Con l’apertura a Bologna di due nuove banche del latte umano donato, rispettivamente una il 2 ottobre al Policlinico Sant’Orsola e, l’ultima, l’8 febbraio scorso all’ospedale Maggiore, cresce l’esercito delle puerpere che vogliono donare il proprio latte materno “in eccesso” ai bambini dei reparti di neonatologia di quasi una trentina di ospedali in Italia.
Le banche del latte umano donato sono dei veri e propri centri di raccolta del siero materno che viene prelevato dalle donatrici, pastorizzato, conservato e distribuito tra i bimbi dei reparti. Unico neo il costo eccessivo per ciascun litro di latte che può costare all’ospedale anche 110 euro. In poco più di 40 anni dall’istituzione della prima banca collegata all’ospedale infantile Meyer di Firenze, si è creata una micro rete che abbraccia tanti nosocomi in tutt’Italia. Dal policlinico colle dell’Ara di Chieti, per citarne alcuni, all’ospedale civile dell’Annunziata di Cosenza, al Santa Maria della Misericordia di Udine, al Bambin Gesù di Roma, all’ospedale Buccheri
Nel 2011 sono state 1.100 le mamme donatrici che hanno “depositato” nelle banche del latte di tutt’Italia complessivamente
«I centri di raccolta – spiega Luigi Corvaglia, responsabile della Terapia intensiva neonatale (Tin) del reparto di Neonatologia del Policlinico Sant’Orsola di Bologna – sono di solito collegati con reparti di terapia intensiva neonatale dove il siero materno è un’esigenza per i bebè nati prematuri. Spesso accade infatti che le mamme che partoriscono prematuramente, vuoi per stress o per prematurità, possano non avere latte o non averne a sufficienza. Per questo la donazione è importante». «Nei nostri 4 mesi di esperienza – continua Corvaglia – abbiamo già realizzato una banca con
In tutto 110 i neonati che tra il sant’Orsola e il Maggiore, a Bologna, si nutriranno con il latte donato che viene pastorizzato e conservato da Granarolo Spa. azienda del territorio specializzata nel mercato dei prodotti lattiero-caseari, in virtù di una sinergie realizzata appositamente per il progetto.
«Il latte viene prelevato direttamente al domicilio della puerpera con degli appositi tiralatte – continua Corvaglia – e poi portato negli stabilimenti Granarolo dove viene prima pastorizzato, poi arricchito con dei prodotti che si chiamano fortificanti e che lo rendono ancora più nutriente. Solo dopo il trattamento si procede alla conservazione in biberon monodosi».
Il controllo delle puerpere
Tanto la pastorizzazione nel processo produttivo quanto la selezione delle puerpere a monte sono due momenti fondamentali per la sicurezza del bambino. Le volontarie infatti vengono sottoposte a rigidi controlli sul proprio stato di salute e sul proprio stile di vita di modo da scongiurare rischi per la salute dei bebè come per esempio quelli derivati dal contagio di malattie come l’epatite o l’Hiv.
«Nel 2007 – spiega Amalia Ambruzzi segretario e tesoriere dell’Aiblud, l’associazione italiana delle banche del latte costituitasi nel 2005 per fare convergere la rete naturale di centri di raccolta che ormai si era creata in tutt’Italia – la nostra associazione ha diffuso delle linee guida che individuano gli step che bisogna seguire per la costituzione delle banche del latte, la selezione delle donatrici e le procedure per la sua raccolta e conservazione. Abbiamo voluto in questo modo individuare degli standard qualitativi che accomunassero il funzionamento di tutti i centri».
Trattandosi di procedimenti che richiedono personale specializzato e macchinari appositi, l’aiblud ha stimato che il costo sostenuto dall’ospedale di un singolo litro di latte al momento della distribuzione potrebbe oscillare tra gli 80 e i 110 euro. Una somma che potrebbe lievitare nelle banche del latte che trattano piccoli volumi di siero o che effettuano direttamente la raccolta domiciliare o che non hanno ancora ammortizzato i costi delle strutture.
«Il costo – spiega Giuseppe De Nisi, vicepresidente di Aiblud – è solo apparentemente alto. In realtà per un ospedale sono molto più elevati i costi indiretti che derivano dall’impiego di latte artificiale o di nutrizione per endovena. Ciò perché, per esempio, i neonati che non assumono siero materno hanno moltissime probabilità di sviluppare l’enterocolite necrotizzante che comporta delle cure molto costose».
«Certo è penalizzante la larga diffusione di piccoli centri di racconta. In Italia – continua la dottoressa Ambruzzi che nel