Con l’Italia praticamente in recessione, la crisi dell’euro che terrorizza i mercati, la disoccupazione in continuo aumento e i governi dell’eurozona alla disperata ricerca di politiche per rilanciare l’economia dopo la lunga fase di “austerità”, parlare di decrescita o addirittura di “decrescita serena” potrebbe sembrare quasi un paradosso.

Eppure c’è chi, anche in questa fase, continua a sostenere la necessità non solo di rinunciare alla crescita ma addirittura di non desiderarla più. E’ il caso di Serge Latouche, classe 1940, economista, pensatore e professore emerito di Scienze economiche all’Università di Parigi XI. Principale esponente del pensiero della decrescita, Latouche sostiene da tempo che lo sviluppo scelto dall’Occidente ha esaurito tutte le sue possibilità e dilapidato in modo irreversibile le risorse naturali del pianeta . Prospetta una società libera dall’ossessione per il consumo,e dalle imposizioni della finanza globale.

La decrescita di cui parla l’economista francese non si identifica con la crescita negativa che affligge oggi gran parte dei paesi europei, ma è piuttosto un invito a rifiutare la mitologia della “crescita a tutti i costi” caratteristica dell’Occidente. Senza immaginare una regressione o un impoverimento (non c’è niente di peggio di una società della crescita in cui non si cresce) Latouche descrive la possibilità di una felicità sociale slegata dal consumo dei beni materiali e dalla distruzione della natura e misurata, invece, sul perseguimento del bene comune, sull’adozione di forme di convivenza ispirate alla ragionevolezza piuttosto che alla mera razionalità.

La prima, facile, obiezione che suscita la teoria della decrescita è che, sebbene i suoi assunti siano giusti e condivisibili, rimangono nel campo della pura utopia e difficilmente possono trovare applicazione nella realtà quotidiana.

A dispetto di questa credenza, uno dei momenti di contatto fra la teoria e la prassi si è avuto di recente con la visita del Prof. Latouche nel nostro paese (http://www.youtube.com/watch?v=_Czw2BDQK2M ):ospite della f.i.c.s. (Federazione Italiana Città Sociale) il pensatore ha trascorso una settimana in Campania, dal 16 al 21 gennaio, dove ha tenuto numerosi incontri con le istituzioni e le realtà sociali attive sui territori in un viaggio fra Napoli, l’Irpinia e il Cilento. Il teorico della decrescita ha incontrato una regione con le sue problematiche e contraddizioni ma ricca di buone pratiche e di realtà innovative con molti punti di contatto con le sue teorie.

Innanzitutto il progetto dei beni comuni, tema centrale della conferenza stampa di benvenuto al Comune di Napoli con il sindaco de Magistris. I beni comuni sono quei diritti e servizi la cui gestione si vuole riportare sotto l’egida della cosa pubblica: un nuovo modello di sviluppo che parte dalla città di Napoli e affonda le sue radici teoriche nel pensiero di Latouche. Seconda tappa del breve tour del luminare transalpino è stata la visita alle fattorie sociali e al parco etologico regionale della fics a Pratola Serra, un modello innovativo di welfare che crea lavoro e sviluppo sostenibile: se non è perfettamente in linea con i principi della decrescita gli si avvicina molto. Poi Latouche si è spostato a Pollica, cittadina nel Parco Nazionale del Cilento, nota per l’omicidio del sindaco Vassallo, in prima linea nella difesa del suo territorio da speculazioni edilizie e malavitose. Qui, l’assunto teorico della decrescita e di un ritorno a una dimensione locale che rispetti un ecosistema fatto di paesaggi, luoghi e relazioni umane, ha trovato una realizzazione quasi completa: il Cilento è infatti tutelato come patrimonio dell’Unesco non per le evidenti bellezze naturali, come verrebbe spontaneo credere, bensì per la qualità dei rapporti umani.

Se da una parte la visita campana di Latouche ha contribuito a rafforzare l’idea che il cambiamento di stili di vita può sicuramente partire dalle sponde del Mediterraneo (http://www.cittasociale.eu/ ), dalla sua cultura e dai suoi modelli relazionali; dall’altra parte l’incontro con il teorico delle decrescita ha lasciato aperte numerose questioni sollevando anche alcune perplessità. La principale controversia del sistema di pensiero Latoucheiano è il rapporto con il mondo del lavoro, come è emerso anche nelle giornate campane del professore (durante l’incontro con gli operai della Fiom ad Avellino). Se si uscisse di colpo dalla società della crescita economica e della produzione, quale sarebbe il destino dei lavoratori? Il lavoro operaio sarebbe spazzato via lasciando senza sostentamento un numero rilevante di persone appartenenti alle classi sociali più deboli le quali, tra l’altro, sono anche le più esposte agli effetti negativi della crisi ecologica. La decrescita rischia da questo punto di vista di trasformarsi in una teoria affascinante ma appannaggio esclusivo di una élite di privilegiati. Tuttavia le tesi di Latouche hanno il merito indiscutibile di rompere drasticamente con quel “pensiero unico”caratteristico della nostra era post ideologica.

Il pensiero della decrescita è dunque un cantiere aperto sul mondo che verrà e il fatto che non abbia ancora tutte le risposte non è necessariamente un male. In attesa di chiudere definitivamente i conti con la società della crescita, la produzione può spostarsi sui beni immateriali sfruttando le risorse della rete, il vero” nuovo mondo” del terzo millennio (è notizia di questi giorni la prossima apertura di veri e propri negozi online su Facebook). Si potrebbe così finalmente portare a compimento quella società della conoscenza e dell’innovazione sempre promessa alle giovani generazioni europee ma mai realizzata.

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