Questa sembrerebbe la traccia di un tema da maturità; in un Paese che non fosse “delle Meraviglie”, potrebbe esserlo davvero, ma in Italia solo a mettere il piede oltre la soglia delle questioni di merito, si rimarrebbe irrimediabilmente invischiati in un ginepraio di “non sapevo”, avvinghiati nelle liane infide degli scaricabarile, delle connivenze, delle tenaci dimissioni “mai” e, pur scansando qua e là, si sprofonderebbe infine, inevitabilmente, nelle sabbie mobili della “disinformazione”, annaspando inutilmente tra tre o quattro vecchie e insignificanti teste cadute, sullo sfondo del muro di gomma dell’”incondizionata fiducia nell’operato della magistratura”.
Mi sembra, allora, cosa buona e giusta evitarlo.
Non entro, pertanto, nel merito di DUE GRAVISSIMI EPISODI, quali possono definirsi il “caso” Kyenge/Calderoli, dove pure deve evidenziarsi la connotazione di razzismo e non dimenticare le aggressioni, le volgarità, le minacce, da ultimo l’edificante parata di nodi scorsoi a Pescara, di cui è stato oggetto il Ministro Kyenge; e il caso Ablyazov – Shalabayeva: tutto collegato alle importazioni di petrolio e agli investimenti in Kazakistan? Il nostro Paese non è in grado di affermarsi con la competitività, la qualità dei suoi prodotti, il prestigio politico, ma solo perdendo fette di sovranità? Beh… è una vecchia storia.
Mi limiterò qui a soffermarmi su quello che più mi ha colpito dei due “fiori all’occhiello” a tutt’oggi, del Governo Letta:
La scena di Calderoli che, dopo la bravata, brandisce rosso e sudato, la statuina riproducente il monumento ad Alberto da Giussano a Legnano, di ben nobili origini ed intenzioni, come la sua derivazione dallo scultore Enrico Butti conclama, come se fosse un trofeo da pesca della trota (non me ne voglia la famiglia del Senatur), tra gli scatti sfolgoranti dei flash, applausi e voci osannanti.
Beh ci hanno espropriato, o almeno ci hanno provato, di eccellenze italiche, a cavallo tra fine ‘800 e ‘900, come questa, o come il coro del Nabucco; del resto l’alleato Cavaliere non l’ha fatto con l’affettuoso “papy” e, a suo tempo, con quel “Forza Italia!” con cui incitavamo le nostre squadre ai campionati mondiali o alle Olimpiadi?
Pazienza! Teniamo duro e forse, prima o poi, ci libereremo di tutto questo.
Del caso kazako, ciò che più mi ha colpito è stato il passo coordinato con quello della madre, di quella bambina dal volto coperto, Alua, di cui pochi hanno parlato, sempre mano nella mano, sempre accanto a sua madre Alma, ignara, sempre in cammino verso una meta indefinita.
Non so se ha davvero davanti a sé la destinazione di un orfanatrofio, di una adozione o altro; quello che è certo è che si trova di fronte ad un totale cambiamento della sua vita; da che era con sua madre e suo padre, si trova ora di fronte all’ignoto.
Mi sento personalmente molto vicino a questa bambina, sballottolata da una parte ad un’altra come un pacchetto. Poi dirò perché.
Ecco, questi sono prodotti dei nostri tempi, accadimenti dell’anno di grazia 2013; 70 anni dopo quel 1943 che fu un anno-chiave nella lettura storica della II Guerra Mondiale. Ecco il motivo del richiamo all’anno dei “settantesimi anniversari”.
E’ già stato celebrato quello della battaglia di Stalingrado, che ebbe termine il 2 febbraio 1943 e segnò, dopo 7 mesi di combattimenti, la spaccatura definitiva della spina dorsale dell’esercito tedesco sul fronte orientale.
Per quanto ci riguarda più da vicino, è l’anno del famoso e “famigerato” 8 settembre, che identificò il 1943 come un anno di svolta per l’Italia.
Fine della guerra?
