Condivido l’analisi di Giovanni Belardelli sull’incertezza del diritto.( Corriere della Sera 22 agosto). Del resto la parola “bizantinismo” è stata coniata per indicare il mastodontico Corpus Iuris di Giustiniano difficilmente decifrabile.

La penisola italica dopo la caduta dell’impero d’Occidente fu in gran parte dominata politicamente da Bisanzio e i primi re goti si dichiararono vassalli dell’imperatore d’Oriente imitando con sovrapposizioni l’antico diritto ( lex Visigotorum).

Nel Medioevo la scuola Bolognese che aveva riscoperto i testi dei saggi di Costantinopoli e Berito, lavorò di buona lena per decifrare e rendere coerente la certezza del diritto. Nacquero dei commenti molto più complicati degli originali. Ciò faceva comodo ai politici di turno e Federico Barbarossa ne approfittò nelle diete di Roncaglia orientando (anche con ricche regalie) i professori bolognesi nella lotta contro l’autonomia dei Comuni lombardi.

Il primo capitalismo nacque grazie alle corporazioni dei mercanti italiani che crearono un diritto parallelo ( ius mercatorum) e tribunali degli affari onde far prevalere la fiducia, anima del mercato in un sistema giuridico incerto. Il diritto dei mercanti ebbe ottimi effetti ( basti pensare all’invenzione della cambiale) creando ricchezza e intrapresa. Un modello esportato in occidente a beneficio dell’Olanda del Regno Unito che svilupparono nei secoli successivi un capitalismo più avanzato.

Nell’Italia disunita continuavano a dominare gli Azzeccagarbugli di turno anche dopo le grida manzoniane. Napoleone ebbe l’intuizione di codificare poche leggi comprensibili e di facile applicazione. La mancanza di unità politica impedì di approfittarne. Nel 1865 vennero a fatica unificati i codici degli Stati preunitari. Forse quel ritardo è il limite del nostro Paese?

Gian Domenico Romagnosi sosteneva “che nei secoli si è preteso formare giureconsulti ed uomini di Stato, senza creare prima un’idea dello Stato… derisa dai politici aborrita dai moralisti”. La sua lezione fu seguita da Carlo D’Azeglio, Cavour e via via da altri insigni giuristi fino a Calamandrei, Parri e Jemolo. L’allora presidente della Costituente Umberto Terracini non pago di un testo magnifico redatto dai migliori giuristi dell’epoca e votato dalla Commissione dei 75, deferì a tre illustri studiosi (Concetto Marchesi, Antonio Baldini e Pietro Pancrazi) la revisione linguistica e stilisticamente corretta della Costituzione. Lo scopo lodevole  di permettere da una parte la comprensione al cittadino sovrano e dall’altra la chiarezza all’interprete per evitare le incertezze cui accennava Belardelli. Un metodo forse antico, manzoniano, ma efficace. Oggi non mancano le intelligenze. Basterebbe un po’ di buona volontà. Soprattutto  politica.

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