Opera piena di mistero, dominata dalla figura della protagonista, Emilia Marty, cantante d’opera che ha vissuto più di 300 anni, con identità diverse, grazie ad una pozione inventata dal padre alchimista. Una donna attraente e famosa, che nella sua lunga vita ha abbandonato innumerevoli figli, mariti e amanti. Ma ormai impermeabile a qualsiasi emozione. Tratta dall’omonima commedia di Karel Čapek, quest’opera, vero e proprio dramma della longevità, andò in scena nel 1926, due anni prima della morte del compositore.

 

Ed è, tra le opere di Janáček, quella col lessico musicale più duro e dissonante, all’interno di una trama tematica mutevole, di una scrittura orchestrale caleidoscopica. Da questa scrittura Esa-Pekka Salonen (sul podio dei Wiener Philharmoniker al Festival di Salisburgo) estrae una grande carica di suspense, di straniamento, che si scioglie solo nel finale dove Janáček sembra gettare uno sguardo compassionevole su tutta la vicenda. La parte orchestrale si muove autonomamente rispetto a quella vocale, poco lirica, rispetto ad esempio a Jenůfa, e caratterizzata da un grande declamato, fluido e sciolto, con le arie trasformate in monologhi, e i duetti in dialoghi serratissimi, che fanno sembrare l’opera una conversazione ininterrotta. Angela Denoke si dimostra una grande attrice, capace di cogliere tutte le sfaccettature della protagonista, personaggio misterioso all’inizio, fragile alla fine. Molto ben caratterizzato è anche Albert Gregor, succube della Marty, interpretato dal tenore Raymond Very, che affronta con sicurezza una parte insidiosa, dalle frequenti escursioni nei registri più acuti. Meno provocatoria del solito, la regia di Christoph Marthaler, crea una dimensione kafkiana, in uno spazio scenico elegante, retro, un ampio interno anni Venti, disegnato da Anna Viebrock. Ma non rinuncia a qualche invenzione, anche a qualche assurdità, che non stona in quest’opera: ad esempio il dialogo iniziale tra due donne chiuse in un box di vetro, che, fumando, discutono sul tema della vita eterna (è un dialogo muto che si comprende solo attraverso i sottotitoli); donne delle pulizie in costante attività; i tremiti e i tic che colpiscono tutti gli uomini che ruotano intorno a Emila, in particolare l’avvocato Kolenatý, (interpretato con grande personalità da Jochen Schmeckenbecher) vittima di crisi epilettiche; Emilia e il barone Jaroslav Prus, che emergono seminudi non nella stanza d’albergo di lei, ma dai banchi di un’aula di tribunale.

 

L’affare Makropoulos di Leóš Janáček
Festival di Salisburgo 2011
direttore: Esa-Pekka Salonen
regia: Christoph Marthaler
interpreti: Angela Denoke, Raymond Very, Peter Hoare, Jurgita Adamonyté, Johan Reuter.
Blu-ray C-major 709 604

 

Verdi_La_forza_del_destino_c_majorLa forza del destino
Esempio di originalità e sapienza teatrale, la regia di David Pountney, in questa Forza del destino registrata a Vienna quattro anni fa, colpisce innanzitutto per la gestualità dei personaggi, che si muovono sempre per qualche ragione, non restano mai immobili, e imprimono così, già solo per questo, un grande ritmo a tutto lo spettacolo. Gesti messi in risalto anche dalla scenografia spoglia, con unapedana bianca, obliqua al centro, sulla quale si svolgono le scene principali. Opera dunque assai movimentata, a partire dal cartone animato che accompagna l’ouverture, poi con le coreografie associate alle scene corali, con i video di guerra proiettati su una gigantesca macchina scenica nel terzo atto. Ci stanno anche alcune soluzioni un po’ estreme, dal gusto grottesco e macabro: il drappello di cowboys e cowgirls guidati da Preziosilla nella scena dell’osteria; l’identificazione (in chiave psicanalitica?) tra il marchese di Calatrava – ucciso accidentalmente, ma fonte di tutti i sensi di colpa di Leonora – e il Padre Guardiano, al quale lei confida tutto il suo tormento (entrambe i personaggi egregiamente interpretati da Alastair Miles); la danza di infermiere invasate e sadomaso che brutalizzano i soldati feriti, con flebo e stampelle; l’inquietante «Rataplan» intonato da Preziosilla in mezzo a una massa di disperati, sotto una giostra di impiccati, tra sibili di bombe; lemontagne di cadaveri nel quarto atto. Purtroppo a subire amputazioni non sono solo i soldati, ma anche la partitura, sforbiciata senza pietà. Zubin Mehta, sul podio, coglie bene il ritmo incalzante, meno il carattere intimistico dell’opera. Tra i solisti spicca la Leonora di Nina Stemme, grande presenza scenica, voce voluminosa e sempre appoggiata, registro acuto luminosissimo, bel fraseggio, magnifico legato, e grande varietà di sfumature espressive. Non da meno, per tecnica vocale e stile, è il Don Carlo di Carlos Álvarez, mentre compianto Salvatore Licitra (Don Alvaro) mostra bel timbro ma una intonazione precaria, e Nadia Krasteva (Preziosilla) ha un’emissione diseguale, con brutti suoni dipetto nel registro grave. Inascoltabile poi il Fra Melitone di Tiziano Bracci.

