Nell’articolo precedente (correlato a questo) abbiamo spiegato le differenze tra “manipolazione mentale”, “lavaggio del cervello”, “plagio” e “persuasione”, abbiamo quindi fatto un excursus storico per contestualizzare questi concetti e definire la loro nascita.
Nel fare questo abbiamo lasciato aperte due domande importanti che ci aiuteranno a focalizzare la nostra attenzione sul concetto “lavaggio del cervello”, ovvero cosa accadde nella base di Yenan? E ancora, cosa accade tutt’oggi nei laogai?

La base di Yenan
Abbiamo già accennato nello scorso articolo al “raddrizzamento delle tendenze” avviato il primo febbraio del 1942 nella base di Yenan, vediamo di preciso cosa accadde.
Yenan (o Yan’an) è stata la base del comunismo Cinese, da qui prese forma il comunismo di Mao Tse Tung che dal 1937 grazie anche agli eventi storici “favorevoli” (l’attacco del Giappone alla Cina che fece sentire unito il popolo cinese) ebbe sempre più successo portando sempre più iscritti al partito.
Nel 1941/42 Mao ormai al potere e capo indiscusso fece una prima riforma per il raddrizzamento delle tendenze conosciuta anche con il nome di “campagna di rettifica” o “riforma del pensiero”. In pratica tutti i soggetti considerati nemici del partito vennero rinchiusi in una base carceraria di Yenan perché considerati pericolosi (in realtà la maggior parte erano giovani cinesi che credevano nella rinascita del loro Paese). Mao Tse Tung decise di riformare la detenzione a cui volle aggiungere un programma educativo oltre a quello punitivo, o forse sarebbe meglio dire un programma di “punizione educativa”. Da qui si crearono le basi di quello che venne conosciuto come “modello comunista di Yenan”.
Questo primo programma di riforma durò 2 anni e fu talmente efficace che quando venne invitata la stampa nel gennaio del 1944 si scorse un clima di completa uniformità quasi sovrannaturale e ovviamente tutti negarono di aver subito lavaggio del cervello.
Vediamo quindi quale programma venne usato in questa base.
Prima di tutto si spronavano gli individui a parlare di se stessi, di tutto quello che li riguardava, di chi fossero, di come si svolgesse la loro vita permettendo al gruppo di criticare apertamente tutte queste notizie private.
Il secondo passo era di isolare gli individui in modo da farli sentire soli, con la scusa di rafforzare in tal modo la loro autostima: anche in questa fase venivano usate le critiche aperte che spesso somigliavano a rimproveri veri e propri.
La terza fase prevedeva l’umiliazione pubblica attraverso la derisione. Questa fase va letta nel contesto: infatti se già gli occidentali, tipicamente popolo individualista, soffrono dell’opinione altrui tanto da basare buona parte della propria stima su questa, si può immaginare quanto gli orientali, popolo olistico, siano ancor più sensibili all’opinione del gruppo in cui sono inseriti, oltretutto per i cinesi la derisione è un’umiliazione particolarmente grave e destrutturante.
A questo punto le altre fasi divenivano delle conseguenze dell’umiliazione inaccettabile cui si era arrivati pian piano. Nel quarto passo del programma si induceva l’individuo a scrivere una confessione in cui ammetteva i propri errori e il suo modo di essere sbagliato e in cui doveva assicurare che da quel momento in avanti avrebbe fatto di tutto per cambiare. Una promessa fatta in tal modo, soprattutto per i popoli orientali, diviene particolarmente importante: ne va di mezzo la propria onorabilità.
Quindi l’individuo cominciava a seguire ciò che aveva dichiarato nella confessione per far sì che venisse accettata. Per fare questo veniva messo a dura prova con torture fisiche e psicologiche, ad esempio tenere la stessa posizione per ore e pare che venissero adoperate manette di carta: mantenere la posizione voleva dire anche non rompere le manette. Pene maggiormente punitive venivano inflitte a chi non era in grado di superare tali prove. E’ chiaro che queste torture erano frustranti anche a livello psicologico e la vittima non aspettava altro che di essere redenta per mettere fine a tale martirio.
Così quando dopo diverse “prove” di buona fede la confessione veniva accolta, l’individuo si sentiva rinato e di questa rinascita veniva ringraziato il partito, che da carnefice si trasformava in redentore.
E’ chiaro in questo programma come mischiando il dolore fisico allo stress psicologico si sia ottenuta una perfetta manipolazione mentale radicata sulle basi del terrore e messa in atto con la forza.
Bisogna però far notare che non tutti furono manipolati, ma coloro che non si riuscì a piegare furono torturati finché non trovarono la morte, forse anche questo ultimo aspetto andrebbe considerato se si vogliono comprendere i motivi per cui questo programma arrivò ad un tale successo di omologazione.

