“Riley on marketing” è un video virale youtube che ha avuto almeno 2 milioni e mezzo di visitatori. Riley è una bambina americana che davanti a degli scaffali di un negozio di giocattoli è in preda a un’ accalorata rimostranza: “non ho capito perché le bambine devono avere sempre roba rosa e i bambini possono avere giocattoli di tutti i colori”. Diversi blog francesi, come Martienne, la citano tra le dieci donne più dirompenti dell’anno appena concluso.
La ribellione contro il gender aparthaid potrebbe essere iniziata?
La Lego nota casa di giocattoli dopo aver sbagliato più di una volta il lancio di nuovi prodotti, proprio per non aver capito la questione di genere e i mutamenti sociali in corso, stavolta raccoglie la sfida e dopo una lunga osservazione di comportamenti nei giochi di bambine in Germania, Corea, Inghilterra e Usa, lancia una novità Lego solo per bambine: LEGO friend.
Già uscita in America e in Inghilterra, l’11 gennaio arriva anche in Francia. La campagna di marketing virale che l’accompagna è però rivelatrice di molte cose.
I video hanno una loro piccola storia. Tutto parte dal malcontento nato in un clan di bambine fan della Lego: il clan Legoni. Le ragazzine si dicono stanche di doversi travestire da ragazzini per poter giocare ai loro giochi. L’espediente è un po’ logoro: quello del disagio femminile nel venire inchiodate a un ruolo che costringerebbe poi le donne a trasformarsi in uomini. Ma le bambine del video vanno oltre. Infatti vestite di nero, giacca, cravatta e baffi posticci , si incontrano in una cantina, si tolgono tutto e dichiarano il loro l’obiettivo: “Siamo delle ragazzine, delle vere ragazzine, e vogliamo un giocattolo da personalizzare, vogliamo creare il nostro universo. Non è mica difficile. Sono stanca di travestirmi da ragazzino per giocare con i loro giochi, la gente lo deve sapere. Sì proprio, siamo delle ragazzine”.
Così con il nuovo Lego friends le bambine potranno costruire saloni di bellezza e cucine dai toni pastello. I pezzi del gioco sono più grandi di quelli tradizionali e le forme più tonde. I cinque personaggi virtuali animanti, proposti poi nel sito web, che servono a presentare la novità, corrispondono a cinque personaggi perfettamente stereotipati. Mia, adora gli animali. Emma è un’ estetista. Andrea una pop star. Stéphanie fa l’organizzatrice di feste. Olivia è una scienziata…E quest’ultima è davvero la novità da salutare positivamente. Finalmente a una bambina è stata data l’opportunità di sognare la scienza.
Inevitabilmente, quando è il mercato ad appropriarsi di questioni sociali delicate e generalmente trascurate dal dibattito main stream, si cade, malgrado le apparenze, nel conservatorismo. Una delle aspirazioni è avere la cucina, ma per poter fare la cuoca. Non è la costruzione ad esempio, di una cucina per semplice ambizione architettonica o ingegneristica. Inoltre, nemmeno a dirlo, le piccole attrici usate dalla Lego per i video virali, non sono affatto spontanee. Del resto la strategia è quella di far parlare dei finti consumatori già addestrati a interpretare il ruolo del consumatore che sceglierà quel prodotto. Soprattutto adottano codici maschili per rivendicare il loro ruolo (si presentano in un locale vestite da uomini), mostrando peraltro sensi di colpa per voler giocare come dei maschi, mentre sono proprio questi semmai che hanno sensi di colpa se giocano con giocattoli da femmine. La resistenza del mercato all’ abbattimento degli stereotipi uomo donna, svela anche un’ altra paura profonda che è quella della fine della cellula familiare, delle famiglie monoparentali, e delle coppie gay. Anche se spesso il mercato anticipa il cambiamento e lo sfrutta commercialmente. In Italia la coppia gay proposta da Ikea, che scatenò l’ira del ministro Giovanardi, è esattamente il segmento di nuovi acquirenti che viene captato e apertamente dichiarato. Così, in occasione dell’uscita americana del nuovo Lego per bambine, il New York Times ha rilanciato il dibattito sull’annosa questione di genere nei giocattoli e di quanto questi condizionino poi i comportamenti futuri. L’autrice Peggy Orenstain cita, a giusto titolo, il negozio di giocattoli cult londinese, Humleys, che ha scelto come strategia di eliminare il reparto “bambole” e “ super eroi” e di organizzarsi al contrario per gruppi di interesse. Giochi in casa e giochi per fuori, etc. Ma basta con i reparti tinti di rosa. E tutto sommato ha proprio ragione Riley, la prima femminista di dieci anni più famosa al mondo: “vorrei sapere perché mai le bambine devono giocare solo con roba rosa”