Il Belpaese negli anni Ottanta aveva ancora un riscontro turistico incidente sull’economia globale, che gli consentiva di essere fra le prime dieci nazioni più visitate al mondo. Un sistema messo in crisi dallo stato di conservazione, dalle svendite patrimoniali e dallo svilimento delle professionalità. Il j’accuse di un critico d’arte.

Uno studio realizzato da Giulio de Caprariis, Ciro Rapacciuolo e Alessandro Terzulli riporta che “Il turismo ha un ruolo molto importante nell’economia mondiale. La sua importanza, non solo economica ma anche culturale, sociale ed educativa, è andata crescendo a ritmi molto intensi a partire dalla seconda metà del Novecento. L’Italia ha, da sempre, rappresentato uno dei principali attori nel panorama turistico internazionale, leader per diverso tempo come meta di viaggiatori stranieri (d’altronde la parola turismo ha origine dai Grand Tour settecenteschi di britannica memoria in cui l’Italia era considerata come destinazione fondamentale).

Corruzione e abusivismo
Dalla metà degli anni Novanta però, in particolare dal 2001 in poi il nostro paese ha perso terreno sia nei confronti di alcuni concorrenti storici sia rispetto a paesi che solo da poco sono divenuti ricettori di turismo. Nei paesi diretti concorrenti, simili e vicini a noi per storia, sviluppo e livelli di reddito, l’importanza complessiva del settore turistico ha continuato a crescere o quantomeno è rimasta invariata: tra il 1995 e il 2004, la quota della Francia sugli arrivi europei è passata dal 18,3% al 18,1% e quella della Spagna dal 10,8% al 12,9%. Diversi sono i fattori che spiegano l’arretramento che ha iniziato a destare qualche preoccupazione. Alcuni di essi, comuni anche ad altri paesi, sono attinenti all’evoluzione pompei_crollo_scavi_pompei_15più recente sia della congiuntura che della situazione geo-politica; il loro peso non è trascurabile ma non è quello più importante. Altri, specifici, hanno una natura strutturale e mettono in evidenza le lacune del settore turistico italiano da un punto di vista strategico[1].Secondo i dati emersi dall’incontro tenutosi allo IULM di Milano alla fine di marzo 2011, nel 2010 l’Italia è scivolata al sessantacinquesimo [2] posto per indice di corruzione[3]. Con dati turistici in picchiata a causa della “svendita” paesaggistica che l’edilizia selvaggia ha generato.

 

Una condizione, quest’ultima, riferitami dalla responsabile didattica per la Fondazione Puglisi Cosentino di Catania (Mercedes Auteri, n.d.r.), invitata come me – assente per mancanza di rimborso spese – ad una delle giornate delle Best Practices, organizzate da DOCVA, Careof e Viafarini, per l’appunto a Milano[4].

 La domanda è: Come si può riuscire nell’impresa di concettualizzare il presente, con pertinenza, senza fraintenderlo e sottovalutarne la portata, se il mancato aggiornamento dei mezzi culturali umanistici provoca un irrimediabile deficit d’attenzione rispetto alle pratiche contemporanee? Dice Nicolas Bourriaud, curatore francese, critico e dal 2006 co-direttore di Palais de Tokyo con Jerôme Sans, che critici e filosofi, nella stragrande maggioranza dei casi, sono restii a fare i conti con le pratiche contemporanee. Pratiche scorporate dal sociale, che restano dunque essenzialmente illeggibili. Non è possibile, secondo Bourriaud, cogliere la loro originalità e rilevanza analizzandole a partire da problemi risolti o lasciati in sospeso dalle generazioni precedenti.

