Dopo Agfa e Polaroid, crolla anche la Kodak, multinazionale della macchina fotografica usa-e-getta, colpevole di non aver saputo rinnovarsi all’avvento del digitale. Nell’era degli smartphone, dei social network e di photoshop, il  famoso slogan di quel lontano 1888, “voi premete il bottone noi facciamo il resto” che la rese famosa, non suona più così tanto convincente.
Per non parlare poi, del brusco cambiamento nel mondo del cinema, dove la ripresa su pellicola da normalità è diventata un vezzo da insegnare ai videomakers nostalgici (http://www.kodak.com/IT/it/motion/about/sbsf08.jhtml). Infatti, è soltanto grazie alla vendita di scanner e software che ottimizzano la gestione dei documenti digitalizzati, se le filiali europee possono rassicurare i propri azionisti circa la solidità dei propri bilanci e i direttori dei festival di cinema europei cui Kodak è tradizionalmente legata (mentre la sede statunitense ha intenzione di abbandonare Hollywood). Il legame indissolubile tra la società simbolo della pellicola e il cinema sembra insomma essere stato spezzato per sempre.   

Un secolo di monopolio
Nonostante i 131 anni di passato glorioso, la Eastman Kodak Company ha annunciato di voler ricorrere alla protezione garantita dal Chapter 11 della legge statunitense sul fallimento: a febbraio la società è entrata in amministrazione controllata ed entro sei mesi dovrà cercare di risolvere almeno parte dei suoi problemi economici. Il 19 febbraio scorso è stato diramato un comunicato stampa che spiegava le ragioni di quella che l’amministratore delegato Antonio Perez ha dichiarato “la mossa giusta per il futuro dell’azienda”. Riferendosi alla sola realtà statunitense, la società ha parlato di una forte necessità di riorganizzazione dopo la fallimentare gestione di Perez, che si lascia alle spalle un patrimonio di 5,1 miliardi di dollari e 6,75 miliardi di debito; una situazione quindi ancora lontana dal risultare irrecuperabile, come appunto sottolinea la lettera inviata a partner e a clienti, ma che di certo non fa onore all’impresa che vent’anni fa deteneva il 90% del mercato statunitense di rullini e pellicole. Kodak ha ottenuto un finanziamento di 950 milioni di dollari in diciotto mesi dalla banca americana Citigroup, ma questo non basterà a mettere in salvo i 400 dipendenti della sede storica di Rochester (New York). Dominic Di Napoli, il vicepresidente di una nota agenzia di ristrutturazioni aziendali, protagonista di importanti casi finanziari del mercato statunitense, ha già annunciato dei tagli al personale e la svendita di una buona parte del portafoglio brevetti (che vale 2 miliardi di dollari).  Entro la prima metà del 2012 la società conta di ritirarsi da mercato delle fotocamere digitali, videocamere tascabili e cornici digitali, e secondo la Reuters, ciò dovrebbe  portare a un risparmio annuale di 100 milioni di dollari. Come ha detto Perez, “la riorganizzazione punta a rafforzare la liquidità, a monetizzare la proprietà intellettuale non strategica e a far concentrare la società sulle attività di maggior valore”; resta però da vedere in che cosa si trasformerà l’azienda. Come ha spiegato Philip Cullimore, Managing Director Europe della Kodak, negli ultimi decenni si è assistito “ad uno spostamento sempre maggiore dal settore commerciale dei dispositivi capture [le fotocamere] a quello delle applicazioni imaging [scanner e software di trasmissione immagini] rivolte al solo mercato professionale, che anzi sta mostrando significative e rapide crescite”: chiaro che Di Napoli intende puntare sul mercato più sicuro. Già l’anno scorso la Kodak era improvvisamente uscita dal mercato della proiezione digitale, cedendo un centinaio di brevetti legati ai sistemi di videoproiezione laser ad Imax, che invece ha annunciato pochi giorni fa di star perfezionando il primo prototipo. Il legame con il mondo del cinema e della fotografia si fa sempre più labile.

Le previsioni del Wall Street Journal
Il Wall Street Journal aveva annunciato con un mese di anticipo questo scenario, basandosi sulle difficoltà crescenti del gruppo Kodak, che lo scorso autunno aveva assunto alcuni consulenti per ristrutturarsi e soprattutto terminato una linea di credito da 160 milioni di dollari, a discapito dell’equilibrio finanziario dell’impresa. In realtà, il nuovo millennio è stato tutt’altro che roseo per la Kodak: la smaterializzazione della fotografia introdotta sul mercato dalla Sony ha fatto crollare gli acquisti di rullini negli anni Novanta, e tra il 2003 e il 2007 sono stati chiusi ben tredici impianti di produzione e tagliati 47mila posti di lavoro. All’inizio della crisi, gli sforzi vennero convogliati nella produzione di fotocamere digitali. Era stata la stessa Kodak a inventarle nel lontano 1975, ma il progetto fu subito accantonato e mai più ripreso, neanche nel 1992 quando, secondo l’ex vicepresidente della Kodak Don Strickland, la società era pronta a lanciare la prima macchina digitale consumer, ma si bloccò tutto nel timore di “cannibalizzare” il rullino.

