Amina Taylor 19 anni è una ragazza tunisina che si è unita alle Femen, l’ong di attiviste femministe (ormai presenti in diversi paesi) che fanno blitz di protesta contro ogni forma di oppressione alla libertà del corpo e quindi contro ogni morale religiosa a seno nudo.
Nate nel 2008 a Kiev, le Femen hanno trasferito il quartier generale a Parigi al Moderne Lavoir, nel XVIII arrondissement, uno spazio atelier di proprietà del comune della capitale francese.
Considerata la prima Femen tunisina, Amina non aveva mai partecipato ad azioni di protesta vere e proprie, ma si era limitata a postare solo due fotografie a seno nudo su facebook : una con la scritta “ Fuck your morals” e l’altra in arabo “il corpo è di mia proprietà e non è l’onore di nessuno”.
E proprio nella parola “onore” che si fonda tutta l’appartenenza della donna islamica al clan familiare, al marito, ai fratelli. Oggi Amina è sparita. Ne hanno denunciato la scomparsa la rete di Femen. Scomunicata dalla famiglia d’origine, una donna che si è presentata come zia della ragazza la presentava come “psicopatica” e “squilibrata”, e che aveva sporcato l’immagine di Dio e della famiglia. Ancora peggio ha reagito l’imam Adel Almi presidente dell’Associazione Centrista di Sensiblizzazione e di Riforma:
“I media dovrebbero selezionare prima di diffondere un contenuto che ispira avversione e disgusto” e ha poi sottolineato che alla ragazza devono essere fatti degli esami psichiatrici e accertamenti per controllare se assume sostanze stupefacenti.
“Amina ha voluto distinguersi e attirare l’attenzione posando nuda. Il che significherebbe che non ha più nulla da perdere e non è cosciente della sacralità della donna. Questi modi di agire devono essere repressi per evitare eventuali catastrofi. Pertanto deve essere flagellata un centinaio di volte sapendo che, vista l’ampiezza del suo peccato, meriterebbe di essere lapidata a morte”
Successivamente dei pirati informatici islamisti si sono impadroniti della pagina facebook dell’attivista e hanno postato frasi:
“Grazie a Dio abbiamo preso possesso di questa pagina immorale e il meglio deve ancora arrivare”.
Sono stati poi inseriti video con passaggi del Corano. L’imam ha smentito di aver parlato di lapidazione, ma invitato in uno studio televisivo si è rifiutato di sedersi sulla poltrona dove si era seduta precedentemente Amina.
Nella rete di Femen rimbalzano notizie senza alcuna possibilità di verifica. La più recente, nella pagina francese dice:
“Abbiamo ricevuto informazioni provenienti da fonti non verificate. Amina sarebbe stata rapita dalla sua famiglia per essere portata nel centro psichiatrico Bardo, contro la sua volontà. Unitevi a noi per la sicurezza di Amina e la libertà per tutte le donne arabe”.
Un successivo appello che sta avendo adesioni da ogni parte del mondo, invita tutte le donne a fotografarsi a seno nudo:
“Speriamo che sia viva e che stia bene. Noi ci mobilitiamo, mostriamo il nostro sostegno attraverso le nostre foto e mandiamo questo messaggio chiaro agli islamisti: la cerchiamo e continuiamo a protestare. Non lasceremo opprimere i corpi delle donne nascondendoli e imprigionandoli”.
La ministra delle pari opportunità Sihem Badi non ha mai molto apprezzato la presenza di femen in Tunisia e ha promesso di lottare contro l’arrivo di queste “pratiche straniere nelle tradizioni tunisine”.
E forse le più grandi proteste sono proprio contro le associazioni femministe accusate di essere silenziose e ipocrite. Una commentatrice si scandalizzava sulla pagina facebook di Amina contro le donne tunisine molto divise sul tema:
“vergognatevi voi che fate le pudiche, e andate a rifarvi l’imene prima del matrimonio. Avete i primi rapporti sessuali a 17 anni e l’età del matrimonio è sempre intorno ai 30 (e oltre visto il livello di disoccupazione in Tunisia). Allora, cercate l’errore! Avete già una reputazione di prostitute. Vergini e pudiche all’apparenza ma basta vedervi nelle discoteche di Sousse e Hammamet, delle vere furie”.
Le femen creano un cortocircuito con la morale e ne ribaltano i principi. I due estremi di “gestione” esterna del corpo della donna, il velo (fino al suo eccesso del burqa) e la nudità per il marketing, sono due espressione del patriarcato contro il quale conducono la loro battaglia a seno nudo. Velate o svelate, il corpo sarebbe in realtà senza il suo soggetto (a parte il consenso della modella, ma si parla ovviamente di messaggio comunicato). Velate, per non solleticare il desiderio maschile e non disonorare la famiglia di appartenenza, svelate per il commercio sessuale o per il marketing, rivolgendosi sempre al desiderio maschile.
E perché a seno nudo? Si obietta spesso. Serve alle battaglie per le donne? Nulla è affidato al caso. Le femen – almeno le tre fondatrici ucraine: Anna Hutsol, Oksana Shachko, Sasha e Inna Shevchenko – si allenano con cura, e hanno messo insieme una vera strategia.
A ogni protesta la polizia arriva per completare la seconda parte del messaggio urlato e dipinto sul corpo. Così, la polizia è l’ “antagonista” della loro trama e interpreta – perfino in una sorta di ingenua autodenuncia – la sopraffazione maschilista radicata nel moralismo: l’autorità copre delle donne spogliate stavolta non per l’intrattenimento televisivo, per il marketing o per il commercio sessuale, o per rispondere a un’ingiunzione maschile, ma per affermare libertà e diritti di tutte le donne. Sembra una protesta antica (e non per questo meno attuale) ma non potrebbe essere più contemporanea per come è intersecata all’industria della comunicazione, al ribaltamento del messaggio e alla centralità del corpo.
Tutti i media presenti si concentrano sulle fasi della protesta e completano il lavoro delle femen. Il giorno successivo, o le ore seguenti ogni protesta, è una delle notizie più in rilievo nelle pagine della politica e in tutti i quotidiani on line.
E’ un percorso al contrario che non è privo di contraddizioni e di pericoli. Non appena l’attenzione mediatica si fa elevatissima, le possibilità che siano manipolate dall’esterno sono elevatissime.
In Francia sono state ampiamente raffigurate dalla rivista satirica Charlie Hebdo che conduce un’ambigua battaglia anti censura e anti religione, provocando con un singolare tempismo ogni radicalismo, preferibilmente islamico. Operazione encomiabile se non avvenisse in Europa, dove la “ guerra al musulmano” (cioè all’immigrato) sta ingrossando le fila della destra più radicale. Le stesse ambiguità si trasferiscono ora anche in Tunisia, visto che il sostegno arriva dall’ “occidente”. Il cuore della battaglia è Amina o la guerra all’Islam da far valere nelle strategie politiche occidentali?