 

La svalutazione dello storico dell’arte
Ora, è anomalo, di un’anomalia tutta italiana, che si debba essere ricchi e di nobil casato per sviluppare una professione che, in teoria, possiederebbe tutti i requisiti per presentarsi fra le più ovvie da scegliere. Allorché, si manca di proposte e volontà politica, in un paese che celebra e ostenta un’eredità secolare di Beni architettonici e artistici, pari al 50% dell’intero patrimonio nazionale. Tuttavia, mentre lo storico dell’arte è una qualifica che può essere accertata e inserita, a livello concorsuale, nelle sovrintendenze, dopo la laurea canonica “tre più due” e un triennio di specializzazione in Storia dell’arte; il critico, al contrario, non esiste. Proprio così! Abbiamo studiato per un ruolo sociale inesistente, che obbliga chi può contare sulla sola professionalità, a scendere a compromesso sempre e comunque, svendendo competenze in cambio di visibilità. Questo vuole dire, in parole povere, redigere un intero catalogo per un celebre museo ed essere retribuiti poco più di quattrocento euro; rispondere alle richieste sempre più esigenti di una notissima responsabile di un’altrettanto conosciuta associazione culturale, per non raccogliere né compensi né ringraziamenti né opportunità di carriera e nemmeno copia del libro in cui è stato pubblicato il lungo intervento redatto dal professionista “anonimo”.14133727_maxxi_new33

Chi scrive, raggiunto questo punto di confidenza è bene dichiararlo, è una ricercatrice indipendente che si è lasciata attrarre dall’arte come fosse il canto delle sirene. Fino da bambina, fino da quando ha memoria di avere compiuto un atto determinato e consapevole.

Mi dicono che l’arte, la cultura, la possibilità di declinare il tempo secondo piacere e passione, è assimilabile sempre più al fashion, quindi al potere d’acquisto che la ricchezza conferisce. Io ci sono riuscita. Almeno per dieci lunghi anni. Grazie alla famiglia, riluttante ma complice, e agli amici più cari, che sempre hanno creduto nelle mie doti intellettuali.

Certo è che l’avventura, il periplo attorno al promontorio dell’arte contemporanea si è dipanato in maniera romanzesca, per almeno tre motivi condivisi da molti: sono siciliana, provengo da un ambiente piccolo borghese, le mie risorse finanziarie sono tutt’altro che illimitate. Ogni giorno quelli come me hanno l’obbligo di domandarsi se producono contenuti accessibili a tutti. Ogni giorno quelli come me sono costretti a chiedersi se il decennale e poco documentabile investimento in cultura non sia stato una frode. Inutile, nonché dannoso, citare l’assenza di meritocrazia e di presente, badate bene, non di futuro. Io, però, avendo contravvenuto al comandamento dell’ubbidienza nei confronti del mio tutor, che mi voleva complice e artefice di cene piuttosto che brava teorica, dal 23 dicembre 2009 mi sono trovata costretta a portare avanti una personale battaglia, venata da una forma privatissima di resistenza passiva.

Meriti a parte
Tutto ciò, per mantenere aperto un iter universitario, che mi ha sorretto sino a dicembre 2010, permettendomi, grazie a una borsa di studio vinta per il summenzionato Dottorato di ricerca in Estetica e Pratica delle Arti (Università di Catania, XXIV ciclo, già soppresso), di continuare a dedicarmi alla punta più sperimentale del contemporaneo. Solo questa negletta vittoria ministeriale mi aveva consentito, infatti, di raddoppiare gli sforzi, oltre che incoraggiare una minima mobilità, benché dopo lunga malattia mi sia trovata privata del sussidio e sotto procedimento di esclusione dallo stesso Dottorato (procedimento che si è concluso il 13 maggio 2011 con un decreto di esclusione definitiva).

Riassumere i punti del disagio culturale che la mia generazione sta vivendo, come si può constatare, non è cosa semplice, né univoca. E soprattutto rischia di diventare un memoriale privo di interesse, se i numeri di quelli che si dedicano ancora alle discipline umanistiche non fosse pericolosamente elevato.

mart_rovereto_crisi_museiGiacché, non sarà il corporativismo la soluzione, se mai in Italia fosse venuto meno. Ciò nondimeno, servirebbe l’abolizione di una forma compulsiva di ricorso alla parola e alla pratica dello stage e alla riconoscibilità coatta, non mi stanco di ripeterlo, come corvée: un servizio di fatica che i graduati dell’esercito della cultura assegnano ai soldati semplici. Gioverebbe un riordino e il recupero di un’idea di professionalità da inserire nella Pubblica amministrazione e nei poli museali, innovativa e veramente flessibile. Così, invece che fare scappare all’estero le nuove leve, ci si potrebbe risolvere ad ammettere che la cultura paga se solo fosse internazionale come il pistacchio di Bronte e la mozzarella di bufala!

