Nelle comunità arcaiche (greca, sumera ecc.) all’uomo è imposto di lavorare nella proprietà comune. Non si tratta peraltro di un’imposizione autoritaria, quanto della riconosciuta necessità di contribuire allo sforzo dell’intera società per trarre dalla natura i mezzi di sostentamento e sviluppo.
Dignità, quindi, del lavoro. Né ci si pone la questione se esso sia più pena o privilegio. Un comandamento che il Signore affida a Mosè per il popolo eletto è, nell’antica cultura ebraica, il lavoro: impegno d’amore nei confronti del Creatore e del prossimo da compiere con gioia. Attraverso una distorta interpretazione del racconto biblico del peccato di Adamo, poi, il lavoro assumerà per secoli il carattere di castigo. Errore, perché un accorto esame della Genesi pone in luce che la ribellione adamica produce la “maledizione della terra” e non quella del lavoro. Il lavoro diventa duro perché mutano le condizioni in cui deve essere svolto. Disprezzo assoluto per il lavoro manuale, poi, nelle grandi civiltà mediterranee, da parte delle caste intellettuali. E coloro che maggiormente hanno contribito allo sviluppo di questa posizione sono i maestri della filosofia greca classica. Anche nell’antica Roma, i lavori agricoli e artigianali, per molti secoli tenuti in grande considerazione, gradualmente, appunto per influsso del pensiero greco e orientale, vengono screditati.
Il messaggio cristiano, poi, assegna al lavoro un posto ben preciso: per Gesù il lavoro, purché compiuto con spirito d’amore, è attività degna e meritevole; solo, Egli raccomanda, si sfugga alla frenesia delle opere che può indurre a scambiare il fine con i mezzi. Vero è che anche all’interno della Chiesa l’esaltazione di ogni mestiere umile come mezzo per servire il prossimo in spirito d’amore e di letizia cede gradualmente il posto al discredito di ogni attività lavorativa volta al soddisfacimento dei bisogni materiali. E bisognerà attendere Lutero per sentir dire che nessun uomo, in quanto dotato di talenti personali, può sottrarsi al dovere di obbedienza a Dio e di amore del prossimo, che impone di svolgere, nel miglior modo possibile, il lavoro al quale si è destinati. Né va dimenticato lo scatenato attivismo calvinista: gli eletti, anziché oziare nella contemplazione, cercano nell’operosità la prova della loro predestinazione; il lavoro acquista la libertà di inziativa e giunge il puritanesimo a insegnare il dovere di trarre da esso il maggior profitto, non per lucro o per amore del piacere, ma per aiutare i più bisognosi. Inoltre il guadagno è sintomo certo che la professione è gradita a Dio: la ricchezza si conia con la buona coscienza.
La concezione del lavoro legata agli schemi della cultura borghese vede poi in esso lo strumento principale attraverso il quale l’individuo può acquisire livelli crescenti di consumi e in conseguenza di prestigio sociale. E questa concezione, sviluppatasi nelle aree urbane dell’Europa industrializzata, guadagna spazio anche nei paesi a regime socialista, assorbendo l’originaria cultura contadina e la concezione “mitica” dell’ideologia marxista. Non manca, perltro, chi vede nello sviluppo capitalistico, un allargamento sempre maggiore dell’area del sottosviluppo, da cui trae alimento, col conseguente generarsi di un numero sempre crescente di emarginati anche all’interno dei paesi più ricchi.
Appare auspicabile, dunque, una rivalutazione del lavoro inteso come attività attraverso la quale l’uomo, in spirito di uguaglianza e di solidarietà, pone i suoi talenti al servizio della comunià. I suoi talenti, s’è detto. E, quindi, segua la sua vocazione. Non sempre chiarissima, peraltro, non sempre di immediato riconoscimento. E qui può soccorrere l’astrologia. Una delle sue possibili utilizzazioni, infatti, è quella di scoprire le inclinazioni del soggetto anche dal punto di vista lavorativo. E’ chiaro che ogni segno zodiacale ha un suo proprio modo di atteggiarsi di fronte al lavoro, un suo modo di sentirlo, di viverlo.
Così, ad esempio, un segno di Fuoco manifesterà un atteggiamento dinamico e non rifuggirà da eventuali rischi; mentre un segno d’Acqua svrà con l’attività lavorativa un atteggiamento maggiormente “emotivo”; un segno di Terra mirerà alla stabilità, laddove un segno d’Aria si mostrerà più duttile. E ancora, un maggiore spirito di iniziativa è attribuibile ai segni cardinali rispetto ai segni fissi, mentre mancherà loro la capacità di intermediazione propria dei segni mutabili[1]. Va detto poi che non esistono in assoluto lavori adatti solo a qualche segno o del tutto inadatti a esso. Solo, ogni segno affronterà un determinato lavoro con le sfumature e le caratteristiche che gli sono proprie. Un impiegato Ariete soffrirà a star seduto alla scrivania più di un impiegato Vergine, ma quest’ultimo sarà probabilmente meno brillante del primo, che è deisamente più estroverso. Esamineremo, nel prossimo articolo, i legami di ciascun segno con il mondo del lavoro.
[1] Una delle partizioni dei segni zodiacali è quella in segni cardinali (posti all’inizio di una stagione), segni fissi (posti a metà della stagione), segni mutabili (che chiudono la stagione).