Pepita dei Cani di Gioia

Il vagito dei neonati fa da sottofondo al mio scritto. Sono nati da dodici giorni, ancora non hanno aperto gli occhi su questo mondo. I cuccioli di cane vengono alla luce sordi e ciechi ma con una straordinaria competenza a sopravvivere.

Sono irresistibilmente attratti dalle mammelle e hanno sviluppatissimo l’istinto della suzione dal primissimo istante successivo alla nascita: ancora bagnati, succhiano come idrovore! In questa fase, la madre secerne un feromone, l’apaisina, che favorisce l’attaccamento tra lei e la cucciolata, due entità inseparabili. Come fanno quei mostri della nostra specie a sottrarre i cuccioli alle mamme che hanno appena partorito e ad abbandonarli in un cartone nel bosco?

I mostri di Hansel e Gretel esistono. Io, per parte mia, non mi stancherò mai di godere di questo spettacolo rivoluzionario: la totale abnegazione, il dono di sé a favore di un altro da sé, la beatitudine creativa che è la maternità. Chi allatta, mentre vi scrivo, è Pepita, la mia capobranco. È un boss indiscusso, indipendente nelle sue decisioni, sicura di sé, nata per essere un capo. I maschi se li mette in tasca, sono intimiditi da lei, se non si scostano per cederle il passo, li travolge, come un cingolato: di là dal peso e dalla massa, è la personalità che conta! Si è concessa a uno di loro piegandosi soltanto di fronte a una Madre più antica e alle sue leggi supreme. Pepita non viene in auto con noi, pretende di guidare. Pepita non sonnecchia sul divano, segue i programmi in TV, e manifesta i suoi pareri, sempre molto critici. Pepita è una ladra diabolica che sa quando è il momento opportuno per approfittare della mia umana distrazione.

È stata un cane d’assistenza in progetti a favore di minori a rischio di devianza sociale, i ragazzi l’adoravano, perché la rispettavano e lavoravano con lei per conquistarla. È curiosa, determinata, ricca d’iniziativa. È una lavoratrice entusiasta, è una nuotatrice accanita che, messa in acqua, arriverebbe in Sardegna, senza pause.  È tosta, sana, ha una tempra dura, sempre allegra, è un carro armato. Ha partorito di notte, saltando e bestemmiando in canese, maledicendo il destino delle femmine, fatto di sangue e dolore, accanto a me che potevo capirla, sparando fuori un cucciolo ogni mezz’ora e poi allattando i nati, mentre aveva le altre doglie. Eppure, se la guardo ora, eccolo, il mio bulldozer: tenera, devota, tutta per loro. Non esiste altro che la sua cucciolata di dieci palle di pelo gialle che sussurrano, vagiscono. Li allatta tutto il giorno, li lecca fino a lucidarli, tiene pulito il nido, nell’unico modo che conosce, mangiando lo sporco dei piccoli, attenta a non pestarli con le zampone, con il suo corpo ancora rotondo. Il carro armato Tiger si muove con la delicatezza di una piuma. È là, sul pezzo, offrendo il suo buon latte, senza mai lamentarsi, senza mai stancarsi, stressarsi o innervosirsi. È là per loro, è la loro grande mamma. Sono loro, le dieci palle di pelo che comandano, adesso. Sono i padroni del suo cuore.

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