Abbiamo in troppi la laurea D.A.M.S. che rimane un titolo vacuo e per dilettanti tuttofare: produttrice di disoccupazione e indigenza. Per la ragione stessa della mancanza di sostanza giuridica, formativa, professionale, sindacale e concorsuale. La malnata figura del critico è stata forgiata nella temperie culturale italiana del rinascimento, a partire da quelle “Vite…” del celeberrimo Giorgio Vasari. Ma migliaia di questi laureati sono solo futuri èmigrè, nel migliore dei casi, poco appetibili per le aziende. Avrà pure ragione una mia amica giornalista quando afferma che non è più necessaria una sutura fra intellettuali e gente comune. E, semmai, c’è bisogno di trovare spazio e spazi (istituzionali, organizzativi, think-thank, ecc.) per mettere a conoscenza quanta più gente è possibile di quel che accade e di quello che meraviglia. Ma senza starglielo a spiegare troppo, dice ancora la mia amica.

fahrenheit_451Mi viene in mente il passo di Fahrenheit 451 in cui Ray Bradbury spiega per quale motivo né i libri né la critica servano più alle tecnocrazie, allorquando «Si teme sempre ciò che non ci è familiare»:

“Consideriamo ora le minoranze in seno alla nostra civiltà. Più numerosa la popolazione, maggiori le minoranze. Non pestare i piedi ai cinofili, ai maniaci dei gatti, ai medici, agli avvocati, ai mercanti, ai pezzi grossi, ai mormoni, battisti, unitari, cinesi della seconda generazione, oriundi svedesi, italiani, [… ] Tutto questo è avvenuto! Le riviste periodiche divennero un gradevole miscuglio di tapioca alla vaniglia. I libri, così i loro critici, quei maledetti snob, avevano proclamato, erano acqua sporca da sguatteri. Nessuna meraviglia che i libri non si vendessero più, dicevano i critici, ma il pubblico, che sapeva ciò che voleva, con una felice diversione, lasciò sopravvivere libri e periodici a fumetti. Oltre alle riviste erotiche a tre dimensioni ovviamente. Ecco, ci siamo, Montag, capisci? Non è stato il governo a decidere, no! Ma la tecnologia, lo sfruttamento delle masse e la pressione delle minoranze hanno raggiunto il loro scopo, grazie a Dio! Oggi, grazie a loro, tu puoi vivere sereno e contento per ventiquattr’ore al giorno […]Si teme sempre ciò che non ci è familiare. Chi di noi non ha avuto in classe, da ragazzini, il solito primo della classe, il ragazzo dalla intelligenza superiore, che sapeva sempre rispondere alle domande più astruse mentre gli altri restavano seduti come tanti idioti di legno, odiandolo con tutta l’anima? Non era sempre questo ragazzino superiore che sceglievi per le scazzottature ed i tormenti del doposcuola? Per forza! Noi dobbiamo essere tutti uguali […]”.

Il rischio hobby
Abbiamo lasciato che altri trasformassero il nostro futuro, dice sempre la mia amica, e non è possibile darle torto. Insomma, per potere dimostrare di essere critici d’arte non vi è un titolo, né un qualsivoglia tesserino che ne dimostri l’esercizio e l’autorità. Inoltre, il “sistema Italia” non investe né punto né poco in chi si propone di formarsi nei mestieri trasversali dell’arte, magari con un’apertura di credito restituibile al primo lavoro vero, come avviene nei paesi anglosassoni. Così, per resistere in questo mondo esploso dell’arte contemporanea è poi necessario scrivere e lavorare senza cachet e sine die, con l’unica speranza (esasperata ed esasperante) che la visibilità (questa parolaccia) torni in ingaggi e ruoli significativi, retribuiti a sufficienza per pagarsi da vivere. C’è del dolo e dell’incuria in tutto ciò… Dato che se non sussiste retribuzione non può nemmeno esserci lavoro, che per essere chiamato tale abbisogna di riferirsi a un indice retributivo, altrimenti la categoria di riferimento diviene più prossima al puro svago, all’hobby, all’aberrazione nel senso del tempo non certificabile e della sua ipoteca perenne in una qualche attività non proprio identificabile.

