La Suprema Corte, sezione lavoro, con la recentissima sentenza n. 21452, depositata in data 19 settembre 2013, in accoglimento del ricorso presentato da un dipendente licenziato, è intervenuta in materia di opzione per le quindici mensilità sostitutive della reintegrazione, con particolare riferimento ai termini per il relativo esercizio.
Nella sentenza impugnata, la Corte territoriale aveva escluso il diritto del lavoratore all’indennità di cui all’art. 18 L. 300/1970, ritenendolo incompatibile con la ripresa, anche temporanea, del servizio da parte del lavoratore.
Nella fattispecie in commento, in realtà, il datore di lavoro, nelle more del giudizio, non aveva provveduto alla reintegrazione del lavoratore, limitandosi invece a consentire che la prestazione riprendesse di fatto ed in termini di precarietà.
L’indennità sostitutiva secondo lo Statuto dei lavoratori. L’art. 18 della L. 300/1970, nell’attuale terzo comma, (già quinto comma nel testo ante riforma “Fornero”, applicabile alla fattispecie ratione temporis) consente al lavoratore di richiedere al datore di lavoro, in sostituzione della reintegrazione, un’indennità pari a quindici mensilità dell’ultima retribuzione globale di fatto, entro il termine di trenta giorni dalla comunicazione del deposito dalla sentenza o, se anteriore, dall’invito del datore a tornare in servizio.
L’interpretazione del succitato disposto in termini di obbligazione con facoltà alternativa a latere creditoris (il lavoratore), avente ad oggetto la reintegrazione o la corresponsione dell’indennità, ha indotto il Giudice di appello ad escludere il diritto ad esercitare l’opzione per le quindici mensilità nel caso de quo, laddove il dipendente licenziato, dopo il recesso datoriale ma prima della sentenza di reintegrazione, aveva accolto l’invito del datore, riprendendo di fatto l’esecuzione della prestazione.
Secondo la Corte territoriale, infatti, la ripresa dell’attività lavorativa nelle more del giudizio aveva configurato idoneo consenso del prestatore alla ricostituzione del rapporto lavorativo, in quanto manifestazione di volontà incompatibile con la rinuncia alla prosecuzione del rapporto.
L’orientamento della Cassazione a tutela del lavoratore. La Suprema Corte, pur aderendo all’interpretazione dell’istituto dell’opzione quale obbligazione alternativa dal lato del lavoratore, ha tuttavia disatteso la pronuncia di merito quanto alla determinazione del momento a decorrere dal quale l’opzione stessa è esercitabile.
A tale riguardo, la giurisprudenza di legittimità ha chiarito come il dies a quo non possa non coincidere con l’emissione dell’ordine di reintegra contenuto nella sentenza di accertamento dell’illegittimità del licenziamento, salva l’ipotesi in cui la ripresa dell’attività su invito datoriale integri accordo tra le parti per la revoca del licenziamento, con conseguente ripristino del rapporto già cessato.
Ed infatti, prima del provvedimento giurisdizionale di cui sopra ed in assenza di una vera e propria proposta negoziale per la ricostituzione del rapporto lavorativo, non è data al lavoratore alcuna possibilità di esercizio dell’opzione.
Ne consegue che, contrariamente a quanto affermato dalla Corte territoriale, ai fini dell’esclusione della facoltà ex art. 18, nessuna rilevanza può assumere la temporanea e precaria ripresa del servizio intervenuta in corso di causa in adesione all’invito datoriale, non essendo in tal caso ravvisabile un accordo, anche implicito, di ricostituzione del rapporto di lavoro.
Orbene, nella fattispecie in commento, il rapporto di lavoro non poteva invero ritenersi ripristinato nelle more del giudizio, come inequivocabilmente comprovato dalla circostanza per cui la causa è proseguita anche dopo la temporanea ripresa dell’attività lavorativa, con esito favorevole al dipendente illegittimamente licenziato.
Concludendo, gli Ermellini, in riforma della sentenza impugnata, hanno ritenuto che l’opzione per le quindici mensilità sostitutive della reintegrazione, sebbene successiva all’accettazione dell’invito datoriale di riprendere l’esecuzione della prestazione, fosse stata tempestivamente esercitata dal lavoratore dopo la sentenza di reintegrazione, dovendosi escludere che il rapporto di lavoro fosse stato medio tempore ricostituito.