E’ un libro davvero particolare e denso di vitalità ‘Rosso.Niente.’ di Kenneth Krabat, particolare come la scrittura del poeta danese che in questa raccolta edita da Kipple Officina Libraria, tradotta in italiano dall’inglese da Giovanni Agnoloni per la collana “Versi Guasti”, curata da Alex Tonelli, rivela l’intenzione di una continua esplorazione delle espressioni linguistiche.
C’è una contaminazione tra stili diversi, anche le scelte metriche seguono un movimento che si espande nella cura dei versi, fino alla creazione di immagini insolite, come le stesse sonorità che cambiano direzione, sospese tra il reale ed il surreale. Parla di vita, di morte e di amore Krabat e lo fa con la consapevolezza che ogni sua parola ha una pienezza di significato, sia essa in prosa o in poesia o altra forma ancora. Non importa il genere affrontato, quello che preme a chi scrive è di afferrare l’attimo, di viverlo dentro, fuori e oltre, quasi in maniera estrema, ma vera, senza riserve. E’ una scrittura moderna, contemporanea, mai scontata che fa affiorare una ricerca costante, la volontà di scendere in profondità nelle cose.
Racconti, poesie e testi tra loro diversi, lasciano intuire la necessità di sentire e percepire l’esistenza, assorbendone totalmente luci ed ombre. Ogni singolo momento racchiude in sé qualcosa di importante, nel bene e nel male: “il momento in cui ricorderai che sei nato/e che morirai/e che hai un numero infinito di ore/o quasi”. La poesia arriva come consolazione, prodotta dall’istintività creativa, dall’alternarsi di rumori e silenzi, da un andare per le strade dell’anima e dei luoghi, ed è un fluire che manifesta variazioni, contrasti, sfumature. Nello scorrere del tempo, tra il passato ed il nuovo che avanza, si trasformano anche le parole, come le cose, ed ogni volta nulla è mai lo stesso. Kenneth Krabat riesce a restituire alla poesia un’attualità senza risultare mai banale, non fa altro che riconsegnare al lettore una contemporaneità autentica, fatta di situazioni spesso al limite della ragione, corse frenetiche impostate ad un allineamento collettivo.
Il poeta esprime il suo dissenso verso un sistema che porta l’uomo all’alienazione, alla solitudine, all’accumulo ossessivo: “Il denaro, l’influenza, il potere sono gli ultimi a patire la fame”. E la sua lotta è una resistenza attiva per non cadere nelle fragilità, tra paure ed ossessioni. La morte come la vita diventano materia di riflessione, di comprensione ed incomprensione, di dolore e gioia, anche se non troviamo risposte certe o soluzioni. Tutta l’opera riconduce a questa doppia dimensione, tra ciò che è l’io ed il mondo nella sua frammentazione, tra il singolo e gli altri. Alcune volte i versi sono brevi ed essenziali, in altre molto più lunghi, comunque dentro ai testi tutto è vibrazione, emozione che si fa scintilla e quell’ “io sono” spesso ripetuto racchiude quell’essere di passaggio tra la dimensione terrena e ultraterrena. Nutrirsi di cibo e sentimenti, nutrire lo spirito e la mente, alla ricerca di un equilibrio, di una collocazione all’interno della società e del mondo? No, solo masticare la vita così com’è. L’autore offre tanti spunti per pensare alla propria identità, all’essere uomo tra i non-sense del cosmo. E’ vero che l’esistenza è spesso sotto i riflettori di chi scrive, ma in questo caso ci troviamo di fronte ad una sperimentazione lessicale, ad una poesia dinamica che si tramuta in realtà concreta, sfiorando il sogno, incarnando una moltitudine di tematiche.
Nella poesia ‘Quando dovrò andare’ la chiusa interrogativa “ci sarà qualcuno che si stenderà accanto a me/ per un po’?” appare come una supplica e se nei testi precedenti la morte viene affrontata con una sorta di distacco, qui invece il tono è diverso. Krabat è un poeta che vive la vita nella sue contraddizioni, e se l’amore sembra l’unico mezzo per alleviare sofferenze e recuperare leggermente, poi alla fine non è così. Anche l’amore non ha senso, o lo ha fino ad un certo punto. Sono continui i ribaltamenti, continue le precipitazioni emozionali e psichiche. E la poesia muta, come muta la gente, come la natura ed il tempo. Metamorfosi espressive e sonore ci proiettano in un’opera paradigmatica, carica di intenzioni potenti e disarmanti, nella libertà più assoluta.