Hatsune Miku è una pop star di incredibile successo in Giappone.  Ha 16 anni, alta 1. 58 , ha dei lunghi capelli turchini, ha un porro come oggetto totem,  è su tutte le copertine di  magazine. Tuttavia non esiste.


Prodotta  dalla Crypton Future Media questo personaggio esisteva unicamente sull’imballaggio di programmi  Vocaloid   della Yamaha  arrivati già alla terza generazione. Si tratta di  software   che consentono di sintetizzare la voce umana , servendosi di differenti banche di voci registrate da  doppiatori  o cantanti. 
Per creare una canzone  “sintetica“ è sufficiente inserire una melodia grazie a un‘interfaccia con una tastiera di pianoforte. Le parole sono poi sistemate su ogni nota. Il programma può modificare la  pronuncia aggiungere effetti, cambiare sfumature e il timbro della voce.
Nel caso di Hatsune Miku che significa “primo suono del futuro”   è stata utilizzata la voce della cantante giapponese  Saki Fujita e con soli 150 dollari il  programma permette a chiunque  di comporre una canzone commerciale. Miku  ha a sua disposizione  6 toni di voce: Sweet, Dark, Soft, Light, Vivid, e Solid.
La divetta è stata prima creata dai fans  che hanno immaginato il suo universo,  poi è intervenuto il disegnatore Kei facendone un manga e  mettendo in circolazione un personaggio eccezionale  per la vendita del programma Vocaloid.
La diva è  stata dunque   perfezionata negli abiti e nei tratti stereotipati.
Un programmatore, Yu Higuchi, ha messo a punto un  altro dispositivo gratuito “Miku miku dance” che consente di creare  coreografie  sulle canzoni.   Le clip si sono così moltiplicate in modo esponenziale sul web . Hatsune è  a tutti gli effetti  “una diva partecipativa”.  Chiunque può farla ballare e cantare.  Chiunque può farla vivere.
Il portale preferito dai giovani giapponesi Nico Nico Doga  ha contribuito enormemente al successo, al punto che Sony Music direct ha voluto fare dei contratti ai fan più virtuosi.
La diva ha anche un fratello totalmente “ fan  made”. Si chiama Mikuo  Hatsune, la cui voce è quella di Hatsune  ma abbassata e resa maschile.
La popolarità del personaggio  ha reso necessario  un concerto vero e proprio. La Sega ha coprodotto uno show servendosi di un ologramma in 3D in cui Miku canta e balla  sulla scena.
Del fenomeno sicuramente sorprendente e  di cui si possono intravedere tutte le potenzialità  di democratizzazione della musica e in questo caso dello star system,  vanno però  sollevati due  punti di riflessione.
1.La creazione di  un essere vivente  artificiale che permette di  ingigantire le vendite.
Lo stesso processo era  già avvenuto col Tamagochi.
Il gioco metteva  il piccolo consumatore in condizioni di crescere un “ cucciolo virtuale” e farlo  vivere il più a lungo possibile grazie al suo  costante accudimento.
Per aiutare il bambino  catturato in un universo affettivo virtuale,  nel tempo, sono stati messi in commercio una serie di dispositivi che  consentissero  maggiore sopravvivenza al cucciolo, fino a metterlo nelle condizioni di procreare e di generare dei figli virtuali che avevano a loro volta bisogno di accudimento. In realtà l’affetto dei  bambini  erano la  sopravvivenza della multinazionale  Bandaid.
Dal  1996 al 2007 sono state create 37 versioni portatili del Tamagochi, al punto che è il cyber pet più venduto al mondo.
Allo stesso modo la cyber diva Hatsune  non è che il volto manga di una multinazionale  di programmi di voci sintetiche, che  vanno sempre di più  verso l’esclusione dell’essere umano dalla dimensione artistica.
2. La  “partecipazione” o  democratizzazione attraverso il  “marketing virale” di cui  Hatsune Miku  sembra essere una delle tante  espressioni. 
Il  tema di fondo del fenomeno è sicuramente la modalità “ partecipativa” che  nasconde non poche insidie. Si fa ritenere ai fans di essere loro stessi a inventare e  vengono resi loro stessi i primi distributori efficaci e  gratuiti del prodotto. In   realtà è un modo per canalizzare  e sfruttare i gusti delle masse per lo sfruttamento industriale .  
La recente trasmissione televisiva Mediaset, prodotta da  Endemol e  per fortuna andata malissimo  “U man take control” andava appunto in questa direzione.
Dei ragazzi erano  stati rinchiusi in una casa e dovevano  raggiungere un livello di umanità, partendo da quello disumano dovuto all’aver preso parte a dei reality precedenti.
Il pubblico da casa  partecipava appunto al loro processo di  “umanizzazione” proponendo azioni sempre più umilianti, che altro non erano che una sorta di punizione arbitraria inflitta  da una folla di aguzzini.
Questa  contrabbandata “ partecipazione democratica” metteva il  pubblico da casa nella condizione  di pagare una tassa alla società di telefonia,  oltre che a essere destinatario del messaggio pubblicitario.
La   rete e la società di produzione  fanno  pagare il programma dal pubblico  attraverso la società di telefoni e al tempo stesso guadagnano  dall’industria investitrice di pubblicità.
Così  anche attraverso  l’industria culturale  le “società di mercato”  fanno esplodere tutte le forme di spazio e di  tempo pubbliche diverse da quelle non siano prodotte dal mercato. Ancora una volta tutto è organizzato perché sia il mercato  a fare l’unità. Come osserva Bernard Stiegler  in “ la Télécratie contre la Démocratie”  (ed Flammarion, 2008)
“ Questa situazione letteralmente assurda  vuota lo spazio e  il tempo pubblico e dà il sentimento di perdita di significato (…). E poiché la società di  mercato non ha alcuna dimensione etica, diventa inevitabilmente un meccanismo  puramente mimetico e gregario. Cioè  estremamente pericoloso”.
La “partecipazione”  sembra dunque   una  modalità  di guadagno messa a punto dalle multinazionali e che si estende  alla politica: la democrazia partecipativa spesso non è che una sofisticata forma di  manipolazione che  può avere risvolti inaspettati.

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