I campi di prigionia cinesi della guerra in Corea
Lo stress psicologico legato alle torture è la caratteristica principale di quello che ora conosciamo come il lavaggio del cervello, ma essendo tale termine nato durante a guerra in Corea con riferimento ai campi di prigionia cinesi, vediamo effettivamente cosa accadeva in questi.
Quanto avveniva è stato scoperto da uno psicologo, Robert Jay Lifton che nel 1961 intervistò ad Hong Kong dei soldati americani ex prigionieri dei campi cinesi. La ricerca di Lifton rivelò che i cinesi mettevano in atto il seguente programma:
Controllo della comunicazione – venivano tenute sotto controllo le informazioni da far pervenire ai soldati non solo su come stesse andando la guerra, ma anche su nozioni esistenziali generali in modo che essi venissero a contatto unicamente con uno stesso tipo di pensiero, il quale diveniva chiave di lettura di ogni cosa senza che vi fosse un confronto con altri modi di pensare. Con questa tecnica molti americani si convinsero che il capitalismo della loro terra era fallato, profondamente sbagliato e opportunista.
Manipolazione mistica – venivano programmate le esperienze in modo che i soldati vivessero eventi che li avvicinassero al loro pensiero.
Richiesta di purezza –
grazie al controllo della comunicazione i manipolatori definivano una loro visione di bene e male, visione ovviamente estrema che annoverava tutto ciò che era al di fuori della Cina Rossa come male assoluto da evitare e di cui vergognarsi. Coloro che avevano pensieri considerati malvagi dovevano essere torturati.
Culto della confessione – attraverso la manipolazione della richiesta di purezza basata sulle torture si riusciva ad arrivare a “confessioni purificatorie” che in realtà avevano il doppio scopo di far vergognare i confessi da un lato, e dall’altro di farli arrendere al nuovo regime, in quanto la confessione è un simbolo di resa. I confessati a questo punto dovevano accettare ulteriori torture purificatorie per dimostrare il loro impegno nella via della purificazione.
Scienza sacra –
il pensiero comunista veniva trasmesso come verità assoluta, e chi si poneva domande su tale realtà era considerato un impuro e andava torturato.
Linguaggio caricato – vi erano termini positivi per esprimere ciò che riguardava la Cina e il comunismo e termini cattivi per esprimere tutto il resto. Frasi intere venivano compresse in questi termini perché riducendo la possibilità di linguaggio si riduceva anche la possibilità di pensiero.
La dottrina è più importante dell’individuo – l’individuo doveva adattarsi al pensiero collettivo, ogni forma caratteriale personale che non rispettasse i principi indottrinati veniva redarguita con coercizioni e torture fisiche.
Dispensazione dell’esistenza – i carcerieri avevano diritto di decidere chi dovesse vivere e chi morire ed eventualmente chi doveva subire torture per essere purificato.
Si noti la somiglianza di alcuni di questi punti con il metodo usato nella base di Yenan, ma tali punti, come vedremo nei prossimi articoli, sono utilizzati anche nelle sette. Infatti lo studio di Lifton sui soldati ex prigionieri di guerra ha fatto fare balzi in avanti anche e soprattutto allo studio di questo tipo di manipolazione identificabile con il plagio.

I laogai una realtà odierna
Una odierna forma di raddrizzamento delle tendenze avviene oggi in Cina nei laogai i quali si potrebbero definire dei campi di detenzione con rieducazione tramite il lavoro (come si intuirà, forzato).
Laogai è il termine generico per riferirsi a tali campi di concentramento (si noti che in Cina è illegale usare tale termine). Ci sono tre tipi di “detenuti”: i “laogai” propriamente detti, criminali veri e propri che hanno subito una regolare condanna attraverso un processo e che hanno perso i loro diritti civili; i “laojiai”, ovvero coloro che non hanno commesso un crimine reale, ma che il regime ritiene che debbano essere rieducati attraverso il lavoro forzato, questi non perdono totalmente i loro diritti e percepiscono un piccolo salario, ma vengono messi nei laogai senza processo (come sta accadendo al gruppo dei Falun Gong) lasciando dei dubbi su quali diritti abbiano effettivamente mantenuto; infine vi sono i “jiuye” che non si possono considerare detenuti effettivi. Sono le guardie dei laogai, ma spesso per questo lavoro vengono scelti ex detenuti.
Trattandosi di rieducazione attraverso il lavoro, oltre al lavoro forzato che arriva a superare le 18 ore al giorno, nei Laogai viene seguito un programma manipolatorio che si basa soprattutto sull’uso della tortura, della denutrizione e delle esecuzioni pubbliche dei sovversivi, viene inoltre incoraggiata e premiata la denuncia reciproca, e vengono organizzate sedute di critica e autocritica in cui vengono usate le tecniche di derisione e confessione già viste più sopra.

Dai cinesi il lavaggio del cervello
Abbiamo visto da questi casi esemplificativi cosa sia concretamente il lavaggio del cervello: una manipolazione della mente di uno o più individui ottenuta con la forza, alla quale l’individuo non può sfuggire.
Nel lavaggio del cervello l’individuo vede il suo manipolatore dapprima come nemico e una volta ottenuta la manipolazione come salvatore.
La tecnica del lavaggio del cervello prevede innanzitutto sevizie fisiche abbinate ad un programma psicologico di “rieducazione”; si potrebbe sostenere che le torture lavano via i pensieri precedenti e il trattamento psicologico ne innesta di nuovi.
Lungi da questo articolo quella che può sembrare una denuncia politica: in questo lavoro interessa solo comprendere in profondità cosa sia il lavaggio del cervello. Non deve stupire che questo tipo di manipolazione sia riconducibile alla Cina: regime totalitario dalla pretesa di un pensiero comune, avvezzo alle punizioni corporali. Per questo motivo non parleremo in questa sede né dei Gulag e né dei Lager in quanto lo scopo di questo articolo è riflettere sui metodi utilizzati per il lavaggio del cervello, e questi ultimi campi di concentramento, soprattutto il secondo, sembrano essere più affini ad argomenti che riguardano la persuasione attraverso la propaganda che ha l’obiettivo di provocare orrore e assenza di denunce. Della persuasione parleremo nel prossimo articolo. (2 – continua)

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