Ne ‘La macchinazione’, il film di David Grieco sugli ultimi tre mesi di vita di Pier Paolo Pasolini, è tangibile la vergogna per gli “anni di piombo” e per quel ‘burattinaio’ che cercava con tutti i mezzi, leciti o illeciti, di condurre la società italiana verso una stabilità di tipo autoritario. Chiunque desse fastidio era da ‘zittire’, a cominciare dagli intellettuali ritenuti ‘scomodi’. Ma nonostante le stragi, il terrorismo e le ‘sparizioni’, alla fine l’Italia riuscì a emergere da quel periodo.
Certamente, oggi non possiamo chiudere gli occhi di fronte all’attuale disfacimento dello Stato, in cui la disoccupazione giovanile impera e le ‘case famiglia’ restano in piedi con i soldi pubblici assegnati da amministrazioni in combutta con la malavita nel gestire le politiche sociali. I giovani ospiti escono la mattina presto e rientrano nella ‘casa famiglia’ dopo aver passato la notte fuori dall’istituto. Una notte che procura loro il denaro per l’acquisto di capi di abbigliamento firmati. Questi sono i nuovi ‘ragazzi di vita’ italiani e stranieri: gli Alì dagli occhi azzurri che sbarcano sulle coste italiane, già per questo fortunati poiché non sono colati a picco nel ‘mare nostrum’.
Nel film ‘La macchinazione’ di David Grieco, interpretato magistralmente da Massimo Ranieri, di impressionante somiglianza con il protagonista storico, si rievoca quel periodo, quando l’equilibrio tra fazioni politiche italiane, americane, massoniche, religiose e mafiose era in continuo bilico. E la bilancia troppo spesso vacillava a favore dell’una o dell’altra parte, degli alleati o di mamma santissima, della P2 o dei servizi segreti deviati. Ecco, appunto: i servizi segreti italiani e stranieri, che hanno sempre avuto un peso specifico notevole, qui da noi.
Si respira l’angoscia, ma non l’ansia, di cambiamenti in atto tramite la violenza e la pianificazione di Stato. Le inchieste giornalistiche, la comunicazione e le interviste rilasciate da Pasolini, per non parlare dei suoi romanzi, dei suoi film, delle sue sceneggiature, delle poesie civili – tra le quali il poemetto “A un Papa” – e persino le sue scelte sessuali stimolavano la presa di coscienza di un intero popolo, fino a portarlo molto vicino a una rivoluzione. Basterebbe questo poemetto per capire la figura ‘scomoda’ di Pier Paolo Pasolini. E comunque, esso contribuì alla chiusura, per le amicizie ‘papaline’ di Bompiani, della rivista letteraria ‘Officina’, fondata e diretta anche dal poeta friulano. Bisognava farlo tacere. E fu così che si organizzò la ‘macchinazione’, per spegnere il suo pensiero e la sua libertà di parola. Rispettare la filosofia sociale, culturale e ‘scandalista’ di Pier Paolo Pasolini è il più grande atto d’amore che un regista amico del poeta, David Grieco, potesse fare. Pasolini, attento e profetico analista dei fatti italiani, ancora oggi dà scacco matto a chi ci governa, risvegliando le asprezze dei giornalisti più faziosi. Le rivelazioni raccolte da David Grieco, i documenti conservati dalla cugina di Pier Paolo, Graziella Chiarcossi, l’ostinazione nel seguire le proprie e personali indagini, hanno permesso al regista di sgombrare molte nubi nell’illuminare la scomoda verità del suo omicidio, rivelatosi di ben altra matrice. Un’impresa non indifferente, soprattutto sotto il profilo della sceneggiatura, per la mole di interviste e interventi pubblici di Pasolini, che abbracciano l’arco della sua breve esistenza, concentrandosi specialmente sugli ultimi tre mesi, intensi di eventi, che l’hanno guidato verso chi lo stava tradendo.
L’importanza storica de ‘La macchinazione’ sta nel fatto che la pellicola contiene analisi e previsioni, pienamente confermate, dell’Italia attuale, afflitta da una crisi senza precedenti. Che non è solo economica, ma anche politico-istituzionale, strutturale, antropologico-culturale. Così, nelle immagini di questo film, che prendono ritmo insieme al pathos degli eventi, David Grieco ci anticipa quanto, nel rispetto della verità del pensiero del grande romanziere, la sua espressione comunicativa abbia lasciato ai posteri un segno indelebile.
