Michele Grassadonia è un fervente ecologista. Molto tempo fa ha lasciato Palermo per trasferirsi a Siena, che lui considera, tra tutte, la città ideale. Da quasi un an no sta portando avanti un esperimento nel suo appartamento: riuscire a vivere in piena autosufficienza, senza dover ricorrere all’acqua corrente o all’energia elettrica.In una notte di pioggia, Michele rimane coinvolto in una serie di accadimenti dai contorni confusi e misteriosi.

Da questo momento in poi la sua esperienza felice di integrazione gioiosa nella città ideale comincerà a vacillare. Questo film – presentato alla Settimana internazionale della Critica di Venezia dello scorso anno – comincia in sordina, in modo piuttosto rassicurante, come una commedia, con un personaggio a dir poco eccentrico per la sua appariscente, eroica, risibile mania per l’eco-sostenibilità dei comportamenti collettivi, per poi trasformarsi in un giallo. Da quando, cioè, i sani principi e il senso di responsabilità civile dell’architetto ambientalista finiscono per scontrarsi con le pratiche disoneste e ambigue di una realtà spesso molto accomodante e intransigente verso chi, come lui, non intende scendere a compromessi con la menzogna. Siamo dunque di fronte a un giallo morale, oggetto poco identificabile nel panorama cinematografico italiano, dove la commedia prospera solitamente grazie a un bestiario umano e sociologico in cui vizi e virtù si mescolano, si confondono, trovano un’omogeneità nel nome della mediocrità. Di più: siamo di fronte a una parabola straniata sull’Italia in particolare e sul mondo contemporaneo in generale, che si sviluppa attraverso un’acuta e sempre meno divertente indagine tra etica e diritto, verità individuale e regole perverse di convivenza.
Il protagonista, convinto e perciò ortodosso assertore di comportamenti socialmente e culturalmente utili, potrebbe a prima vita risultare un individuo sopra le righe, un cittadino modello alquanto stravagante che combatte solitariamente l’uso sconsiderato di fonti energetiche, il malcostume di chi sporca quotidianamente gli spazi pubblici e  l’inciviltà di chi sul luogo di lavoro non rispetta salutari regole elementari. Eppure, se si presta attenzione alla recitazione molto misurata, seria e mai istrionica dell’attore-regista, che così asseconda doppiamente questa figura di “disadattato”, reo di inseguire un modello ideale di città, di società e di civiltà, non c’è niente di comico nel suo stile di vita austero e rigoroso fino all’inverosimile, almeno secondo i parametri medi dell’incivile convivenza.
La sua “diversità”, innanzitutto morale, verrà ulteriormente marcata e stigmatizzata dal sistema nel momento in cui si troverà a dover scontare sul piano penale le conseguenze del suo gesto responsabile. L’incidente che stravolgerà la sua esistenza dimessa e alternativa ai modelli dominanti dimostrerà piuttosto come la sua piccola crociata ecologista non è altro che il lato più visibile e forse più scoperto di un’onestà intellettuale “a rischio” in un modello di società del compromesso molto vendicativa e spietata in cui domina la regola del sospetto, si insinuano latenti e sinistre tentazioni inquisitorie, si smarrisce il confine tra diritto e ragione, accusa e difesa, civiltà e abuso, informazione e disinformazione. Attraverso gli occhi malinconici e disillusi, lo sguardo incredulo di questo autentico, nuovo, davvero immacolato, impossibile “cittadino al di sopra di ogni sospetto”, che ripetutamente si scontra con i poteri e le istituzioni “forti” per eccesso di limpidezza culturale, si colgono pienamente le contraddizioni, le inquietudini di un’Italia assai poco “ideale” e ormai molto “reale”, o piuttosto “sicilianizzata” nell’accezione sciasciana del termine. Dove la normale amministrazione di una giustizia ingiusta, ottusamente giustizialista e rigidamente formale diventa prassi indecente che punisce i deboli, gli innocenti, e protegge i forti, i disonesti di apparato. E le parole finiscono per essere controproducenti quando i capi di imputazione sono la posta in gioco e la ricerca di un equilibrio con lo spazio vitale circostante e condiviso si trasforma in una colpa da espiare, un’anomalia grottesca, una malinconica follia o un peccato originale imperdonabile. Quella di Luigi Lo Cascio, cresciuto anno dopo anno sui set di Marco Tullio Giordana, Marco Bellocchio, Mario Martone, è quindi un’opera prima non occasionale che lascia bene intendere quanto l’attore guardi alla regia con cognizione di causa: come un’attività autonoma a un progetto maturo, con cui costruire una galleria umana, riflettere sul presente, indagare il mondo con strumenti a lungo meditati ed elaborati tanto da avere la netta – e positiva – impressione di un film tratto da un’opera letteraria o teatrale per via dell’accuratezza e la qualità dei dialoghi. Anche lo stile registico, riflettendo quello dell’attore o l’indole stesso del personaggio, appare molto controllato, asciutto, trasparente, schivo. Rifugge da facili sperimentalismi come da pratiche linguistiche e tematiche alla moda, care a giovani autori in cerca di consenso presso le solite élite e conventicole invaghite da possibili nuovi giocattoli da promuovere e all’occorrenza rompere, in maniera alquanto infantile.

locLA CITTÀ IDEALE
Italia, 2012, 35mm, col., 105’
Regia: Luigi Lo Cascio. Sceneggiatura: Luigi Lo Cascio con la collaborazione di Massimo Gaudioso, Desideria Rayner, Virginia Borgi. Fotografia: Pasquale Mari Montaggio: Desideria Rayner Musiche: Andrea Rocca. Suono: Fulgenzio Ceccon. Costumi: Maria Rita Barbera. Scenografia: Ludovica Ferrario e Alice Mangano. Interpreti: Luigi Lo Cascio, Luigi Maria Burruano, Massimo Foschi, Alfonso Santagata, Katrinell Marlon, Aida Burruano, Roberto Herlitzka. Produttore: Angelo Barbagallo. Produzione: BiBi Film con RaiCinema. Distribuzione: Istituto Luce

La città ideale trailer

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