Il rapporto con l’autore è uno degli aspetti più interessanti del lavoro di editore.
Umanamente?
Domanda lecita.
Diciamo…antropologicamente…!
Tra gli autori ci sono le persone normali – solitamente, quelli con la penna più ispirata – che rimangono coi piedi per terra anche al centocinquantesimo libro pubblicato e restano splendidamente capaci di un rapporto umano civile e costruttivo col prossimo, editore incluso (che, secondo una recente sentenza della Corte costituzionale, pare possa essere annoverato come parte dell’ampia categoria “prossimo”…). Non è detto che questi autori siano scrittori di professione, persone che quindi vivano del loro genio o, comunque, della loro ispirazione, tanto che sia tradotta in una vena saggistica che in una letteraria oppure, ad esempio, pedagogica o fumettistica.
Categoria a rischio è quella degli autori frustrati, quelli che hanno vinto al primo libro il premio della critica in un concorso bandito in un paesino montano di 21 abitanti e che per il resto della vita inseguono il sogno di potersi autodefinire “grandi” senza che il resto del mondo – paesino di montagna incluso – non scoppi a ridere. Ce ne sono parecchi, così, anche nel mondo del teatro, del cinema, della musica, del calcio… Qualcuno ama definirsi “promessa mancata”. Quel che è mancato, invece, forse è altro.
Poi ci sono gli autori che si montano la testa, quelli che si sentono scrittori – e non è esattamente la stessa cosa, come dicevamo poco fa – e, in quanto tali, pensano di potersi comportare come star hollywoodiane in conferenza stampa. Capricciosi, bizzosi, nervosi, incazzosi (leggete sia al maschile che al femminile, sebbene gli uomini siano spesso i più portati verso atteggiamenti divistici), costoro hanno idea che il mondo giri attorno al sole solo per permettere alle loro altezze di prendere una tintarella da copertina di magazine e ritengono che l’azienda editoriale debba assumere loro immagine e somiglianza, stendendosi a tappetino per soddisfare qualsiasi pretenziosa richiesta o, meglio, bizza.
Tra gli autori impossibili, interessanti sono quelli che, se vendono libri, lo fanno perché è solo merito loro; se non li vendono, si scagliano contro l’editore perché è un incapace e non fa mai abbastanza. Poi magari ci sono quelli che – proprio nell’unica settimana di ferie che sei riuscito a prenderti nel corso di un anno di lavoro – dopo aver ricevuto le cosiddette notule per il pagamento dei diritti d’autore ti piantano grane infinite perché gli hai rubato i soldi, a loro dire. Inutile eccepire che sei tra i pochi editori italiani a pagare regolarmente i diritti d’autore – che si calcolano percentualmente rispetto al venduto, quindi un qualcosa per cento del prezzo di vendita del libro moltiplicato per il numero di copie acquistate dai lettori, con l’esclusione ovviamente degli omaggi (e ammesso che si abbia la pazienza di restituire la notula di cui sopra debitamente firmata e “bollata”) – e che nell’editoria purtroppo esistono i “resi”, ovvero i libri che le librerie restituiscono al distributore, anche dopo mesi o addirittura anni, e che l’editore deve, sostanzialmente, riacquistare – tecnicamente, si tratta di restituire al distributore una somma che questi ha anticipato all’editore al momento della fornitura di una certa quantità di volumi a un certo numero di librai.
Per codesti autori rimani ladro anche quando hai dimostrato che non solo non hai “rubato” una lira, ma che in realtà sono stati loro, negli anni precedenti, ad aver ricevuto ben più di quanto effettivamente maturato, poiché i diritti sono stati loro pagati (grave errore!) al lordo dei “resi”. L’autore, evidentemente, non restituisce all’editore quanto di più ricevuto.
L’ultimo autore in ordine di tempo ad aver piantato una simile grana sosteneva, ad esempio, d’essere stato “alleggerito” dei proventi della vendita di ben 130 copie. Un bottino in diritti d’autore di circa trenta euro lordi! Per i quali non si sarebbe macchiato di furto neppure lo sceriffo di Nottingham di robinhoodiana memoria!
E allora, con siffatti autori, l’unica soluzione è un mesto e doloroso “taglio”, per non rimetterci, oltre alla pazienza, anche la salute.