Nell’estate del 1975, Pasolini è impegnato al montaggio di uno dei suoi film più discussi, ‘Salò o le 120 giornate di Sodoma’ e nella stesura del romanzo ‘Petrolio’: un atto di accusa contro il potere politico ed economico dell’epoca. Eugenio Cefis/Troya viene descritto, nel romanzo, come un uomo manovrato dalla Cia, presidente dell’Eni succeduto a Marcello Boldrini, nominato immediatamente dopo l’assassinio di Enrico Mattei. Cefis, in seguitò tentò la scalata alla Montedison e fu il vero ideatore della P2, affidata al ‘faccendiere’ Licio Gelli. Pier Paolo Pasolini aveva intenzione di frapporre tra le pagine di Petrolio alcune sue foto a scherno delle connivenze dell’alta industria, dell’alta finanza e per questo convocò a Chia nel viterbese, Dino Pedriali, fotografo dell’arte del nudo maschile. Nel frattempo, il regista prova a ricostruire le vicende che portarono Pasolini a incontrare Pino Pelosi alla stazione Tiburtina di Roma, nei primi giorni di agosto del 1975, quando il ragazzo era fuggito di casa. Inizia così una relazione con Pino, un giovane sottoproletario della zona est di Roma, che ha legami con il mondo criminale della capitale. Pino vorrebbe fare l’attore, ma Pier Paolo non sa come includerlo in un lavoro qualsiasi, poiché ‘Salò’ era già in fase di montaggio. Pino viene allora avvicinato da un regista che, accorgendosi della sua buona fede, lo coinvolge in un piano per “sequestrare Pasolini”. Una notte, i fratelli Borsellino, amici di Pino Pelosi, rubano il negativo di ‘Salò’ su istigazione e promesse di denaro. Sergio Citti suggerisce un riscatto esorbitante: due miliardi di lire italiane. Il loro vero obiettivo, tuttavia, è attrarre Pier Paolo verso la sua ‘imboscata’, perché così vuole chi gestisce il ‘complotto’ internazionale e ‘cosa nostra’. L’obiettivo, infatti, non sono i soldi, ma l’assassinio di Pasolini, la sua eliminazione.
La macchinazione si compie: un omicidio di Stato destinato a diventare uno dei più oscuri misteri d’Italia. La chiarezza della sceneggiatura, la corposità delle immagini, il ritmo incalzante degli eventi, le essenziali battute dei dialoghi riescono a ‘stanare’ molte scomode verità, rimaste assopite in questi lunghi decenni di silenzio. La cugina Graziella Chiarcossi, che è stata moglie di Vincenzo Cerami, ha sostenuto la versione familiare a discapito delle teorie del cugino, Nico Naldini, il quale non ha mai voluto sentire parlare di congiure o di complotti, poiché secondo lui si è trattato solamente “di un incidente di percorso in una vita sregolata”.
Il soggetto de ‘La macchinazione’ ha come base il volume, edito da Rizzoli, ‘La macchinazione. Pasolini: la verità sulla morte’, scritto dallo stesso David Grieco. Il film è distribuito dalla Microcinema distribuzione, che fin dal 1996 si occupa di sperimentare trasmissioni di film via satellite in alta definizione in collaborazione con la Rai, al fine di arginare la crisi delle piccole sale per la carenza di copie in pellicola. La musica dei Pink Floyd è la colonna sonora del periodo e, di riflesso, dell’intero film. Massimo Ranieri, in alcune battute ‘scivola’ su qualche vocale aperta o chiusa appartenente ai tipici ‘spagnolismi’ del dialetto ‘campano’, piuttosto che al più nordico idioma friulano. Ben interpretato il ruolo di Antonio Pinna, affrontato da Libero de Rienzo, mentre una sorprendente Milena Vukotic è la madre di Pasolini. Infine, Alessandro Sardelli si è calato totalmente nell’arduo ruolo di Pino Pelosi, dando così prova della sua capacità interpretativa e della sua bravura attoriale.
In conclusione, il regista, David Grieco, indubbiamente riesce a far vibrare sentimenti contrastanti negli spettatori e a suscitare interesse per questo assassinio, in cui la ragion di Stato ha prevalso. La sua buona scuola si avverte nella padronanza della macchina da presa, in simbiosi con uno stile ‘neo-verista’ che verrebbe senz’altro apprezzato dagli stessi Pasolini, Bertolucci e Citti. Un film da vedere, poiché dimostra, alla luce della recente devastazione del parco della Lipu di Ostia dedicato alla memoria di Pasolini, quanto la società italiana ancora oggi non intenda far altro che respingere, con furia isterica e profonda ignoranza, l’impegno civile di un poeta, l’unico poeta civile italiano. E lo Stato non lo ha voluto proteggere!