Sono state soprannominate le “mozzarelle dei Puffi” perché, a contatto con l’aria, si colorano di blu. La prima volta che un consumatore si è trovato di fronte a questa stranezza era l’estate del 2010 e si stava accingendo a mangiare il formaggio fresco che aveva acquistato poco prima in un noto discount di marca tedesca a Torino; in breve tempo, da allora, questo fenomeno si è riproposto in tante case della penisola.
La mozzarella non è però l’unico prodotto che ha cambiato sembianza una volta estratto dalla confezione: si sono riscontrati casi altrettanto allarmati come quello di una ricotta comprata ad Olbia e diventata rossa non appena scartata, latte celeste acquistato a Piombino, una provola ricoperta da chiazze rosse nel lodigiano.
Le indagini della Procura di Torino
Nel febbraio 2011 il pm Raffaele Guariniello della procura torinese ha aperto un’inchiesta volta a controllare la produzione lattiero-casearia di una decina di stabilimenti italiani; dall’indagine è emerso che su un totale di 1.027 campionamenti di latticini quasi il 70% è risultato positivo alla contaminazione di batteri. Inoltre, tra i vari stabilimenti di produzione, la percentuale di positività alla presenza di batteri si è distribuita da un minimo di 27% ad un massimo di 87%. Secondo i consulenti che hanno effettuato le analisi la contaminazione microbiologica non sarebbe da far risalire al latte, bensì all’acqua utilizzata per raffreddare la cagliata. Per risparmiare sui costi, infatti, sarebbe stata utilizzata acqua non potabile, facilmente inquinata ed il colore bluastro sarebbe da imputarsi al batterio pseudomonas fluorescens, che prolifera proprio nelle acque non potabili prelevate dai pozzi. Se tale batterio pare non essere dannoso per la salute umana, sono numerosi anche altri elementi nocivi rinvenuti nelle analisi dei campioni: tra questi, ad esempio vi sono il bacillus cereus, gli enterobatteri, l’escherichia coli, la salmonella, lo stafiloccocus aureus che possono invece creare disturbi seri e intossicazioni. Nei campionamenti analizzati è stata riscontrata, talvolta, anche la presenza di diserbanti e pesticidi filtrati attraverso i terreni.
Come è possibile che vi sia un controllo così scarso sulla commestibilità e sulla purezza degli alimenti che arrivano sulle nostre tavole? Per quanto riguarda lo specifico delle mozzarelle pare essere mancato completamente il ruolo delle Asl (Associazioni sanitarie locali) che avrebbero dovuto condurre, come stabilito per legge, specifiche verifiche assicurando che la produzione degli alimenti avvenisse utilizzando acqua potabile. I controlli sulle acque utilizzate per uso alimentare finora non sono, invece, mai stati effettuati.
Un vuoto legislativo
In quel frangente la situazione è apparsa allarmante anche sul fronte legislativo dal momento che per tutto il 2010 si è temuto che centinaia di processi riguardanti le adulterazioni alimentari venissero cancellati: per effetto del decreto «taglialeggi» del ministro per la semplificazione Calderoli, i giudici italiani avevano, infatti, smesso di applicare la legge nazionale n. 283 del 1962. Tale legge consentiva ai carabinieri del Nas (Nucleo antisofisticazioni) e ai magistrati di indagare sulla vendita di prodotti alterati e di punire penalmente casi di adulterazioni alimentari e/o (casi meno eclatanti, ma estremamente frequenti) di detenzione nei negozi di prodotti scaduti o conservati male. Solo a seguito di una forte pressione dello stesso Guariniello, una sentenza della Cassazione del 20 gennaio 2011 ha riconosciuto gli effetti della legge e sono ripartite le indagini e i processi in merito. La stessa Confederazione italiana agricoltori (Cia) ha sottolineato come la legge sia una norma essenziale che per decenni ha contribuito a tutelare la salute dei consumatori e a salvaguardare gli agricoltori stessi.
