle imprescindibili autobiografie dei calciatori. Anche il saltimbanco Giorgio Faletti, travestitosi da Ken Follett, non riesce più a uscire dalla parte e il suo romanzo “Io Uccido” diventa il best-seller da ombrellone. Quel piagnone di Moccia, figlio dell’autore Pipolo, ha dato un nuovo significato al termine “ciofeca” con un’intera bibliografia sui primi pruriti sessuali in un mondo di fantasia dove tutti parlano come i Baci Perugina. E per emulare il suo amicone il principe Emanuele Filiberto, già al quarto manoscritto, anche Pupo dà alle stampe “La Confessione”, che non è un testamento ma un thriller a sfondo sanremese. Forse arriverà un giorno non troppo lontano in cui tutti i ghost writer del mondo formeranno un sindacato e si incazzeranno sul serio, forse.