Vi sono due ulteriori punti focali. Ovvero, l’interesse che il mondo contemporaneo, sempre più autonomo nello scegliere, può avere nei confronti di un “personaggio” che si arroga il diritto di sapere operare una distinzione tra il grano e il loglio.

L’altro, non meno importante, è il tema della verità nell’arte; antico qualche migliaio d’anni, che la critica sfiora di continuo fino a farne una metafisica.

Più semplicemente, oggigiorno, il senso del nostro ruolo sta tutto nel Sistema dell’arte, e nella legittimazione di cui il sistema economico si serve per vendere meglio l’artista.

E il “Sistema” è chiuso nell’esercizio assiomatico e quasi massonico di lobbyes di potere, che premiano i pac_Milano.pctcommensali e non le eccedenze esogamiche. Come avviene per gli ex MBA (Master in Business Administration) i quali hanno l’obbligo di assunzione verso altri MBA ex students. A dirla tutta, chi partecipa al banchetto possiede anche il tavolo: con diritto di prelazione sui fornitori.

Altro problema, lasciatemelo sostenere, ben più radicale, concerne la predetta formazione. La terribile impostura in termini professionali e didattici che questa stessa vituperata formazione alla critica d’arte comporta.

Il curatore ha, è vero, al contrario, un ruolo concreto e di ordine sostanziale: mette in piedi l’allestimento delle mostre seguendo un concetto. Il “giovane curatore” ha anche imparato le caratteristiche dei materiali, la forza del progetto, l’ambivalenza tra significante e significato e la utilizza, per rendere l’esposizione un organismo vivente (nel migliore dei casi). Non temo divagazioni insomma, e mi auguro di non risultare ridondante, quando cerco legittimazione, pur ammettendo le asperità di un linguaggio critico disancorato dalla realtà, e distante dal forse superato ruolo di saldatura fra intellettuali e gente comune, tanto da apparire ostico e autolesionista. Ma il problema esiste, che si voglia regolarizzare, o meno, una figura dalle troppe ombre, resta un dato: l’università, il D.A.M.S. capofila, ci forma come esperti, esattamente come si va dal dentista per farsi curare un dente e non da un rappresentante politico, e ci butta nel mare indistinto dell’invenzione di un mestiere, senza regole né albi.

Le qualità artistiche
Personalmente ho anche sperimentato con un discreto successo di virare alla volta del giornalismo culturale, tuttavia l’annoso dato della mancanza di “rispetto” economico per i lavori della penna resta. Così, quelli come me si dibattono imprigionati nella favola che chi si occupa d’arte, come diceva Croce, dovesse aver le terre

Capire quel che si guarda è poi una mera questione di esercizio. Se l’artista imbroglia o c’è “del buono che dura”; se l’esaminato porta con sé qualcosa di più essenziale del giochino linguistico, che molti avventizi cavalcano, e di cui, scrivendo, sviluppo la storia e la poetica, le ragioni e la prassi, i processi e i cedimenti a un surplus estetico… Insomma, non so se sono utile né, meno che mai, necessaria; eppure, pur essendo sovra visibile, non esisto.

 

 

[1] Giulio de Caprariis, Ciro Rapacciuolo e Alessandro Terzulli, UN’ANALISI DEI PROBLEMI

STRUTTURALI DEL SETTORE TURISTICO ITALIANO, febbraio 2006, p.5. (http://www.econ-pol.unisi.it/opts/Quaderni/N6-decapraris-rapacciuolo-terzulli.pdf)

 

[2] Corruzione, l’Italia scende nell’indice di Transparency International

Pubblicato il rapporto sulla corruzione percepita da uomini d’affari e analisti politici. L’emergenza rifiuti in Campania e la “cricca” hanno aggravato la situazione.

