L’anno dei conti pubblici non è certamente partito con il piede giusto: durante la prima settimana del 2012 i titoli del debito italiano a dieci anni (BTP) hanno visto schizzare i propri rendimenti al 7%, incrementando lo spread nei confronti del Bund tedesco oltre i 520 punti.
Non è un buon segnale, vista l’ingente quantità di titoli che dovrà essere rifinanziata in questi primi mesi del nuovo anno (circa 100 miliardi). Anche dal fronte borsistico, che finora aveva mantenuto una certa stabilità, arrivano notizie scoraggianti, con Milano che giovedì ha chiuso a -3,65%, trascinata dalle ingenti perdite del settore bancario: Unicredit ha perso il 17% del valore in una sola seduta, che diventa quasi il 40% se si sommano i risultati degli ultimi tre giorni. L’istituto è fortemente esposto sul mercato ungherese, dove l’approvazione della nuova costituzione nazionalista ha frenato l’acquisto del debito da parte degli investitori internazionali, aumentando così il rischio di fallimento. Tali eventi dimostrano sia la profondità dell’integrazione dei mercati europei, indipendentemente dall’adozione della moneta unica, sia la predominanza attuale dell’economia sulla politica, in quanto sono ormai i mercati (e non gli elettori) a valutare la bontà di un sistema politico.
Monti non può che essere preoccupato da tale scenario, dato che la conquista della fiducia dei mercati resta il banco di prova fondamentale per il suo Governo, al di là dei provvedimenti che saranno presi in funzione della crescita. Giovedì il Premier è volato a sorpresa a Bruxelles, dove però non erano previsti incontri istituzionali: il viaggio dovrebbe comunque essere legato alla messa a punto del trattato “salva-Euro” avviato a fine novembre, il cui dibattito ufficiale inizierà a fine mese con il Consiglio Europeo, nell’obiettivo di raggiungere un accordo entro marzo. Oggi (venerdì) inoltre Monti incontrerà Sarkozy a Parigi, mentre per mercoledì prossimo è previsto un colloquio con la cancelliera tedesca Angela Merkel, segno che l’Italia è in fase di riposizionamento sullo scacchiere economico europeo.
Se il Governo teme la precipitazione dell’ambiente finanziario internazionale, gli italiani sono preoccupati dall’evoluzione di altre variabili, quali l’inflazione, i salari e la disoccupazione. Sotto il primo aspetto, i dati provvisori ISTAT pubblicati in settimana mostrano un aumento tendenziale dei prezzi che pesa sulle condizioni già precarie del potere d’acquisto (vedi documento allegato).
I dati mostrano un aumento complessivo dello 0,4% dei prezzi nel mese di dicembre rispetto al mese precedente, trainato soprattutto dal settore dei trasporti, soprattutto a causa delle tariffe natalizie di aerei e traghetti. Le rilevazioni più interessanti riguardano l’andamento tendenziale, ovvero il confronto tra i prezzi di dicembre 2011 rispetto allo stesso mese dell’anno precedente (3° colonna). In questo caso l’aumento dei trasporti è stato del 7,1%, segno che i viaggi si avviano a diventare sempre più un lusso alla portata di pochi, mentre aumentano le spese anche per i pendolari. Colpisce inoltre l’incremento dei prezzi alimentari, al 2,9% rispetto a dicembre 2010, non giustificato da un aumento dei costi di produzione e distribuzione. Aumenti intorno al 6% si registrano anche per le bevande alcoliche, tabacchi e tariffe energetiche, destinate crescere ulteriormente sia per le nuove tasse introdotte dalla manovra che da una ormai probabile crisi mediorientale tra USA ed Iran, che potrebbe far schizzare il prezzo del petrolio.
Le stime di dicembre sono importanti perché completano il quadro dell’anno 2011, permettendo la valutazione complessiva dell’inflazione annuale. L’ultima colonna ci mostra gli aumenti complessivi dei prezzi su base annua per tutti i settori, la cui media ponderata è al 2,8%. Si tratta di uno dei risultati peggiori dell’ultimo decennio, in controtendenza con la media comunitaria (poco sopra il 2%) e poco giustificabile sotto il profilo della mera logica economica. I prezzi, infatti, dovrebbero crescere quando il ciclo economico si trova in fase positiva, ovvero quando il Pil è in crescita, adeguandosi all’aumento dei salari. Questi dovrebbero a loro volta crescere per via dell’aumento della produttività, non essendo più possibile adeguare automaticamente gli stipendi all’inflazione.
Nel contesto italiano, caratterizzato da un decennio di scarsa crescita ed ancora più scarsi aumenti di produttività, i prezzi dovrebbero rimanere pressoché stabili, al fine di sostenere il livello dei consumi in relazione al potere d’acquisto. Le misure proposte dal Governo hanno avuto un effetto contrario: le aziende, prevedendo per il 2012 maggiori spese per via dell’aumento delle tasse e minori entrate a causa della recessione, cercano di mantenere i profitti aumentando i prezzi già prima dell’entrata in vigore del decreto. Tale contesto potrebbe determinare un cambiamento di scenario, che lascia presagire il ritorno alla cosiddetta “stagflazione”, ovvero un mix di bassa crescita (stagnazione) ed inflazione. Il fenomeno fu rilevato per la prima volta verso la fine degli anni ’60, mettendo in crisi l’impianto keynesiano di teoria economica e consacrando l’ascesa del monetarismo prima e del neo-liberismo poi: il pericolo conseguente, in sostanza, risiede nel tendenziale impoverimento della popolazione. Con il PIL che non cresce (o addirittura diminuisce, come ci si aspetta in questo 2012), gli stipendi sono destinati a rimanere, nel migliore dei casi, costanti, mentre la disoccupazione tenderà ad aumentare. Per mantenere stabili i livelli di profitto, le imprese saranno portate ad aumentare i prezzi di beni e servizi, ma i cittadini avranno sempre meno soldi da spendere, quindi caleranno i consumi e nuovamente il PIL.
Uscire da tale circolo vizioso attraverso l’intervento della Banca Centrale, che potrebbe ridurre drasticamente l’offerta di moneta aumentando i tassi e lasciando cadere i prezzi, sarebbe estremamente doloroso in termini soprattutto occupazionali, dato che molte aziende chiuderebbero. L’alternativa è una ripresa della produttività nel suo complesso, quale risultato degli interventi per la crescita promessi dal governo, tale da garantire sia un aumento dei salari sia dell’occupazione. Gli ultimi dati relativi a quest’ultima non sono poi confortanti, dato che un giovane su tre è senza lavoro e diventa sempre più difficile ricollocarsi dopo un licenziamento.
Alla luce dei fatti, nel 2012 il nostro Paese sarà chiamato ad affrontare sfide importanti, per non rimanere indietro di qualche decennio e rimanere agganciati al treno dei Paesi “ricchi”. Ai cittadini italiani non rimane che spendere oculatamente i propri soldi e sperare ancora una volta, come negli ultimi vent’anni, in un “salvatore della Patria”, Monti, che a detta del Presidente Napolitano “ha i titoli per poter garantire rigore e crescita”.
rapporto Istat dati provvisori