1 Brownie, 1 dollaro
Secondo la policy della società, che ha lanciato nel 1900 la prima macchina fotografica di massa (la Brownie, venduta al prezzo di 1 dollaro), si è puntato a prodotti di facile utilizzo, di qualità e “divertenti”: nel 2005 le sue fotocamere EasyShare sono state le più vendute negli Usa. Mentre le giapponesi Nikon, Casio e Canon invadevano il mercato con le “compatte” (altra innovazione introdotta dalla stessa Kodak nel 1963 con la Instamatic), la società non è riuscita a stabilizzare poi quel suo iniziale successo. L’ultima e forse definitiva battuta d’arresto è avvenuta  con l’introduzione degli smartphone, che, dotati di connessione internet e fotocamera, permettono la condivisione immediata delle foto sui social network, il vero album di famiglia di questi tempi. Kodak ha cercato di migliorare i margini di profitto riducendo la gamma di prodotti offerti e i punti vendita, puntando sulla proprietà intellettuale e sulla stampa digitale, secondo la strategia di Antonio Perez, salito al vertice nel 2005, che in cinque anni ha bruciato 7 miliardi di dollari di valore di mercato della Kodak.  

Il maquillage della Fujifilm
Bisogna considerare tra le cause anche il prorompente diffondersi dell’uso del digitale tra i registi (il primo film realizzato senza pellicola è stato Guerre Stellari). The Economist ha analizzato il due diversi destini delle concorrenti Kodak e Fujifilm: entrambe hanno visto il proprio business storico- le pellicole- diventare obsoleto, ma, se la prima è sull’orlo della bancarotta, la seconda ha un valore di borsa pari a a 12 miliardi di dollari. Fujifilm, ai primi segnali di flessione del mercato della pellicola, è riuscita a diversificarsi (magari anche in un modo un po’ curioso, come con la linea di cosmetici nata dal brevetto degli antiossidanti per la stampa fotografica). Kodak avrebbe puntato invece troppo sulla notorietà del marchio, ammaliata dalla sua posizione di monopolio totale sul mercato. Nonostante il grande sforzo di Kodak nel settore ricerca e sviluppo, da qualche decina di anni a questa parte, i brevetti non sono stati quasi mai trasformati in linea produttiva: quella che The Economist definisce “una mentalità da prodotto perfetto” ha impedito all’azienda di lanciarsi, o meglio, creare nuovi mercati.

Addio Notte degli Oscar
Nessuno come la Kodak ha dato più impulso al cinema, con il sistema a roll-up (cioè, appunto rullino) per pellicole cinematografiche, e con la Kodachrome, la prima pellicola a colori, rimasta in commercio fino al 2009, sulla quale sono stati impressi ben ottanta film vincitori di Premio Oscar come miglior film. Come ricorda Roberto Ormanni nel suo libro Il cinema del cartone animato (Infinito Edizioni), gia nel 1910 la Kodak aveva fondato con altre sei case di produzione cinematografica americane la Motion Picture Patents Company, che detenne il monopolio della distribuzione per qualche anno.
Intanto è proprio la Notte degli Oscar a perdere il suo primo finanziatore: Eastman Kodak ha ottenuto dal Tribunale la rescissione con 10 anni d’anticipo del contratto di sponsorizzazione della premiazione, che prevedeva per l’azienda un contributo economico di 3,6 milioni di dollari all’anno in cambio dell’apposizione del famoso marchio sul teatro, di proprietà del gruppo Cim. Inascoltata, dunque, l’opposizione del Cim Group, secondo cui Kodak aveva già raccolto i proventi delle pubblicità di quest’anno. Cim Group aveva chiesto che il contratto rimanesse attivo almeno fino alla fine del 2012, in modo da avere il tempo per trovare un altro sponsor; ma a dieci giorni della cerimonia, tenutasi il 28 febbraio scorso, il Kodak Theatre ha perso il suo nome ed è diventato l’Hollywood & Highland Center. Il cinema non farà più parte del core business della multinazionale, questo è sicuro. Probabilmente Dominic Di Napoli riuscirà a risollevare le sorti della Eastman Kodak Company, ma ciò che ne uscirà fuori non sarà più la Kodak del “Take it with you”, del “fotografare semplice come disegnare”, del 35 mm e delle prime immagini della luna… Se mai sarà, sarà tutt’altra storia.

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