E’ guerra aperta sul fronte politico e diplomatico tra Iran e Arabia Saudita, con i primi in netto vantaggio sui secondi per una serie di mosse che sembrano azzeccate e che l’hanno tolta dalla posizione di isolamento internazionale nella quale l’aveva messa il precedente presidente, Mahmoud Ahmadinejad.
L’accordo raggiunto il 24 novembre a Ginevra tra Iran e grandi potenze del 5+1 sul programma nucleare di Teheran ha rappresentato una svolta per il futuro della repubblica islamica, rafforzando il suo ruolo nella regione. Secondo molti osservatori arabi, intervistati dall’emittente televisiva “al Arabiya”, l’accordi di Ginevra “sarà propedeutico a quello denominato di Ginevra 2 sulla Siria”. Grazie all’intesa sul nucleare iraniano, si alleggerisce il peso dell’embargo internazionale sull’Iran, che aveva messo in ginocchio la sua economia e aveva isolato la sua diplomazia. Ora Teheran si sente più forte e si presenta come interlocutore credibile nella regione e nel mondo.
La strategia del nuovo presidente iraniano, Hasan Rohani, di avviare il disgelo con gli Stati Uniti sta portando i suoi frutti ed è fortemente temuta dal suo avversario storico, l’Arabia Saudita. Il primo segnale di un certo imbarazzo di Riad per la piega che hanno preso i rapporti tra Teheran e Washington è stato quello di rifiutare il posto assegnatole dall’Assemblea generale dell’Onu di membro a rotazione del Consiglio di Sicurezza dell’Onu. Si è trattata di un’azione di protesta della sua diplomazia, giustificata dall’immobilismo del Consiglio di Sicurezza rispetto alla crisi siriana, ma che già più di un mese fa manifestava quello che era il timore per un accordo, poi arrivato sul nucleare e per un’intesa che, probabilmente arriverà, il 22 gennaio prossimo a Ginevra sulla Siria, che vedrà la legittimazione del potere di Bashar al Assad nel paese, fermo al suo posto dopo due anni e mezzo di guerra.
Non a caso, con l’avvicinarsi dell’appuntamento di Ginevra, il ministro dell’Informazione di Damasco, Omran al Zobi, citato dall’agenzia di stampa siriana ufficiale “Sana”, ha fatto sapere che Assad resterà comunque al suo posto. Al Zobi ha spiegato che “se qualcuno pensa che noi andremo a Ginevra 2 per consegnare le chiavi di Damasco all’opposizione può anche non invitarci. La decisione finale spetta al presidente Assad che guiderà la fase transitoria e se arriviamo a quella fase il capo in Siria resterà Assad”. Con queste dichiarazioni il regime siriano ha posto un freno alle speranze dell’opposizione siriana, che per partecipare alla conferenza di Ginevra 2 pongono come condizione la caduta di Assad.
Damasco si prepara ad andare a Ginevra da una posizione di forza, considerato che sul campo il regime dopo più di due ani di scontri ha retto e non è caduto. La debolezza dell’opposizione siriana e la situazione difficile in cui si trova è dimostrata anche dalla vicenda delle suore di Maalula e dal giallo sul loro rapimento da parte dei miliziani jihadisti. Mentre il Vaticano ha lanciato un appello per la loro liberazione, i ribelli fanno sapere invece che “sono state portate in salvo in un luogo sicuro”. La Coalizione nazionale siriana dell’opposizione, cerca di dare rassicurazioni sulla sorte delle suore che si ritiene siano state rapite dai miliziani islamici entrati in città. In base alla ricostruzione fornita dall’opposizione siriana “le forze dell’Esercito libero sono entrate a Maalula e hanno cercato di convincere le suore a lasciare il convento ma loro si sono rifiutate. Subito dopo è arrivato un altro gruppo armato non legato all’Esercito libero che le ha costrette ad andare via per timore che fossero uccise dalle truppe del regime di Assad”. Di fatto quindi le suore sono in balia di pericolosi terroristi nei confronti dei quali l’opposizione non può fare nulla.
. Per fugare ogni dubbio sui rapporti tra l’opposizione siriana e i terroristi di al Qaeda, i miliziani dell’Esercito siriano libero si sono detti “disposti a combattere contro le milizie dei gruppi jihadisti vicini ad al Qaeda al fianco delle truppe del governo siriano, nel caso in cui il presidente non fosse più Assad”. Lo ha annunciato il capo dell’Esercito siriano libero dell’opposizione, Salim Idriss, intervistato dall’emittente televisiva “Sky Arabia”. Rispondendo alle accuse del regime di Assad circa la presenza dei gruppi terroristici in Siria, Idriss si è detto “disposto a collaborare con le truppe di Damasco contro le formazioni jihadiste nella fase transitoria che verrà dopo la conferenza internazionale a Ginevra 2”, aggiungendo però che “la rinuncia di Assad alla presidenza della Siria resta una precondizione per la nostra partecipazione alla Conferenza”.