Macché: PIETRA MILIARE dell’orrore, CONSACRAZIONE del crimine di guerra e dei crimini contro l’umanità, questo fu quell’anno… da dimenticare? No! Da ricordare più che mai, perché “non c’è futuro senza memoria. Coloro che non hanno memoria del passato sono destinati a ripeterlo”.
Nel mio ultimo libro “Nola, cronaca dall’eccidio”, Ed. Infinito, che sarà in circolazione ai primi di settembre prossimo, prendo spunto dal primo episodio di rappresaglia tedesca contro l’Esercito italiano, l’11 settembre del ’43 a Nola, l’eccidio, in risposta all’uccisione di un ufficiale tedesco il giorno precedente, di 11 ufficiali italiani, tra cui mio padre, per menzionare e ripescare tanti fatti obbrobriosi di violenze, stupri, incendi ed omicidi, che si mescolano con la guerra, ma nulla hanno a che vedere con essa, ma non tutti; e più mi addentravo nella documentazione e nelle ricerche, più ne trovavo, da riempire il libro, in aggiunta al mio personale fardello e degli altri familiari delle vittime di quell’11 settembre.
Ma quale è il fil rouge che unisce questi 70 anni, quale è il perché del titolo di questo “tema da maturità”?
I bambini, questi figli e nipoti che, generazione dopo generazione, vediamo passare sotto l’occhio impassibile dell’Umanità, e perdersi nella nebbia.
Ecco il fil rouge
che passa attraverso decine e decine di efferati episodi; la foto incredibile, in tutto il Mondo famosa, del bambino “giudeo” di 8, 9 anni, con il berretto a visiera e le mani alzate, nel ghetto di Varsavia, forse nell’aprile del ’43; le denunzie infami dei repubblichini ai tedeschi; la deportazione di 1022 ebrei romani il 16 ottobre 1943, ed oltre 1000 ancora nei giorni successivi, col favore delle “catalogazioni” fatte a seguito delle leggi razziali del settembre del ’38; la generosità di una sconosciuta donna cattolica che, per non abbandonare un orfanello ebreo malfermo in salute, affidato alle sue cure, non aveva avuto l’animo di dichiararsi non ebrea, e aveva voluto seguire la sua sorte. Né il bimbo, né la sua protettrice erano tra le uniche 15 persone ritornate da Auschwitz (fonte VICINO a NOI – Mostra fotografica di Francesco Rosa e Luca Servo – Centro Culturale “Gli Scritti”).
Ecco, come esiste il “Milite Ignoto”, questa donna potrebbe rappresentare la “Madre Ignota” di tutti i bambini soli che soffrono o sono in pericolo, in ogni parte del Mondo.
E poi le stragi di innocenti, bambini e adolescenti compresi, a Marzabotto, Sant’Anna di Stazzema e la vergogna di vicini e compaesani facili alla delazione in cambio di una rassicurazione, o solo di un po’ di cibo, passa attraverso i 6 figli di Magda Goebbels, uccisi perché non sopravvivessero allo “sconcio” di un Mondo privato del Nazionalsocialismo, e poi vola vola, su altre brutture, altri saccheggi, altri depauperamenti dell’innocenza, della vita, della libertà; le stragi di interi villaggi; i villaggi di Sabra e Shatila, totalmente distrutti tra il 16 e il 18 settembre 1982 ad opera delle milizie cristiane libanesi, tra l’indifferenza degli Israeliani, proprio quelli dell’Olocausto, hanno un valore emblematico agli occhi di quelli della mia generazione.
La storia passava, ma non finiva lì; il Male della Vita non si arresta, continua a volare, volare, volare. Procedendo per riferimenti emblematici, arriviamo al 1-3 settembre 2004, Ossenzia del Nord, Beslan, 331 morti, di cui 186 bambini, per un oscuro atto terroristico tra separatismo ceceno, islamismo e strumentalizzazioni varie; ed eccoci infine, in un battibaleno, ma senza che si siano chiusi gli occhi su tutto quanto accaduto, ai nostri giorni. (fine prima parte – continua)