La Forza del Destino di Giuseppe Verdi
Wiener Staatsoper 2008
direttore: Zubin Mehta
regia: David Pountney
interpreti: Carlos Álvarez, Nina Stemme, Salvatore Licitra, Alastair Miles, Nadia Krasteva, Tiziano Bracci.
Blu-ray C-major 708204

 

Weill_Mahagonny_belairRise and Fall of the City of Mahagonny
Mordace satira contro il capitalismo, ed esito tra i più felici della collaborazione tra Brecht e Weill, Ascesa e caduta della città di Mahagonny, è nata nel 1930 ma sembra parlare del mondo di oggi. Mahagonny è una città fondata da tre malviventi in fuga (Begbick, Fatty e Trinity Moses), creata nel deserto, su una discarica di rifiuti, con l’intento di creare una trappola («Netzestadt»), un luogo illusorio, di sogno, dove regni la pace, la ricchezza e il divertimento, dove non si dovrà fare niente di più che godersi «carne di cavallo e di donna», giocare a poker, bere whisky e tirare di boxe. Il richiamo funziona: arrivano le ragazze (tra le quali Jenny), i cercatori d’oro, i tagliaboschi (Jim, Jack, Bill e Joe) reduci da anni di duro lavoro in Alaska, e pieni di soldi. Si preannuncia anche l’arrivo di un uragano, che poi devia all’ultimo momento, e che non farà altro che spingere ancora di più la popolazione verso la totale anarchia, verso gli eccessi più sfrenati Ma alla fine Jim soccomberà alla legge non scritta, e più forte di tutte: non ha soldi per pagare il conto del whisky e viene condannato a morte, mentre la città brucia e il coro canta «Non possiamo aiutare né noi, né voi, né nessuno». Per raccontare questa parabola surreale e grottesca della realtà, Weill ha creato una partitura sofisticata e straniante, mettendo in risalto fiati e percussioni, e mescolando una grande varietà di stili, dai songs alle forme operistiche, dal cabaret alla fuga, in un mix restituito in tutta la sua forza caustica dalla direzione del giovane, promettente Pablo Heras-Casado (vincitore del premio “El Ojo Crítico” nel 2010). In questo spettacolo, registrato al Teatro Real di Madrid nel settembre del 2010, e basato sulla versione inglese dell’opera (peccato, perché si perde l’effetto tagliente della lingua tedesca), la regia di Alex Ollé e Carlus Padrissa non ha nulla di ciò cui ci ha abituato la Fura dels Baus: quindi niente acrobati,proiezioni, tecnologia, macchine sceniche, ma un approccio molto brechtiano, che dà risalto alla sporcizia, alla discarica di rifiuti, ai quattro elementi del mondo di Mahagonny, che non sono fuoco, terra, aria e acqua, ma cibo, sesso, violenza e alcol. In questo mondo i ricchi taglialegna appaiono come broker in giacca e cravatta, ma pronti a ingozzarsi come maiali, e a copulare a ritmo di musica con un esercito di ragazze. Una lettura realistica, amara, con qualche tocco poetico, molto riuscita sul piano teatrale, grazie anche alla bravura teatrale di tutti gli interpreti. Sul piano vocale spiccano il sanguigno Michael König nei panni di Jim, il tenore Donald Kaasch, perfetto nel ruolo di Fatty, e John Easterlin che dà vita un Jack imbranato e isterico. Jane Henschel (Begbick) si dimostra una grande attrice, ma con un vibrato fuori controllo, Measha Brueggergosman (Jenny) si ammira per la figura imponente e sexy, al contrario della voce, esile e poco timbrata. 