Intanto non mancano i problemi e gli scontri interni ai ribelli, dimostrati dal fatto che il vice presidente della Coalizione nazionale siriana, Suheir al Atasi, ha rassegnato le dimissioni dalla dirigenza dell’opposizione. Al Atasi non ha motivato le dimissioni, ma secondo fonti interne all’opposizione sarebbero legate al suo incarico di responsabile dell’Unità di coordinamento degli aiuti ai ribelli che combattono in Siria, anche se al momento non è chiaro se le dimissioni comprendono anche questo incarico. La scorsa settimana infatti 25 dipendenti dell’Unità da lui diretta hanno inscenato uno sciopero e una manifestazione per chiedere le sue dimissioni, accusandolo di corruzione.
Ma la Siria non è l’unico paese dove questo avviene. Un altro teatro di questo conflitto è il Libano, dove è presente il partito sciita Hezbollah, che fa capo a Teheran, e quello sunnita di al Mustaqbal, dell’ex premier Saad Hariri, legato a Riad. Non a caso di recente a Beirut, proprio mentre a Ginevra si firmava l’accordo sul nucleare e in Siria le truppe di Assad avanzavano, è stato compiuto un attentato contro l’ambasciata iraniana. Per il segretario generale delle milizie sciite libanesi Hezbollah, Hasan Nasrallah, non ci sono dubbi: “dietro la strage c’è l’Arabia Saudita”. Parlando all’emittente libanese “al Manar”, Nasrallah ha spiegato che “a rivendicare l’attentato sono state le brigate Abdullah Azzam, che non sono una sigla fantomatica. Esistono davvero ed hanno come capo un saudita il quale, a mio avviso, è legato ai servizi segreti di Riad che guidano gruppi come questo in diverse parti del mondo”. Secondo Nasrallah “l’attentato di Beirut è legato alla rabbia dei sauditi nei confronti dell’Iran, alla quale imputano il fallimento dei loro progetti per la regione come quello in Siria dove sostengono i ribelli”.
A questo si aggiunge l’offensiva diplomatica di Teheran nella regione del Golfo che, forte dell’accordo sul nucleare di Ginevra, sta cercando di portare dalla sua parte i paesi arabi della regione a scapito di Riad. Il ministro degli Esteri iraniano, Muhammad Zafari, è stato questa settimana negli Emirati Arabi Uniti per una visita ufficiale. Si tratta della prima visita del capo della diplomazia iraniana ad Abu Dhabi da quando è stato eletto il presidente Hasan Rohani. Zafari ha incontrato il presidente degli Emirati Arabi Uniti, Sheikh Khalifa Bin Zayd Al Nahyan, il quale ha accettato l’invito rivoltogli dal presidente iraniano, Rohani, a visitare Teheran. I due paesi hanno da più di 30 anni una disputa che riguarda tre isole presenti nel Golfo. Nonostante questo sono grossi gli investimenti iraniani negli Emirati, paese che più volte è stato usato dagli imprenditori di Teheran per aggirare l’embargo imposto dall’occidente, cosa che non è stata affatto apprezzata a Riad. Eppure l’arrivo di Zafari ad Abu Dhabi ha rappresentato solo la tappa finale di un tour che lo ha portato nei giorni precedenti in Kuwait, Oman e Qatar finalizzato alla ripresa delle relazioni con i paesi arabi del Golfo.
La ripresa delle relazioni tra i paesi arabi del Golfo e Teheran e la conferenza Ginevra 2 sulla Siria del prossimo 22 gennaio, hanno spinto il capo dei servizi segreti sauditi e responsabile della sicurezza di Riad, principe Bandar Bin Sultan, a volare a Mosca per correre ai ripari e discutere con il presidente russo Vladimir Putin della crisi siriana e dell’Iran. Secondo quanto riferisce l’emittente televisiva libanese “al Maiadin”, che cita fonti di Mosca, il rappresentante saudita è volato a Mosca per discutere dei temi di attualità che interessano a Riad nella regione. La fonte russa sostiene che durante i colloqui “è emersa la distanza di vedute esistente tra i due paesi su questi temi che resta invariata”. Nei giorni scorsi i media iraniani avevano accusato Bin Sultan di essere volato a Mosca per cercare di far fallire il tour nei paesi arabi del Golfo nel quale è stato impegnato questa settimana il ministro degli Esteri iraniano, Zarif.