Ora che la Corte costituzionale ha affermato quello che molti pensavano (e che non pochi dicevano), vale a dire che il così detto porcellum è una legge incostituzionale, sarebbe logico attendersi, da un lato, moti di indignazione (popolare), dall’altro, assunzione di responsabilità, presentazione di scuse e formulazione di nuovi propositi (politici) per il futuro.
Nulla di tutto ciò.
Sembra che la legge elettorale 21 dicembre 2005 n. 270, recante “Modifiche alle norme per l’elezione della Camera dei deputati e del Senato della Repubblica” (il porcellum, appunto), non solo non abbia genitori, ma nemmeno abbia parenti; sembra che essa sia stata imposta al Parlamento da un’entità malvagia ed estranea e che – né allora, né ora – “qualcuno” la abbia voluta, approntata e promulgata.
E capita dunque di dover ascoltare critiche a quel (questo) sistema elettorale, provenienti, paradossalmente, anche dalla medesima parte politica che lo ha (strumentalmente) partorito.
Se non fosse offensivo (per i cittadini-elettori), sarebbe comico (per i cittadini- spettatori).
Il fatto è che per tale deliberato “imbroglio” sembra che nessuno debba essere chiamato a rispondere.
Negli ultimi decenni si è fatto un gran parlare della responsabilità civile dei magistrati per gli abusi o gli errori gravi che essi possono commettere nell’esercizio del loro potere.
Si è svolto un primo referendum, è stata promulgata una legge (legge 13 aprile 1988 n. 117, recante “Risarcimento dei danni cagionati nell’esercizio delle funzioni giudiziarie e responsabilità civile dei magistrati” e successive modificazioni; legge che, per vero, non ha soddisfatto nessuno), è stata avviata altra raccolta di firme per un nuovo referendum, per il quale, tuttavia, non è stato raggiunto il quorum.
In merito ognuno ha le sue idee e non intendiamo in questa sede affrontare l’argomento.
È stato però sostenuto da alcuni che, essendo quello giudiziario, appunto, un potere dello Stato superiorem non recognoscens, non avrebbe senso – al di fuori del caso in cui il magistrato commetta reati – prevedere ipotesi di responsabilità civile per gli atti compiuti nell’esercizio di tale potere, che, come è noto, è autonomo e dotato di meccanismi di auto-correzione.
L’assunto può essere condiviso oppure no, ma, per coerenza, chi lo rigetta, deve applicare il principio che ne scaturisce anche agli altri due poteri statuali: quello legislativo e quello di governo (si pensi al disastro degli “esodati”).
Torniamo allora al porcellum: esso ha prodotto un sistema di rappresentanza elettorale e di selezione della classe politica palesemente incostituzionale. Di più: consapevolmente incostituzionale, atteso che chi lo ha elaborato, proposto e fatto votare ben sapeva che stava sponsorizzando un atto contra Consitutionem. Tanto ciò è vero che il titolare dell’apparato cerebrale che lo partorì ebbe a definire – egli per primo – la sua creatura “una porcata” (donde il nome in latino maccheronico). Dunque: dolo diretto e intenzionale. È stata varata (e promulgata) una legge incostituzionale nella piena consapevolezza della sua incostituzionalità. È stato perpetrato un danno rilevante ai diritti politici dei cittadini. È stata resa possibile la selezione di una classe politica, priva di una effettiva rappresentatività. Non si deve infatti trascurare che due sono i punti sui quali evidentemente si sono concentrate le critiche del Giudice delle leggi: le liste bloccate senza possibilità di esprimere preferenze e la determinazione del così detto premio di maggioranza, vale a dire la possibilità di accrescere, oltre una misura “ragionevole”, la rappresentanza in termini di seggi parlamentari da attribuire alla lista più votata.