Rise and Fall of the City of Mahagonny di Kurt Weill
Madrid, Teatro Real 2010
direttore: Pablo Heras-Casado
regia: Alex Ollé, Carlus Padrissa (La Fura dels Baus)
interpreti: Jane Henschel, Donald Kaasch, Willard White, Measha Brueggergosman, Michel König, John Easterlin, Otto Katzameier, Steven Humes.
Blu-ray BelAir BAC 467

 

Mayr_Medea_in_Corinto_arthausMedea in Corinto
La musica di Johann Simon Mayr costituisce un esempio quasi unico, nell’Ottocento, di sintesi di due differenti scuole musicali, quella tedesca e quella italiana. Nato e formatosi musicalmente in Baviera, fu incoraggiato da Piccini a dedicarsi all’opera. A ventisei anni si trasferì a Bergamo, dove abitò per il resto della sua vita, dedicandosi anche all’insegnamento (suo allievo prediletto fu Gaetano Donizetti). Fece il suo debutto operistico con Saffo nel 1794, poi scrisse altre 60 opere, messe in scena nei principali teatri italiani, a Napoli, Roma, Milano e Venezia, ottenendo una fama tanto grande che alle sue esequie, nel 1845, fu Giuseppe Verdi a pronunciare l’orazione funebre. È stata dunque un’apprezzata riscoperta questa Medea in Corinto (1813), che è anche la sua opera più famosa. La riscoperta di una musica di grande forza drammatica (che da un lato raccoglieva l’eredità di Cimarosa e Paisiello, dall’altro preparava il terreno a Rossini e Donizetti), dove l’invenzione melodica appare strettamente legata alla tradizione del belcanto italiano, ma si fonde con strutture formali tipiche del classicismo viennese e con un’orchestrazione piuttosto elaborata (che deve molto a Gluck), messa in bella evidenza dalla nitida direzione di Ivor Bolton. Ha fatto molto discutere lo spettacolo firmato da Hans Neuenfels, allestito due anni fa a Monaco, e tipico esempio di “Regietheater”. Il regista tedesco, sempre al centro di polemiche, è stato capace di rendere interessante e moderna anche un’opera dimenticata come questa, con una regia tutta basata sul contrasto tra due civiltà: in una società moderna e snob, che vive in ambienti minimal, eleganti e freddi (scenografia di Anna Viebrock), Medea entra in scena come un’aliena, coperta d’amuleti (salvo poi restare per tutto il resto dell’opera in sottoveste nera): in quella società tutti vestono alla moda, in toni grigio perla, ma poi mostrano il loro lato più crudele e violento, il loro istinto di sopraffazione. Ma lo spettacolo non avrebbe funzionato così bene senza una protagonista come Nadja Michael (cantante molto amata in Germania, che ha tra i suoi cavalli di battaglia anche la Medea di Cherubini) capace di cogliere alla perfezione il carattere di una donna appassionata, fiera e indipendente, un’outsider in una società che la respinge. Un’interprete non impeccabile nell’emissione (ma in una parte assai impegnativa, insidiosa, che richiede una grandissima estensione) eppure indimenticabile, per la finezza delle colorature, il bel fraseggio, le straordinarie doti di recitazione. Molto rigido accanto a lei appare il Giasone di RamónVargas, dotato di un bel timbro baritonale, ma forse un po’ fuori stile. Bravi anche Alastair Miles (Creonte), Elena Tsallagova (Creusa), e il tenore AlekShrader, un Egeo dall’emissione assai fluente.

Medea in Corinto di Giovanni Simone Mayr
Bayerische Staatsoper 2010
direttore: Ivor Bolton
regia: Hans Neuenfels
interpreti: Nadja Michael, Ramón Vargas, Alastair Miles, Alek Shrader, Elena Tsallagova.
Blu-ray Arthaus 108 030

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