In Italia la corruzione dilaga. Il nostro Paese perde quattro posti rispetto al 2009, dodici rispetto al 2008, e scivola al 67esimo posto nell’indice sulla percezione della corruzione dell’ong Transparency International, il Corruption Perceptions Index (Cpi). Due episodi in particolare, a cui è stato dato molto risalto dai media, hanno peggiorato la situazione: la gestione del post-terremoto all’Aquila e l’emergenza rifiuti in Campania. Solo una settimana fa il presidente della Corte dei Conti Luigi Giampaolino affermava che continuano a esserci “episodi di corruzione e dissipazione delle risorse pubbliche”, che danneggiano il prestigio e l’affidabilità delle istituzioni.
Nella rilevazione del Corruption Perception Index 2010 l’Italia ha ottenuto un punteggio di 3,9 su una scala da zero (livelli elevati di corruzione) a 10 (livelli bassi), in discesa rispetto all’anno scorso, quando aveva registrato uno score di 4,3, e al 2008 (4,8 punti). Ruanda e Samoarisultano meno corrotti del Belpaese. Gli Stati definiti più onesti sono Danimarca e Nuova Zelanda. In fondo alla classifica, Paesi devastati dalla guerra (Iraq, Afghanistan e Somalia) o governati da una giunta militare come la Birmania. Gli Stati Uniti sono usciti dalla top 20 dei meno corrotti, collocandosi al 22esimo posto.
Il Cpi, precisa Transparency International, ha una funzione “indicativa” e non “classificatoria” perché riporta la percezione della corruzione che hanno manager, imprenditori, uomini d’affari e analisti politici su un determinato Paese in base alla loro esperienza o alle notizie dei media. Questa percezione è importante per la scelta delle nazioni in cui investire.
Indispensabile – sottolinea l’ong – è il ruolo di denuncia dei media. In Italia, ad esempio, la pubblicazione di grandi scandali, come l’emergenza dei rifiuti in Campania o la gestione del post-terremoto a L’Aquila da parte della Protezione Civile, hanno aumentato la percezione della corruzione nel sistema nazionale. Per questo – vista da fuori – il Belpaese perde credibilità, mentre l’allarme sociale aumenta nella popolazione.
Tuttavia, gli esperti di TI evidenziano che a questi risultati non corrisponde “necessariamente un aggravarsi del fenomeno corruttivo”, anche se lo 19 ottobre scorso, al momento del suo insediamento, il nuovo presidente della Corte dei Conti Luigi Giampaolino aveva sottolineato che persistono “gli episodi di corruzione e dissipazione delle risorse pubbliche”, episodi che preoccupano i cittadini “ma anche le istituzioni, il cui prestigio e affidabilità sono messi a dura prova da condotte individuali riprovevoli”. Queste situazioni sono capaci di creare gravi danni nelle casse pubbliche: “Se si considera che la politica di bilancio deve misurarsi con una perdita permanente di entrate per circa 70 miliardi – aveva sottolineano Giampaolino – e di prodotto per circa 130 miliardi (e con una spesa pubblica crescente nelle prestazioni essenziali), si comprende come sia obbligata una linea di attenta gestione della finanza pubblica”.
Tra le azioni positive intraprese in Italia dopo “oltre una decade di sottovalutazione della problematica”, Transparency International sottolinea il disegno di legge “anticorruzione”, elaborato da politici di centro-destra e centro-sinistra e ora in discussione nelle commissioni parlamentari. Il ddl introduce regole definite “innovative”, come il whistleblowing, il conflitto d’interessi, il revolving doors. Tuttavia l’organizzazione afferma che c’è bisogno della sua rapida approvazione rapida a cui deve seguire una “rigorosa applicazione”. In quest’ambito lo scorso settembre il Fatto quotidiano aveva presentato un testo più rigido preparato insieme ad alcuni giuristi.
“Benché talvolta non siano illegali in senso stretto”, ribadisce ancora l’ong, non possono non essere denunciati nel mondo politico e istituzionale stili di comunicazione, comportamenti e pratiche discutibili e inopportuni che trasmettano un’idea di malgfunzionamento e cattiva gestione della cosa pubblica. Per questo si augura da parte di tutti i politici “maggiore rigore sostanziale e formale”.