La stessa Cia fornisce alcune cifre riguardo alle adulterazioni: nel 2010 i carabinieri dei Nas hanno scoperto 23.342 infrazioni su 34.675 ispezioni effettuate e hanno sequestrato 39,3 milioni di chili di merce scaduta o adulterata; secondo i dati del rapporto Fare Ambiente, nel periodo 2010-2011, le frodi agroalimentari in Italia sarebbero aumentate vertiginosamente (+40%) tanto da costituire un giro d’affari illecito stimato di oltre 3 milioni di euro al giorno.
I rischi della melamina
Esiste anche la possibilità che gli alimenti vengano adulterati senza che il loro aspetto o il loro colore cambino? La risposta purtroppo è sì. Rimanendo in tema di latticini è questo, per esempio, il caso del latte contaminato dalla melamina (una sostanza chimica utilizzata per produrre plastica, colle e fertilizzanti che se mescolata al latte e alle farine ne fa sembrare più alto il valore proteico) che lascia la bevanda bianchissima ma che può provocare calcoli e insufficienze renali gravi, con danni permanenti e a volte mortali. Alla stessa stregua, anche una mozzarella “bianca come il latte” può risultare adulterata, per esempio a causa dell’aggiunta di gesso. Il caso della mozzarella di bufala è ancora diverso: in Italia una mozzarella di bufala per poter essere tale deve contenere almeno la metà di latte di bufala mentre si è verificato che molto spesso il principale ingrediente utilizzato è latte in polvere o, ancor peggio, latte di mucca sbiancato con calce e soda.
Olio, vino, uova, carne
Tra i prodotti maggiormente adulterati ci sono poi l’olio extravergine (non è così raro che un comune olio di semi colorato con clorofilla venga spacciato per olio d’oliva extravergine oppure che siano utilizzati oli alimentari esausti, ovvero oli vegetali di scarto, dunque potenzialmente pericolosi) e il vino. Il “vino senza uva” è un classico della sofisticazione dal momento che con l’aggiunta al mosto di alcol e zucchero (proibito per legge) si possono produrre ulteriori quantitativi di liquido; c’è, inoltre, chi aggiunge al mosto, oltre ad acqua e zucchero, anche acido cloridrico e acido solforico col risultato di mascherare, a una normale analisi, la presenza di zucchero. Gli esempi potrebbero continuare per pagine intere: dalle uova e la carne alla diossina (derivante dai mangimi dati a polli e ai maiali che contengono residui di olio biodiesel), alle alici con larve di anisakis (un parassita presente nel pesce fresco non prontamente eviscerato, che può recare danni al fegato del consumatore), ancora a tutti quegli alimenti (tra cui anche paste fresche con ripieni, salse di vario tipo, dolci, pane, ecc.) che possono contenere prioni responsabili dell’encefalopatia spongiforme o bovina (BSE).
La tracciabilità dei prodotti
I vari Consorzi di tutela dei prodotti agricoli ed alimentari di qualità asseriscono che la miglior difesa per chi compra è la conoscenza del prodotto: fidarsi dei produttori conosciuti e dei marchi di garanzia, prediligere i prodotti biologici e a chilometro zero, evitare i prodotti a basso costo e senza tracciabilità sembrerebbero essere le buone regole da seguire per evitare di incappare in incidenti di percorso. Certamente con l’attuale crisi economica l’acquisto, magari in un discount, di prodotti alimentari low cost è sempre più diffuso; anche in questo caso, sono e saranno per lo più i ceti medio-bassi, che brigano quotidianamente per far quadrare i propri bilanci famigliari, le vittime sacrificali dei vini, degli oli adulterati e delle mozzarelle “color Puffo”.
Per ulteriori approfondimenti:
http://www.fareambiente.it
http://www.cia.it
http://www.ilsalvagente.it/Sezione.jsp?idSezione=7354