Secondo alcuni storici della cucina, la pastiera è nata alla metà dell’Ottocento come dolce di Pasqua. Tuttavia di questo dolce si trova traccia anche nelle cronache dell’antica Grecia, sebbene fosse un po’ più rozzo rispetto alla versione moderna. In ogni caso la pastiera è ormai entrata nella tradizione dolciaria senza limitazioni di… festività.
Ingredienti per 12 persone:
PER LA PASTA FROLLA
3 uova
500 gr. farina
200 gr. zucchero
200 gr. di strutto o di burro
PER IL RIPIENO
gr. 700 di ricotta di pecora
gr. 400 di grano cotto
gr. 600 di zucchero
1 limone
gr. 50 di cedro candito
gr. 50 di arancia candita
gr. 50 di zucca candita (si chiama”cucuzzata”) oppure altri canditi misti
gr. 100 di latte
gr. 30 di burro o strutto
5 uova intere + 2 tuorli
una bustina di vaniglia
un cucchiaio di acqua di fiori d’arancio
un pizzico di cannella (facoltativo)
PREPARAZIONE
-Versate in una casseruola il grano cotto, il latte, il burro e la scorza grattugiata di 1 limone; lasciate cuocere per 10 minuti mescolando spesso finché diventi crema.
-Frullate a parte la ricotta, lo zucchero, 5 uova intere più 2 tuorli, una bustina di vaniglia, un cucchiaio di acqua di fiori d’arancio, e un pizzico di cannella (facoltativo)
-Lavorare il tutto fino a rendere l’impasto molto sottile. Aggiungere una grattata di buccia di un limone e i canditi tagliati a dadi. Amalgamare il tutto con il grano.
-Prendete la pasta frolla scongelata, o quella fatta da voi e distendete l’impasto allo spessore di circa 1/2 cm con il mattarello e rivestite la teglia (c.a. 30 cm. di diametro) precedentemente imburrata, ritagliate la parte eccedente, ristendetela e ricavatene delle strisce.
-Versate il composto di ricotta nella teglia, livellatelo, ripiegate verso l’interno i bordi della pasta e decorate con strisce formando una grata che pennellerete con un tuorlo sbattuto.
-Infornate a 180 gradi per un’ora e mezzo finché la pastiera non avrà preso un colore ambrato; lasciate raffreddare e, prima di servire, spolverizzate con zucchero a velo.
P.S. Una volta cucinata la pastiera, può essere conservata in frigo anche per 4-5 giorni.
Màngiati sta pastiera,e ncopp’ a posta
dimme cumm’era: aspetto ‘na risposta.
Che sarà certamente “Oj mamma mia!”
Chest’ nunn’è nu dolce: è ‘na poesia!”
LA STORIA
Si racconta che Maria Teresa d’Austria, consorte del re Ferdinando II di Borbone, soprannominata dai soldati “la Regina che non sorride mai”, cedendo alle insistenze del marito buontempone, famoso per la sua ghiottoneria, accondiscese ad assaggiare una fetta di Pastiera e non poté far a meno di sorridere, compiaciuta alla bonaria canzonatura del Re che sottolineava la sua evidente soddisfazione, nel gustare la specialità napoletana. Pare che a questo punto il Re esclamasse: “Per far sorridere mia moglie ci voleva la Pastiera, ora dovrò aspettare la prossima Pasqua per vederla sorridere di nuovo”.
La pastiera, forse, sia pure in forma rudimentale, accompagnò le feste pagane celebranti il ritorno della primavera, durante le quali le sacerdotesse di Cerere portavano in processione l’uovo, simbolo di vita nascente. Per il grano o il farro, misto alla morbida crema di ricotta, potrebbe derivare dal pane di farro delle nozze romane, dette appunto ” confarratio “.
Un’altra ipotesi la fa risalire alle focacce rituali che si diffusero all’epoca di Costantino il Grande, derivate dall’offerta di latte e miele, che i catecumeni ricevevano nella sacra notte di Pasqua al termine della cerimonia battesimale.
Nell’attuale versione, fu inventata probabilmente nella pace segreta di un monastero dimenticato napoletano. Un’ignota suora volle che in quel dolce, simbologia della Resurrezione, si unisse il profumo dei fiori dell’arancio del giardino conventuale. Alla bianca ricotta mescolò una manciata di grano, che, sepolto nella bruna terra, germoglia e risorge splendente come oro, aggiunse poi le uova, simbolo di nuova vita, l’acqua di mille fiori odorosa come la primavera, il cedro e le aromatiche spezie venute dall’Asia.
È certo che le suore dell’antichissimo convento di San Gregorio Armeno erano reputate maestre nella complessa manipolazione della pastiera, e nel periodo pasquale ne confezionavano in gran numero per le mense delle dimore patrizie e della ricca borghesia napoletana e campana.
Ancora più leggendaria e mitologica la storia della sirena Partenope che incantata dalla bellezza del golfo, disteso tra Posillipo ed il Vesuvio, aveva fissato lì la sua dimora. Ogni primavera la bella sirena emergeva dalle acque per salutare le genti felici che popolavano il golfo, allietandole con i suoi incredibili canti d’amore e di gioia.
Una volta la sua voce fu così melodiosa e soave che tutti gli abitanti ne rimasero affascinati e rapiti: accorsero verso il mare commossi dalla dolcezza del canto e delle parole d’amore che la sirena aveva loro dedicato. Per ringraziarla di un così grande diletto, decisero di offrirle quanto di più prezioso avessero conservato nelle loro case.
Sette fra le più belle fanciulle dei villaggi furono incaricate di consegnare i doni alla bella Partenope: la farina, forza e ricchezza della campagna; la ricotta, omaggio di pastori e pecorelle; le uova, simbolo della vita che sempre si rinnova; il grano tenero, bollito nel latte, a prova dei due regni della natura; l’acqua di fiori d’arancio, perché anche i profumi della terra solevano rendere omaggio; le spezie, in rappresentanza dei popoli più lontani del mondo; infine lo zucchero, per esprimere l’ineffabile dolcezza profusa dal canto di Partenope.
La sirena, felice per tanti doni, si inabissò per fare ritorno alla sua dimora cristallina e depose le offerte preziose ai piedi degli dei. Questi, inebriati anche essi dal soavissimo canto, riunirono e mescolarono con arti divine tutti gli ingredienti, trasformandoli nella prima Pastiera che superava in dolcezza il canto della stessa sirena.
“Currite, giuvinò! Ce stà ‘a pastiera!”
E’ nu sciore ca sboccia a primmavera,
e con inimitabile fragranza
soddisfa primm ‘o naso,e dopp’a panza”.