 

[3] STRUMENTI DI MISURAZIONE DELLA PERCEZIONE DELLA CORRUZIONE

• Corruption Perception Index (CPI)- Indice di Percezione della Corruzione
Il CPI è un indice che determina la percezione della corruzione nel settore pubblico e nella politica in numerosi Paesi nel mondo, attribuendo a ciascuna Nazione un voto che varia da 0 (massima corruzione) a 10 (assenza di corruzione). Si tratta di un indice composito, ottenuto sulla base di varie interviste/ricerche somministrate ad esperti del mondo degli affari e a prestigiose istituzioni. La metodologia viene modificata ogni anno al fine di riuscire a dare uno spaccato sempre più attendibile delle realtà locali. Le ricerche vengono svolte da Università o Centri di Studio, su incarico di Transparency International.
• Bribe Payers Index (BPI)- Indice di Propensione alla Corruzione L’Indice di Propensione alla Corruzione evidenzia la graduatoria dei paesi corruttori tra le principali nazioni industrializzate, che pur avendo adottato leggi che rendono un crimine il pagamento di tangenti agli ufficiali, l´uso della corruzione per ottenere commesse non è stato eliminato.
L’indagine di TI sui Paesi Corruttori è il più ampio e completo sondaggio di opinione sulla percezione delle fonti di corruzione che sia mai stato intrapreso. Esso amplia il primo BPI del 1999.
I risultati di oggi forniscono dettagliate risposte sulla propensione delle aziende esportatrici a corrompere, i settori più contaminati dalla corruzione; il grado di consapevolezza dei dirigenti delle più grandi società circa l´extraterritorialità della Convezione OCSE contro la corruzione che ha reso illegale il pagamento di tangenti a pubblici ufficiali stranieri; il livello con cui queste imprese stanno implementando l’osservanza della Convenzione; la percezione delle pratiche commerciali scorrette, oltre al pagamento delle tangenti, usate per ottenere contratti.
Il BPI è stato condotto tra i paesi emergenti maggiormente coinvolti in investimenti stranieri o importazioni.
Le interviste sono state condotte tra dirigenti senior di aziende nazionali e multinazionali, ma anche tra dirigenti e responsabili finanziari, Camere di Commercio, banche commerciali nazionali e straniere e studi legali commerciali. Le domande dell’indagine si riferiscono alle impressioni delle aziende multinazionali dei Paesi corruttori.
I risultati riflettono le opinioni di esperti leaders del commercio internazionale, che si trovano nella migliore posizione per valutare l´ampiezza della corruzione e delle tangenti ai pubblici ufficiali dei paesi in via di sviluppo.
• Barometro di Percezione della Corruzione Il Barometro di Percezione della corruzione, ideato nel 2003 da Transparency International in collaborazione con Gallup International, è un sondaggio si rivolge direttamente ai cittadini, indagando sulla loro percezione della diffusione della corruzione nei vari settori (es. politica, magistratura, settore privato, Istituzioni pubbliche, informazione, etc.).

[4] [COMUNICATO STAMPA ORIGINALE] «Dal 24 al 29 marzo a Milano presso la Fabbrica del Vapore e l’Università IULM si terrà la prima edizione di Education Lab – Percorsi di formazione dei giovani alla contemporaneità attraverso l’arte, un progetto di DOCVA Documentation Center for Visual Arts di Careof e Viafarini e dell’Università IULM, con la collaborazione di festival dell’arte Contemporanea, ANISA Associazione Nazionale Insegnanti storia dell’Arte, CRAC Centro Ricerca Arte Contemporanea del liceo artistico Munari di Cremona, e alcuni dei più prestigiosi musei nazionali. Attraverso un intenso calendario di incontri, workshop, laboratori, che coinvolgono scuole, docenti, dipartimenti didattici, operatori ed esperti del mondo dell’arte, ma anche famiglie e bambini, Education Lab è il primo grande evento dedicato a scoprire il valore dell’arte contemporanea per la formazione delle nuove generazioni, chiamando a raccolta tutte le migliori esperienze in corso nel nostro Paese e sensibilizzando in particolare il mondo della scuola e le famiglie.

