“Quando vanno in conflitto lavoro e ambiente – aveva detto Susanna Camusso a Bari, alla Camera del Lavoro, parlando dell’Ilva di Taranto – vuole dire che non si è fatto ciò che si doveva al fine di salvaguardare la condizione dei cittadini e dei lavoratori rispetto alle produzioni». Le due anime di una città: ambientalisti e studenti da un lato, operai in tuta, dall’altro. Fulvio Colucci e Giuse Alemanno hanno cercato di scandagliare la storia e le storie in Invisibili – Vivere e morire all’Ilva di Taranto.
Fulvio Colucci, che lavora nella redazione tarantina della Gazzetta del Mezzogiorno, ha vinto nel 1995 il premio Ilaria Alpi; Giuse Alemanno, scrittore e operaio dell’Ilva dal 2001, è stato direttore di La voce del popolo. Si cerca di guardare agli operai attraverso un racconto più scabro possibile, dal momento che si tratta di argomenti difficili, che attraversano la vita di uno dei due narratori: lavoro in squadra, quotidianità della fabbrica. Solo un paio di righe sono dedicate all’egemonia sindacale: un tempo a Taranto non si muoveva foglia che il sindacato non volesse. Poi tutto questo è passato, ma con costi che hanno pagato gli operai, col processo di de-sindacalizzazione, con la Palazzina Laf, il laminatoio a freddo: il reparto punitivo, lager o manicomio criminale, come veniva definito. La Laf non esiste più, è stata sequestrata dalla Procura di Taranto nel novembre del 1998.
“Noi ricordiamo gli scioperi negli anni Novanta in cui i padri accompagnavano i figli nello stabilimento, c’era qualcosa di biblico”, racconta Fulvio Colucci, “ma il problema è che la città non ha voluto parlare di loro.”
Se c’è un danno, occorre quantificarlo, e la persona più accreditata è Maurizio Portaluri, primario di Radiologia dell’Ospedale Perrino di Brindisi, autore di numerose pubblicazioni nel campo dell’oncologia e dell’epidemiologia su riviste scientifiche internazionali e nazionali; impegnato nella ricerca sui tumori professionali e nella prevenzione oncologica negli ambienti di vita e di lavoro. È autore, fra l’altro, Di fabbrica si muore, insieme ad Alessandro Langiu. È intervenuto alla presentazione del libro tenuta a Brindisi e poco prima del dibattito aveva un megafono in mano: davanti al Comune, in un sit-in per le vittime del Petrolchimico di Brindisi, per Vincenzo di Totaro, ma anche per Luigi Sciarra, capoturno dell’Enichem morto di angiosarcoma surrenale il 31 dicembre scorso dopo 31 anni di lavoro in fabbrica e per ricordare anche Martino Cremona morto di asbestosi, lo scorso anno a Venezia. Per lui la procura di Venezia aprì subito un’indagine e fu disposta l’autopsia, dalla quale emerse che l’anziano era pieno zeppo di amianto. Se il primo processo è naufragato nel 2008, il presidio organizzato a Brindisi ha voluto chiedere ancora giustizia per le vittime, ponendo tre questioni essenziali: una nuova analisi epidemiologica della coorte lavorativa del Petrolchimico, la sorveglianza medica degli ex esposti all’amianto e agli altri agenti cancerogeni, la riapertura della Medicina del Lavoro a Brindisi. E dopo la disamina della casistica delle morti sul lavoro, a Taranto e a Brindisi, sono intervenuti due rappresentanti Nidil e Flai, della CGIL di Brindisi, Angelo Leo e Giovanna Tomaselli. Rispetto ai corrispondenti tarantini hanno una posizione più morbida, vicina ai Verdi, contraria all’installazione della Centrale a Carbone, a Brindisi, ma l’ ultima domanda di un ex sindacalista seduto tra il pubblico rimanda alla chiusura dello stabilimento di Bagnoli e alla riconversione degli addetti, improponibile per Taranto. “Se l’Ilva chiude, dove si riverseranno tutti quanti? Il mercato del lavoro è chiuso”.
Quello che prospettano Fulvio Colucci e Giuse Alemanno – e non solo nel loro libro – è una memoria condivisa e una responsabilità condivisa.
Invisibili – vivere e morire all’Ilva di Taranto
di Fulvio Colucci e Giuse Alemanno, Kurumuny Editore, 10 euro