Ma i danni non sono solo di natura istituzionale. Vi è un evidente danno di immagine, in Italia e all’estero (si parla ormai, sia pure, in senso a-tecnico di Parlamento delegittimato) e vi è un percepibile danno politico: gli elettori si sentono sempre più lontani dagli eletti e sempre meno rappresentati da essi. Non sono, oltretutto, infrequenti i casi di candidati imposti dall’alto in circoscrizioni elettorali nelle quali essi non hanno alcun radicamento. Entrano in Parlamento le persone che i partiti (non gli elettori) hanno designato. E, se Caligola fu in grado di nominare senatore Incitatus, non è da escludere che, con il porcellum, altri equini possano aver varcato la soglia delle Camere.
Per non dire dell’astensionismo elettorale, quale ulteriore conseguenza della delusione del corpo elettorale.
Certo non è tutta colpa del porcellum, ma sarebbe ipocrita negare la esistenza di uno stretto rapporto causale tra il capolavoro legislativo del 2005 e la disaffezione degli italiani per la politica (e in particolare per le competizioni elettorali).
Il fatto è che “la porcata” non doveva servire (come di fatto è servita) solo a far vincere male la parte che ci si aspettava avrebbe vinto; essa doveva svolgere anche un’altra funzione, anche questa, si può dire, soddisfacentemente raggiunta: umiliare e subordinare il Parlamento rispetto al Governo. Con un parlamento “ottriato”, la maggioranza presente alle Camere non poteva avere altro ruolo se non quello di votare – con puntualità e obbedienza – i provvedimenti proposti dal Governo o, comunque, ad esso graditi. La funzione di controllo dell’organo parlamentare (che presuppone la –relativa – indipendenza dei senatori e dei deputati e la loro responsabilità verso l’elettorato che li ha scelti) è ormai una pura illusione.
Ma – la domanda ritorna – il responsabile (i responsabili) di questo disastro (prevedibile e, di fatto, previsto) non deve (devono) rendere conto di quanto è accaduto?
Responsabilità politica, si potrebbe rispondere, ma si tratta di poco più di una formula, dal momento che l’inamovibilità dei principali rappresentanti parlamentari è dato di diffusa conoscenza e, sembra, di ineluttabile verificazione.
Il fatto è che l’art. 48 della Costituzione stabilisce che il voto, oltre ad esser personale, eguale e segreto, deve essere anche libero. Ora ci chiediamo se nel concetto di libertà non rientri necessariamente la possibilità di scelta. La domanda è retorica e la risposta è intuitiva. E allora impedire, limitare o coartare l’esercizio di un diritto politico costituisce una condotta di assoluta gravità in democrazia. Se tale condotta è connotata da violenza, minaccia o inganno, essa integra addirittura gli estremi di un delitto (art. 294 cod. pen.: attentato contro i diritti politici del cittadino: pena reclusione da uno a cinque anni). Ora, è difficile sostenere che un atto legislativo possa, in sé, costituire un inganno, ma certo è che, in casi come quello appena descritto, non ne è troppo lontano.
“Quando la Corte dichiara la illegittimità costituzionale di una norma di legge o di un atto avente forza di legge, la norma cessa di avere efficacia dal giorno successivo alla pubblicazione della decisione” (art. 136 Cost.).Dunque: benché la “legge Calderoli” sia incostituzionale, il Parlamento eletto con tale legge, gli organi che dal Parlamento hanno ricevuto investitura e nomina (il Presidente della repubblica, una parte dei giudici costituzionali ecc.), le leggi che quel Parlamento ha prodotto non sono -tecnicamente – contra Constitutionem, in quanto anteriori alla sentenza della Consulta; ma, a far tempo dal giorno seguente alla sentenza, a stretto rigore, dovrebbe dirsi il contrario.
Nessuno però ne ha tratto le conseguenze e tutto procede come se nulla fosse accaduto. Anche perché c’è una situazione di emergenza.
Nel nostro Paese emergenza (oggettiva) e provvidenza (soggettiva) tendono, molto spesso, a identificarsi.