Education Lab nasce dall’esigenza di creare un’occasione di confronto pubblico fra diverse esperienze di educazione e formazione attraverso l’arte contemporanea, una piattaforma per dare visibilità alle best practice messe in atto sia da musei e istituzioni per il contemporaneo, e a singoli artisti e operatori didattici attivi nell’educazione attraverso l’arte.

L’evento si sviluppa attraverso momenti di confronto operativo e teorico tra i docenti, gli operatori didattici, gli artisti, gli studenti, le famiglie e i dipartimenti didattici dei maggiori musei attivi nella didattica attraverso l’arte contemporanea.

Education Lab si indirizza al mondo della scuola offrendo strumenti di aggiornamento per gli insegnanti: i percorsi creativi e le esperienze proposte mirano a sollecitare stimoli culturali per promuovere il dialogo tra le istituzioni per l’arte contemporanea, la scuola e la società civile.

Education Lab vuole far emergere le condizioni per investigare l’arte e la formazione, attraverso laboratori e workshop indirizzati agli insegnanti stessi, oltre che ai bambini e alle famiglie.

Education Lab si propone di informare le famiglie sulle realtà legate all’arte contemporanea come musei e organizzazioni che si occupano di accogliere il pubblico con programmi educativi; al contempo vuole sensibilizzare gli insegnanti al fine di migliorare la qualità dell’offerta didattica legata all’arte contemporanea.

Nei primi tre giorni le attività si svolgeranno alla Fabbrica del Vapore in via Procaccini 4, con laboratori per i docenti e aperti al pubblico. La prima giornata di giovedì 24, dalle 10.00 alle 18.00, a cura di Laura Colombo (ANISA) e Dino Ferruzzi (CRAC) si rivolge ai licei ed è dedicata ai progetti e ai percorsi sperimentali dei licei artistici: U. Boccioni, Milano; Brera, Milano; Caravaggio, Milano; CRAC del liceo Bruno Munari, Cremona; De Chirico/Esterno 22, Roma; U. Boccioni, Valdagno; A. Frattini, Varese; M. Olivieri, Brescia. La giornata di venerdì 25, dalle 10.00 alle 18.00, a cura dell’Associazione Pane Arte e Marmellata, propone agli insegnanti di elementari e medie diversi laboratori organizzati dai dipartimenti educativi di: Castello di Rivoli Museo d’arte contemporanea, Rivoli (TO); DOCVA Documentation Center for Visual Arts, Milano; Fondazione Arnaldo Pomodoro, Milano; Fondazione Sandretto Re Rebaudengo, Torino; GAMeC Galleria d’Arte Moderna e Contemporanea di Bergamo; Hangar Bicocca, Milano; MAGA Museo Arte Gallarate; MAMbo Museo d’Arte Moderna di Bologna; MART Museo d’Arte Moderna e Contemporanea di Trento e Rovereto; MAXXI Museo Nazionale delle Arti del XXI Secolo, Roma.

La giornata di sabato 26, dalle 14.00 alle 18.00 è dedicata ai bambini e ai genitori, con la proposta di alcuni workshop di arte, musica e danza organizzati dai laboratori della Fabbrica del Vapore: AIEP, DOCVA, Hangar Bicocca, Macchinazioni Teatrali, Mascherenere.

Education Lab riprende lunedì 28 e martedì 29 con la sessione teorica presso l’Università IULM in via Carlo Bo 1/2, dove interverranno Mario Airò (artista), Anna Pironti (Responsabile Capo Dipartimento Educazione, Castello di Rivoli Museo d’Arte Contemporanea), Pier Luigi Sacco (professore ordinario di Economia della Cultura, Università IULM, Milano), Catterina Seia (cultural manager indipendente, promotore di SusaCulture project), Marcello Smarrelli (direttore artistico Fondazione Ermanno Casoli, Fabriano e direttore Fondazione Pastificio Cerere, Roma) e dà spazio ad artisti e operatori didattici che presenteranno le proprie attività.

Il programma in dettaglio è disponibile su www.educationlab.org

Corruption Perceptions Index 2010
Analisi probleimi strutturali turismo in Italia di De Caprariis, Rapacciuolo e Terzulli

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