E’ concepibile che un qualsiasi idiota semianalfabeta (per comodità, ISA), dotato di un p.c., immetta in rete notizie mal comprese, opinioni deliranti, espressioni offensive?
Certamente si: glielo consente la nostra Costituzione e lo postula la natura stessa di una società e di un ordinamento democratico-liberali.
E’ però concepibile che l’ISA pretenda l’impunità o, almeno, l’anonimato?
A mio parere, assolutamente no! E sostanzialmente per le medesime ragioni: in un contesto laico, liberale, democratico, si è giudicati (si dovrebbe esserlo) non per quel che si è (o si crede di essere) e neanche per il gruppo sociale cui si appartiene; si è giudicati per ciò che si fa e per ciò che si dice. Anzi, ciò che si dice e ciò che si fa (le due condotte dovrebbero essere, possibilmente, correlate) determina ciò che si è e il gruppo cui si appartiene.
L’ISA però sostiene che “internet è libero” e che, in quella sede, ci si può esprimere come si vuole ed è consentito non svelare la propria identità.
Naturalmente, così dicendo, l’ISA si qualifica come tale e, dunque, si fa giudicare per quel che dice (ma potrebbe rimanere oscura la sua identità).
Ora, bisogna intendersi: se internet vuole essere uno strumento di democrazia e non lo sterile “sfogatoio” di uno squalificato sottoproletariato intellettuale, è necessario che chi intende utilizzarlo per diffondere informazioni e opinioni, innanzitutto, si renda identificabile e, in secondo luogo, si dedichi al diligente controllo delle fonti da cui attinge le notizie e non trascuri di argomentare logicamente (se ne è capace) il suo punto di vista. Il suo giudizio, in altre parole, sarà oggetto di giudizio e, dunque, non dovrebbe mai consistere in affermazioni gratuite e apodittiche.
Anche perché le notizie immesse in rete sono destinate, se nessuno le rimuove, alla “eternità mediatica” e rimangono lì, come monumentum aere perennius.
Invero, non si è mai vista (e neanche è immaginabile) una democrazia senza responsabilità. Una società di liberi e di eguali presuppone che le opinioni abbiano nome e cognome, che le idee abbiano una faccia (quella di chi le ha partorite e/o le propugna), che le proposte e le critiche abbiano un padre o una madre certi.
Il burqa elettronico dietro il quale l’ISA pretende di celarsi è dunque, da questo punto di vista, inaccettabile.
E’ nota la polemica di Pasolini contro la televisione, responsabile, a suo parere, di una negativa “mutazione antropologica”, di un radicale salto culturale, che avrebbe determinato il livellamento, l’omologazione, la conformazione a un modello umano, suggerito dai programmi e dagli spot della TV.
Ebbene, dobbiamo chiederci se l’uso maldestro di internet non rischi di accelerare/facilitare questo processo. Perché, quando l’ISA usa la rete, anche se legge o, peggio, scrive, sembra non manovrare parole, ma immagini, o, almeno, parole-immagini, parole-suggestioni, parole-slogan.
Ciò che internet guadagna in estensione può perdere in profondità.
La sua cifra è la velocità, la quale, per vero, non implica necessariamente la superficialità e la dispersione, ma certo le rende possibili e, quindi, per l’ISA, inevitabili. L’homo videns, che, nel libro dal medesimo titolo, paventava Sartori, è ormai nato ed è adulto (si fa per dire), perché non si è limitato a sostituire l’immagine alla parola, ma ha trasformato la parola in immagine (e quindi i concetti in sensazioni).
Gli ISA dotati di computer sono convinti, il più delle volte, di essere dei potenziali eversori del sistema perché parlano male di tutto e di tutti (cosa lecita, ma improduttiva); sono certi di diffondere opinioni eretiche, che tuttavia, spesso, mancando essi di qualsiasi approfondimento e conoscenza di base, sono nutrite di luoghi comuni. Queste persone scadono in un deprimente “conformismo eversivo” che lascia il tempo che trova; principalmente, come premesso, questi rivoltosi immaginari si fanno forti della possibilità di rimanere anonimi. E l’anonimato sembra avere anche una giustificazione nobile (ma in realtà si tratta di un vile pretesto): firmandomi “un lettore” (o “un elettore”, oppure Pasquale da Vattelappesca) sembro essere uno del popolo, che vuol dire la sua, un cittadino attivo, ma senza potere, una testa pensante, cui il sistema impedisce di agire.
E questo, forse, segna un ulteriore passo nella mutazione antropologica di pasoliniana memoria: si sta enormemente arricchendo la categoria di quelli che lanciano la pietra e (subito dopo) nascondono la mano.
Ma, se non possiamo nemmeno conoscere la identità del comunicante, come possiamo farci un’idea sulla autenticità/affidabilità delle notizie che fornisce? Se non sappiamo quali competenze ha, come possiamo approcciarci alle analisi (politiche, sociologiche, culturali, scientifiche ecc.) che generosamente ci offre?
Se internet deve essere questo, va detto che si sta trasformando in un deleterio giocattolo perditempo; altro che strumento di democrazia diretta!
E non parliamo dei box pubblicitari che contornano gli articoli e le notizie. Al loro potere depistante è facile resistere, basterebbe volerlo. Il fatto è che il principio del rem tene, verba sequentur è, in internet, spesso, difficile da seguire, per l’inconsistenza della res e per la mera apparenza dei verba, che da significanti si stanno trasformando in mere parole d’ordine.
Il discorso – mi rendo conto – sta prendendo una piega pericolosa.
La tentazione di allinearsi al Popper di “Cattiva maestra televisione” è forte. La sua tesi, come è noto, è che una democrazia non può sopravvivere, se non si prende coscienza dell’enorme potere della TV e, se, dopo averne preso coscienza, non si predispongono “filtri”, controlli, esami e permessi per chi vuol fare televisione.
Non mi sembra una buona idea, almeno per internet e, in tal senso, ho avuto modo di esprimermi (“Una patente per internet?” su Golem del 27.4.2012).
Non cambio idea. Oltretutto, tra i due media (televisione e internet), le differenze sono notevoli. Basterebbe pensare che la prima richiede una organizzazione verticale, una struttura gerarchica e la disponibilità di mezzi finanziari; la seconda è un’impresa solitaria e ciascuno è solo di fronte al suo p.c.
Ma proprio per non sprecare la straordinaria occasione – che la tecnologia ci offre – di dare attuazione al primo comma dell’art. 21 della Costituzione (”Tutti hanno diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero con la parola, lo scritto e ogni altro mezzo di diffusione”), è necessario che si impari a usare questo strumento.
Occorrerebbe un’adeguata formazione culturale.
Non so se a scuola si insegnino, accanto all’uso del computer, le regole per un corretto utilizzo di internet. Temo di no.
Ma poiché questo strumento ormai consente la confezione e la diffusione dell’ one man newspaper, allora è necessario che i rudimenti – giuridici, professionali, deontologici ed etici – del giornalismo divengano materia di insegnamento. Il numero degli ISA in circolazione si ridurrebbe drasticamente.
E’ lecito (ed è opportuno) scagliare le pietre, ma è utile e dignitoso che la mano rimanga ben visibile.